“Il complesso di Giano”, Capitolo 10

Pubblicato il 9 Agosto 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 10

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La presa di coscienza di sé richiede molto tempo: si tratta di una corsa davvero verso l’alto, e spesso la direzione è altrove rispetto a quella scelta. 

Aveva sempre l’impressione di buttare il tempo. Impressione netta, radicata in epoche remote della sua esistenza, ma ora tanto più presente. Stava per andare in un posto schifoso, portandosi appresso dei bambini, e quello era tempo peggio che sprecato: era tempo sporcato.

“Dobbiamo andare, Norma. Niente scuse.” CK aveva ragione. 

“È solo che mi sembra un trauma inutile.” Cercava scuse.

“È l’unico indizio che abbiamo trovato dall’inizio della ricerca, Norma.”

Intanto i bambini mangiavano una cena confusa, perché lei aveva perso il controllo, anche quello dietetico. Niente di insolito, da questo punto di vista.

“Andiamo, mamma.” Esordì Samuele dopo aver finito uno yogurt al cocco.

“Sono pronto.” Disse Ludovico mentre mangiava un pompelmo.

“Io no.” Confessò Norma. Beati i bambini, che riescono a consumare frutta e dessert mentre il mondo finisce.

Un attimo ed eccoli in quella piana che puzzava ormai come una piaga e che dall’aspetto la ricordava. L’esperienza fu orrenda come ampiamente previsto da Norma.

Samuele teneva per mano CK, che lo portò da Essem. Quando Samuele lo vide non disse niente, ma i suoi occhi presero una specie di fissità, come se la sua anima si fosse per la prima volta incrinata.

Ludovico, che era con loro, era stranamente freddo.

Afferrò il robot insanguinato e lo porse a suo fratello. Samuele stringeva il giocattolo senza guardarlo, aggrappato da una parte a CK e dall’altra al braccio di plastica di Murukai.

“È stato il signore della foto?” Ludovico lo incalzava con la stessa ferocia con cui gli faceva i dispetti quando giocavano nella loro stanza. Per Samuele gli adulti erano tutti signori.

Norma era stupita dal gelo nella voce di quel bambino. E dal fatto che avesse compreso in un attimo la dinamica di fatti così inspiegabili.

“È stato lui che li ha uccisi? Eri qui, quando è successo?”

“Sì.” Sussurrò Samuele, che era così spaventato che la voce non riusciva quasi a uscire.

“Dov’eri?” Sam indicò una casa. “Ero nascosto lì. Poi lui è venuto, ha buttato per terra tutta la frutta che c’era sul tavolo ed è scappato via. Piangeva.”

“Piangeva? E perché?” chiese Norma.

“Tu stai zitta, mamma.” Ordinò Ludovico. “Dove l’avevi conosciuto, Sam?”

“Ma cosa c’entra? L’avrà incontrato qui.” Intervenne Norma.

“Ho detto zitta. No, non l’ha conosciuto qui. È stato lui a portarlo qui.”

“E come fai a saperlo?”

“Lo so.” Ludovico intuiva cose che agli altri erano precluse. “Samuele, devi dirci dove hai conosciuto il signore della foto. Tu non c’entri niente con quello che è successo, non preoccuparti.” Ludovico mostrava un discernimento imprevisto.

CK stringeva la mano di Samuele per fargli coraggio.

“Su un’isola.” Disse Samuele.

“Puoi portarci lì?” 

Sì, poteva.

L’isola sembrava greca, anzi era proprio identica a quella di un film che Norma aveva visto di recente. Era molto prevenuta contro tutti i registi e gli sceneggiatori, ora che sapeva che avevano avuto una vita fin troppo facile. Bello avere la pappa pronta! Erano sulla spiaggia a pochi passi da un edificio bianco, sul cui tetto spuntavano molte antenne. “Lì dentro ci sono i miei amici.” Disse Samuele.

Ma che vita segreta aveva, quel moccioso, di cui lei, la sua insensata madre, era all’oscuro?

Norma si sentiva sempre più in colpa, sempre più sciatta e distratta.

Samuele corse dentro la casa. Lei e gli altri lo raggiunsero in un attimo.

