Da vedere in DVD: “L’ordine delle cose” di Andrea Segre

Pubblicato il 21 Gennaio 2019 in Outdoor Cinema
L'ordine delle cose

Sceneggiatura Andrea Segre, Marco Pettenello Cast Paolo Pierobon (Corrado Rinaldi) Valentina Carnelutti (Cristina Rinaldi) Greta Galiè (Alessandra Rinaldi) Riccardo Marchion (Pietro Rinaldi) Giuseppe Battiston (Luigi Coiazzi) Olivier Rabourdin (Gérard) Fabrizio Ferracane (Terranova) Yusra Warsama (Swada) Roberto Citran (Grigoletto) Fausto Russo Alesi (ministro) Taha Lamaizi (Mohammed) Hosseini Taheri (Mustafa Abdelhadib) genere drammatico produzione Ita.-Fr. 2017 durata 110 min.

 

Si potrà imputare di tutto al cinema di Andrea Segre fuorché la mancanza di coerenza. Quello che una volta facevano Franceso Rosi, Peppe Ferrara, Valentino Orsini e, in parte, i fratelli Taviani oggi lo fa (quasi) solo lui. E lo fa bene. Va detto subito. Tragedie contemporanee, fatti di cronaca che diventano racconti per immagini. Testimonianze di un vissuto collettivo che si trasformano in riflessione sulla storia. Ormai sono 20 anni che il resista e sociologo veneziano indaga il mondo degli ultimi, i paria del villaggio globale. Con documentari e film di fiction che hanno avuto per oggetto la realtà dei migranti. Parlando solo di quelli a soggetto, va segnalato che nei primi due (Io sono Li, 2011, e La prima neve, 2013) Segre ha messo in scena situazioni italiane, ossia ha portato la macchina da presa nelle città e nei paesi che ospitano migranti o dove la migrazione ha trovato radici. Qui invece, mediante il protagonista, alto funzionario del Ministero degli Interni, ci fa attraversare il Mediterraneo e ci narra il ginepraio libico e i lager esistenti in quel paese. Fatti non veri, avverte una didascalia iniziale, ma talmente verisimili da superare la stessa verità oggettiva. Dunque il dottor Corrado Rinaldi, ex olimpionico di scherma, sbarca sulla sponda sud del Mare Nostrum con la valigetta gonfia di contributi europei per alcuni dei tanti ras locali che gestiscono i flussi migratori.

L'ordine delle cose

Facendosi le scarpe a vicenda. Uno, a capo della guardia costiera, l’altro al vertice di un piccolo impero con milizie private e campi di “accoglienza”. Il progetto è chiaro: allargare i cordoni della borsa affinché i libici stringano le maglie della rete attraverso cui i profughi raggiungono il Vecchio Continente (e l’Italia, in particolare). Tutto bene finché, per decreto del Destino, Rinaldi si trova di fronte a un caso concreto. La storia di una donna che ha perso il fratello nel lager libico e che vorrebbe raggiungere il marito già approdato in Nordeuropa. E basta proprio questo, basta appena che si affacci alla vita di Swada perché l’integerrimo (e anche un po’ asettico) funzionario, capisca l’assurdità del meccanismo di cui fa parte. Senza proclami, senza rivolte. Nella quiete borghese della sua bella casa del quartiere più chic di Padova, a tavola con moglie e figli, in una tranquilla sera d’estate. Pur essendo (forse) inferiore a La prima neve, per intensità drammatica, questo Ordine delle cose ha comunque meriti da vendere. Sul piano narrativo, sullo sviluppo drammaturgico e, last but not least, nell’ottimo cast. Attori di razza e di rara intensità, tutti perfettamente nella parte. Persino il debordante (per natura e physique du rôle) Battiston insolitamente misurato ed efficace.

 

E allora perché vederlo?

Perché per aiutarli a casa loro bisogna andarci, a casa loro, e guardarli in faccia uno a uno.

L'ordine delle cose


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