“Il complesso di Giano”, Capitolo 8

Pubblicato il 26 Luglio 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 8

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Norma ebbe palpitazioni ed extrasistole per cinque minuti abbondanti. Poi in qualche modo si ricompose, riconducendo se stessa ai propri doveri.

Mentre stirava si chiese cosa avrebbe pensato Gabriele se avesse saputo quella storia assurda.

“Mi odio per avergli detto quello che ho detto. Se poi penso a quello che non gli ho detto! È tutta colpa mia!”

“Non sarebbe contento di sapere che rubi nei supermercati.” osservò Degarm CK.

“Il solito impiccione! Fosse l’unica cosa che devo nascondergli! Ma almeno questa la posso confessare.” Lo chiamò all’istante. “Senti, Gabriele, devo rendere una confessione spontanea. Ho rubato un giocattolo al supermercato. Mi dispiace. Cioè prima non mi dispiaceva, ma adesso che ho una relazione con un tutore dell’ordine è diverso. Noi abbiamo una relazione, vero?” 

“Per il furto, verrò domani pomeriggio da lei a raccogliere la testimonianza. Per la relazione, confermo. Buona serata, signora.”

“Era solo una scusa per sentirlo.” commentò CK.

“Stregone impiccione!”

Arrivarono i bambini, accompagnati da Mattia.

“Ci siamo divertiti da pazzi. Vero?”

I due erano galvanizzati, e lei era felice di vederli.

Mattia era affettuoso in modo formale, come si conviene a uno che fino a pochi giorni prima non vedeva l’ora di impalmare l’ex moglie ma che ora si vedeva benissimo che aveva per le mani ben più giovani palmi che gli interessavano assai di più.

Tanto meglio. Sensi di colpa più smussati.

“Vi offrirei una pizza da asporto, ma purtroppo avevo già un altro impegno. Mi attende una serata noiosa.” Disse lui.

“Immagino. E poi chi mai ti aveva invitato a cena?” Ma no, poverino, era stato bravo. Perché trattarlo male? “Scherzavo, Mattia.”

“L’avevo capito. Ciao, bambini, ci vediamo mercoledì pomeriggio. Ciao, bambolina.”

Il ‘ciao papà’ lo raggiunse che già stava sulle scale, così come il ‘bambolina a tua nonna’ sussurrato da Norma.

“Cosa avete fatto di bello?” chiese Norma.

“Niente.” solita risposta di Ludovico.

“Giocato, mangiato, parlato.” tipica risposta di Samuele, che deteneva la splendida sintesi del participio passato.

A seguire bagno e cena con domande. Partecipava anche CK. Un cartone animato distraeva Samuele. I tre si leggevano nel pensiero, in modo che il piccolo Sam non si spaventasse.

“Ludovico, sai dov’è il robot bianco che ti ha regalato la mamma al tuo compleanno?”

“Murukai? Non lo trovo più. Perché?”

“L’ho trovato io.” disse Norma.

“Me lo puoi dare che mi serve per giocare?”

“Non è qui.”

“E dov’è?”

“Sei sicuro di non saperlo?” Lo incalzò Norma.

“Ludovico, per caso negli scorsi giorni hai fatto qualcosa di strano?” Intervenne CK.

“No, CK.”

“Sicuro di non essere andato in qualche posto nuovo?” Continuò il mago.

“Quale posto strano? Sono andato a scuola.”

“Abbiamo trovato Murukai in un posto molto lontano. Mi vuoi spiegare com’è finito lì?”

Norma si stava alterando.

“Non lo so, mamma. Non-lo-so.” Il tono era diventato di sfida.

“Devi dire la verità. Abbiamo bisogno di sapere dove l’hai perso, ti prego.” Lo supplicò CK.

“È la verità. Non so dov’è.” Rispose Ludovico. “Sono stato solo a scuola e in piscina.”

“Insomma, Ludovico, non capisci che è una cosa importante?” Norma era arrabbiata e spaventata.

“Stai calma, Norma. Così non ottieni niente.” Disse CK.

“Allora cosa facciamo?”

“Seguiremo un’altra pista. Se Ludovico dice che le cose stanno così, stanno così.”

Norma in quel frangente si sentiva impreparata a scoprire per conto suo qualsivoglia cosa. Era per questo che doveva avere risposte da suo figlio maggiore, l’unico che aveva le capacità per vedere qualcosa di sensato in quella nebbia.

“Ti prego, aiutaci.” disse.

“L’ho perso io, mamma.” Sussurrò una vocina. A parlare era stato Samuele. Ma com’era possibile? 

“Cosa?” Norma era a tal punto sbigottita che non le venne in mente che lei, Ludo e CK stavano comunicando con il pensiero. Un particolare non da poco, se vogliamo.

“Murukai l’ho perso io, mamma.”

“Sei sicuro?”

“Sì, mamma.”

“Ci eravamo sbagliati, CK. Il robot che abbiamo visto non era il nostro.” Osservò Norma stolidamente. “Il nostro deve essere qui in casa da qualche parte.”