Dentro c’era una stanza vuota.

“Guarda, Norma.” Disse CK.

“Guarda tu, CK.” Non ne poteva più. Poi guardò, ma non c’era niente, se non un’impressione di morte. Norma d’istinto prese i suoi figli per mano e uscì all’aperto, come se spostarsi di qualche metro all’interno di un incubo universale potesse procurare qualche sollievo. Era un posto così bello, per la miseria! Norma cercò di concentrarsi sulla bellezza e sulle manine dei suoi bambini chiuse nelle sue. Ma come si fa?

Samuele si scosse dalla fissità e pronunciò un nome: “Alex! È lì.” 

Infatti c’era un tale che si stava avvicinando. Ma da dove era sbucato?

“Samuele! Samuele! Sei tu?” L’uomo si avvicinò di corsa e allargò le braccia. “Samuele, vieni qui, piccolino!”

Si abbracciarono in quella spiaggia meravigliosa di fronte a un meraviglioso mare, e sembrava che entrambi, il grande e il piccolo, si aggrappassero ciascuno all’altro venuto da chissà dove, come se da ciò potesse derivare una speranza. Ma forse non era così, perché un abbraccio di fronte a una pur soleggiata rovina è solo un gesto, e la rovina resta.

Norma si presentò come la madre di Samuele, e Alex subito la guardò storto, forse perché la riteneva una madre da poco, visto che lasciava che suo figlio di pochi anni sfidasse mondi paralleli con pericoli di morte.

Non se n’era accorta, un po’ perché troppo presa dai fatti suoi e un po’ perché da sempre sottovalutava il figlio minore. Cosa spiegare? Che non sapeva nulla di quanto accaduto? Tale affermazione non avrebbe testimoniato a suo favore. Passò quindi ai fatti.

“Per caso qui è successo qualcosa, Alex?”

“Quando? Prima o dopo? Volete un tè con qualche biscotto? Seguitemi.”

Norma era sconcertata, ma non aveva mai fatto merenda in un’altra dimensione, e il tè era buono.

Anche il pergolato sotto il quale stavano piacevolmente seduti le pareva di averlo già visto, ma le cose che sentì no, e magari questa volta le avrebbe usate lei in un libro, se mai fosse riuscita a finirne uno.

“Siamo arrivati qui tre anni fa.”

Norma si chiese perché capiva ciò che lui diceva e perché nelle altre dimensioni parlassero nella sua lingua, come succede nei film.

“Trenta soldati. Un presidio meteorologico. Si stava diffondendo la mania degli studi sui mutamenti del clima.”

Perché hanno il tè nel punto x di una galassia alternativa o di un’altra dimensione parallela che dir si voglia? Altra questione rilevante.

“Quasi tutti scienziati tranne me, che ero l’addetto alle vettovaglie.”

“Come vi procurate il tè?” chiese Norma. Una domanda stupida!

“Lo coltivo nell’orto. Dalla terraferma ovviamente non arriva più niente.”

Ovvio. Anche nel punto x dell’universo c’è l’orto. Da quando in qua il tè si coltiva nell’orto? Boh. Norma decise di glissare sulla provenienza dei biscotti. Chissà di quale terraferma si trattava.

“Subito dopo il nostro arrivo sono iniziati i problemi di collegamento. Per qualche giorno siamo rimasti isolati, ma non eravamo molto preoccupati, perché, anche se non riuscivamo a ricevere alcuna comunicazione, non incontravamo intoppi nella trasmissione dei dati. E invece era la fine.”

“Come?” Norma trasalì. Quel tizio era lì da solo e parlava al plurale. Dov’erano finiti gli altri?

“Ci preoccupavamo del clima, ci ha ucciso qualcos’altro.”

Quindi erano morti tutti. Ma in che posto erano? “Scusa, in che pianeta siamo?”

“Zatarra. Be’, quel che resta di Zatarra.” sorrise Alex.

“Mamma, possiamo andare a giocare con la sabbia?”

“Sì, certo. Andate.” Si vede che non erano interessati al destino di Zatarra. Zatarra? Un nome decisamente bruttino.

