Da vedere in DVD: “Un sogno chiamato Florida” di Sean Baker

Pubblicato il 8 Aprile 2019 in Outdoor Cinema
Un sogno chiamato Florida

tit orig The Florida Project sceneggiatura Sean Baker, Chris Bergoch cast Willem Dafoe (Bobby) Brooklyn Kimberly Prince (Moonee) Bria Vinaite (Halley) Valeria Cotto (Jancey) Christopher Rivera (Scooty) Caleb Landry Jones (Jack) genere drammatico prod Usa 2017 durata 111 min

 

Siamo a Kissimmee, sobborgo di Orlando (Florida), dove capita di abitare in Via dei Sette Nani e dove il rumore di fondo della giornata è il traffico di un’autostrada e il motore dell’elicottero che porta a spasso i turisti. In altre parole siamo intorno e dietro il più grande Parco Divertimenti del mondo della Disney. Dove il degrado, l’ignoranza, la povertà, il malessere trovano alloggio in motel abbandonati o riciclati in residenze per immigrati e soggetti border-line. Mamme single, per esempio, con stuoli di ragazzini abbandonati a loro stessi. È la provincia profonda, sono i fast food nemici della salute, i supermercati zeppi di paccottiglia, i negozi di regali a forma di mago, le gelaterie a forma di cono, i turisti in bermuda e infradito… Insomma, un bel ritrattino dell’America contemporanea con la macchina da presa costantemente a 1,10m d’altezza: la statura di un bambino. E poco male se gli adulti non entrano per intero nell’inquadratura.

Perché i protagonisti, o meglio i testimoni, del ritratto sono alcuni ragazzini che abitano la squallida periferia del paese che vorrebbe essere la guida del mondo. Sguardo infantile e per questo innocente, dell’unica innocenza rimasta perché tutto il resto è violenza e degrado. Violenza quotidiana, sommessa, che sta dentro le cose, le persone che non hanno conosciuto altre realtà. Bambini allo sbando, destinati in qualche caso all’affido temporaneo o costretti a seguire la madre sui marciapiedi alla ricerca di qualche dollaro con cui sfamarsi o pagare l’affitto. E quando arriva la cuccagna, frutto naturalmente di reati, si spende e si spande in sciocchezze e cibarie nocive. Unico barlume di normalità è Bobby, il gestore del residence, cui spetta l’ingrato compito di far rispettare i regolamenti, ma anche di sorvegliare i marmocchi in assenza delle madri. La scelta stilistica dello sguardo infantile permette al regista di raccontare il male senza farlo pesare, senza strillarlo, ma relegandolo a quinta di un sogno destinato fatalmente a infrangersi: il “sogno americano”. Un film americano sull’America come non si vedeva da decenni: graffiante, aspro, a volte persino feroce e assolutamente credibile nel rappresentare la nuova realtà trumpista a stelle e strisce. Non a caso il regista Sean Baker ha detto di essersi ispirato “ai film degli anni ’70 di autori come Hal Ashby e Robert Altman”. Ossia di due tra i più feroci oppositori dell’American Way of Life, naturalmente finiti nel dimenticatoio.

 

E allora perché vederlo?

Per capire a cosa porterebbe l’americanizzazione del pianeta.

Un sogno chiamato Florida

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