Da vedere in DVD: “Civiltà perduta” di James Gray

Pubblicato il 22 Ottobre 2018 in Outdoor Cinema
Civiltà perduta

sceneggiatura James Gray cast Charlie Hunnam (Percy Fawcett) Sienna Miller (Nina Fawcett) Tom Holland (Jack Fawcett) Robert Pattinson (Henry Costin) Angus Macfadyen (James Murray) Ian McDiarmid (George Goldie) Franco Nero (Barone de Gondoriz) genere storico-drammatico prod Usa, 2016 durata 135 min.

 

Polpettoni. Una volta era così che si chiamavano, senza particolari valenze negative, film per lo più di argomento storico, con cast affollatissimi, di durata superiore all’ora e mezza di media, dal ritmo piuttosto lento e la cui storia copriva spesso un arco temporale di decenni. Sul piano formale, il polpettone si caratterizzava dall’idiosincrasia a qualsiasi tipo di innovazione tecnico-linguistica per battere le consuete strade del cinema classico fatte di inquadrature fisse e alternanza tra primi piani dei protagonisti e campi lunghi degli ambienti, per lo più esotici, in cui essi si trovavano ad agire. In auge particolarmente negli anni ’50 del ‘900, tornano ogni tanto anche oggi. Come nel caso di questo film di Gray, alla sesta firma da regista in un ventennio di onorevole quanto opaca carriera di onesto artigiano della macchina da presa. La storia verte su un personaggio realmente esistito: Percy Fawcett, militare di carriera nell’esercito di Sua Maestà Britannica nonché geografo, cartografo ed esploratore. Di lui (e del figlio maggiore Jack) si perdono le tracce a metà degli anni ’20 in un’area inesplorata della foresta amazzonica popolata da cannibali. Non di meno le precedenti esplorazioni di Fawcett, iniziate agli albori del secolo, lo avevano già circonfuso di chiara e imperitura fama. Erano i tempi in cui si andavano colmando le ultime “aree bianche” della mappa terrestre, prima dell’avvento dei satelliti ossia quando le spedizioni marciavano ancora a dorso di mulo o su piroghe e zattere di fortuna. Al di là del polpettone, con corollario di furibonde sedute alla Royal Geographic Society e dell’immancabile “vilain” che manda all’aria una spedizione per incapacità ed egoismo, il film di Gray mostra alcuni punti d’interesse. Un pochino sottotraccia, ma non così irrilevanti da passare inosservati. Sperequazioni e riscatto sociale, innanzitutto. Nella società vittoriana ed edoardiana di inizio ‘900 il giovane ufficiale Fawcett non è accolto con favore nell’elite perché il suo cognome è macchiato da un genitore alcolista e vile sicché le esplorazioni diventano la molla per il riscatto dell’onore dell’intera casata. A costo di lunghissime assenze dalla famiglia. Altro tasto ribattuto più volte è la sensibilità ecologica ed antropologica del protagonista che ne fa un campione della tolleranza ante litteram, ossia in un’epoca in cui i popoli nativi erano ritenuti semplicemente “selvaggi”, più prossimi al mondo animale che membri della famiglia umana. Nelle due ore e un quarto di film non c’è molto d’altro, ma quel poco basta e avanza per arrivare alla fine senza debito di ossigeno.

 

E allora perché vederlo?

Perché per progredire nella civiltà bisogna guardarsi bene indietro.

Civiltà perduta

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