“No, non è in casa, mamma.” Disse Samuele, stavolta facendosi capire molto bene.

Norma restò pietrificata sul posto, perché Samuele aveva comunicato con il pensiero. Si concesse un ultimo dubbio.

“Ludovico, sei stato tu?”

“No, Norma. È stato Samuele.”

Era stato Samuele.

“CK, dimmi che ho capito male e non è vero che un bambino di sei anni gira per le dimensioni con in mano un giocattolo.” 

Ludovico non pareva sorpreso. “Sam, dobbiamo farti alcune domande.”

Norma si sosteneva la fronte con la punta delle dita, pensando a cosa succedeva ai suoi figli mentre lei si perdeva via. Pensava alle ciabatte insanguinate e al bambino massacrato. A a suo figlio lì con Murukai.

Samuele rispose. “Ieri sono andato in un posto e ho conosciuto Essem. Poi sono tornato ancora e gli ho regalato Murukai.” Essem, e chi era Essem? Probabilmente il bambino che stava vicino a Murukai. Mamma mia, non doveva pensarci, non voleva pensarci.

“Il problema è che per Samuele tutto è ieri.” Disse Norma.

“Perché, per noi non è così?” replicò CK.

Che insopportabile, la filosofia di quel vecchiaccio in abito lungo.

“Poi non sei andato più?” chiese CK.

“Sì, una volta, ma Essem non c’era più.”

“Essem ti ha dato qualcosa?”

“Sì!”.

“Mi fai vedere il regalo di Essem?” chiese CK.

Samuele andò nella sua stanza e tornò con una foto, che ritraeva Essem insieme a quelli che dovevano essere la sua mamma e il suo papà. Sorridevano nella piana dei cadaveri, quando era ancora verde e piena di.

Norma sentì una fitta immensa e intensa, che non riusciva a placarsi.

“Guarda, nelle altre dimensioni stampano le foto, come ai vecchi tempi.” Osservò CK.

“Beato te che hai ancora voglia di guardare.” Norma aveva la nausea e non pensava ad altro che al sangue sul volto di un bambino di cui non solo ora sapeva il nome, un bambino che aveva giocato con suo figlio. Pensò che non c’era più salvezza.

“Chi è questo? Il papà di Essem?” chiese Ludovico.

“No, non è il papà di Essem. Essem non ha il papà.” Disse Samuele.

“E tu come fai a saperlo?” Insistette il fratello.

“Ma cosa c’entra?” sbottò Norma. Ludovico non sapeva fare le domande.

“Quello è un signore che ho incontrato anch’io, in un altro posto.” Aggiunse Samuele.

Quella era una svolta. Magari. O magari no. Ludovico sì che sapeva fare le domande. Ma Norma aveva la mente intrisa di sangue e il pensiero di quell’uomo vicino a suo figlio la sconvolgeva. Era lui il cattivo, se un cattivo esisteva?

Ma cosa c’è da salvare in un mondo in cui le risposte sono affidate al filtro della mente dei bambini, perché gli adulti sono inutili perché pensano a robe da nulla?

“Andiamo tutti alla piana.”

“Ma tu sei fuso, CK. ”Sussurrò Norma all’orecchio di CK. “Io non ce li porto due bambini piccoli in mezzo ai morti in putrefazione.”

“Cosa dobbiamo fare, allora? Dillo tu.”

Norma non aveva ancora trovato una singola risposta. Non una. Non trovò nemmeno questa.

La vita non è un intreccio ben congegnato, ma un flusso di eventi senza una sceneggiatura né un’ossatura di trama. Anche a saper leggere i simboli e i segnali non sempre si trova una soluzione e dietro certi avvenimenti, se un pensiero c’è, non si capisce mai bene che significato abbia.

“Aspettiamo fino a domani.” Propose Norma.

“Credi sia una soluzione? Aspettare cosa?” sbuffò CK.

“Aspettiamo lo stesso. Andiamo quando torno.” L’indomani mattina Norma aveva un importante appuntamento di lavoro, per quanto il grado di importanza degli avvenimenti nella sua mente stesse cambiando in modo molto rapido.

Comunque all’appuntamento ormai ci doveva andare e alle ore 8 e 35 della mattina dopo era in stazione. Salì e prese posto a caso, senza guardare niente in particolare. Poi alzò lo sguardo, come se qualcosa la obbligasse a farlo.

Vedendo l’uomo che sfogliava la rivista ebbe la percezione del male. C’era qualcosa di distonico in quella creatura ossuta che scrutava con apparente indifferenza la pubblicità di un’automobile, ma che nelle dita aveva un movimento insettiforme, come una mantide velenosa. Continuava a lamentarsi del freddo, ma faceva un caldo dell’accidente. Un caldo oggettivo, per la miseria, non soggettivo.

Norma trovò che era giunto il momento di ripetersi la sua privata quotidiana litania di infiniti.

“Ricordarsi di desiderare

Premurarsi di sperare

Sincerarsi di sbagliare

Osservare e imparare

Provare e riprovare.”

E questo cosa c’entrava?

 

 (segue)

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