Da vedere in DVD: “BlacKkKlansman” di Spike Lee

Pubblicato il 21 Marzo 2019 in Outdoor Cinema
BlacKkKlansman

Sceneggiatura Spike Lee, David Rabinowitz, Charlie Wachtel, Kevin Willmott Cast John David Washington (Ron Stallworth) Adam Driver (Flip Zimmerman) Laura Harrier (Patrice Dumas) Topher Grace (David Duke) Ryan Eggold ( Walter Breachway) Paul Walter Hauser (Ivanhoe) Jasper Paakkonen (Felix Kendrickson) Ashley Atkinson (Connie Kendrickson) Harry Belafonte (Jerome Turner) Alec Baldwin (Kennebrew Beauregard) genere drammatico produzione Usa 2018 durata 135 min.

 

Come può un nero infiltrarsi nei vertici del Kkk e scardinarli alla base? Per interposta persona, naturalmente, che abbia i candidi connotati di suprematista bianco. È questa in soldoni la storia (vera) raccontata dall’ultimo film del più candeggiato tra i registi neri d’America. Quello Spike Lee che ragiona, scrive, gira (e guadagna) con i film quanto e più di un lobbista ebreo di Hollywood. Dunque, come spiega il titolo, un uomo del Klan dalla pelle scura. Che si procura l’aggancio giusto al telefono e poi manda in avanscoperta il collega più presentabile. Perché di poliziotti si tratta. E di un’operazione sotto copertura per incastrare quanti più wasp (white, anglo-saxon, protestant) possibili che nell’armadio di casa, accanto al doppiopetto o alla tuta della persona e lavoratore rispettabile, nascondono la tunica bianca e il cappuccio a punta. Inoltre siamo nei favolosi anni ’70. Con le contestazioni studentesche nei campus, le marce contro la guerra in Vietnam, le pantere nere, il black power, le Angele Davis imitate da tutti i giovani dai capelli ricci nell’acconciatura a pallone. Anni di rigurgiti razzisti, di grilletti facili e croci in fiamme. Insomma: tale e quale oggi. Ma il cinema di Lee è innanzitutto un’operazione sul cinema stesso e sul suo potere persuasore attraverso le immagini.

BlacKkKlansman

Ecco dunque aprire con una sequenza di Via col vento (1939) e farcire, di tanto in tanto, le immagini del suo film con quelle di Nascita di una nazione (1915) di Griffith, preclari esempi di cinema razzista secondo Lee. Ma non mancano i manifesti elettorali di Nixon-Agnew per le presidenziali (poi vinte) del 1969. Per arrivare a oggi, agli slogan trumpisti (America first) e alla strage di Charlotteville (Virginia) ad opera di un suprematista bianco nell’estate di due anni fa. Il punto è però che, fatte salve le più nobili intenzioni, il film di Lee è formalmente debolissimo, zeppo di stereotipi e luoghi comuni narrativi, banale nello svolgimento (il montaggio parallelo tra la riunione del Klan e degli studenti neri con l’anziano Turner) e approssimativo nello sviluppo narrativo. I personaggi, dai protagonisti alle mezze figure (klansmen e attivisti afro), sono più simili a figurine Liebig che a uomini e donne in carne e ossa. Lodevole lo sforzo di Adam Driver di dare spessore al suo (esilissimo) ruolo, meno convincente la prova di Washington jr (mi manda Denzel). Piccola chiosa finale: visto che il capo del cappucci bianchi si picca di riconoscere un “negro” dall’accento anche al telefono, va da sé che inflessioni, slang e parlate abbiano una certa importanza nella versione originale del film. Inflessioni, slang e parlate che finiscono naturalmente nel wc del doppiaggio. Ma continuiamo così, facciamoci del male.

 

E allora perché vederlo?

Finché ci sarà qualche paese, nazione o provincia autonoma in giro per il mondo che in qualche certificato o documento chieda la “razza” di appartenenza. Come se ce ne fossero di diverse da quella “umana”.

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