“Non ho ancora capito da dove venite tutti voi. Sam non se lo ricordava.”

“Da Terra.” disse Norma.

Che senso ha definire dei luoghi, quando essi non danno maggior senso all’abissale distanza? Abissale non era un aggettivo esagerato.

“Non so come, ma un giorno è finito tutto. Abbiamo ricevuto comunicazioni confuse, che parlavano di problemi tecnici imprevisti. Poi non c’è stato più niente, perché erano i problemi tecnici della fine del mondo. Qualche settimana dopo sono arrivate delle persone. Alcuni profughi sconvolti e malati. Poi un giorno è arrivato Samuele, bello e sano. Ci è sembrato un buon segno. Un giorno è arrivato lui, quell’essere. Età indefinibile e una faccia indefinibile, che la guardavi ma non riuscivi a ricordartela. Aveva gli occhi a mandorla ed era elegante, fin troppo. Ci portava cose in dono, ma noi sapevamo che lui, così come il bambino, non arrivavano dalla terraferma.

“Ma come avete fatto a non stupirvi di vedere spuntare un uomo e un bambino dal nulla?” chiese Norma.

“Avevamo visto finire il nostro mondo. Cosa doveva stupirci ancora?”

Aveva ragione. Non farsi domande in certi casi è la migliore opzione, da scegliere senza esitazioni.

“La sua ultima visita è coincisa con la morte di tutti i miei compagni. Li ho trovati riversi a terra in casa, due giorni fa.”

Norma comprese il motivo per cui si era sentita così a disagio, arrivando.

“Appena mi sono sentito in grado, li ho seppelliti. Sto impazzendo per la paura di confessare a me stesso che sono rimasto solo.”

Norma capiva bene l’argomentazione. Mostrò ad Alex la foto con Essem e il cattivo (ah, che definizione puerile!). L’uomo riconobbe il cattivo. Sì, era proprio lui. I connotati del male quindi, come previsto, erano quelli. Guardò CK, che era rimasto tutto il tempo seduto di fronte a lei in silenzio. Ora, le domande erano: Cosa sta cercando di fare costui? Dov’è?

CK richiamò i bambini.

Alex aveva una risposta alla seconda domanda. “So dove abita. O meglio, ho visto immagini e sentito descrizioni. Ci portava sempre alcuni frutti gialli che crescevano sul suo pianeta di origine. Viveva in un’isola a forma di triangolo, vicino ad antiche costruzioni di pietra, costituite da lunghi cilindri allineati a formare un rettangolo.”

“Un po’ generico, mi pare. E che posto sarebbe questo? Dove si trova?” osservò giustamente Norma.

“Sulla Terra.” Disse Ludovico. Non si capiva come facesse a saperlo, ma a quanto pare lo sapeva, visto che sembrava così sicuro.

“Sì.” Concordò CK. Doveva essere così, se lo diceva Ludovico.

“Perché?” chiese Norma.

“Perché i limoni sono gialli.” Osservò Samuele indicando lo spicchio spremuto che c’era di fianco alla tazza di Norma. Era un limone, era lì, in quella improbabile dimensione in cui si venivano a trovare. Chi l’ha detto che i limoni debbano essere una prerogativa terrestre? E proprio della Terra posta nella dimensione conosciuta da Norma?

“Aspettate!” Alex entrò in casa e uscì con in mano una cassetta di agrumi marca Trinacria.

Norma vide i pensieri passare al ralenti, come quando i misteri finalmente prendono una forma inaspettata e vicina. Ora sapeva dove sono gli edifici rettangolari tenuti su da cilindri sottili. Sono i templi greci, che hanno le colonne. “Magari è Selinunte!” Si sentì un genio, o qualcosa del genere.

“Incredibile.” Disse CK. Sembrava stupito.

“Andiamo. È La Valle dei Templi di Agrigento, ma c’eri vicina. Brava mamma!” Disse Ludovico, che aveva preso la leadership. Per fortuna. Lui era decisamente un controllore più bravo.

“Aspetta.” Disse Samuele. “Prima devo salutare Alex.”

“Credevo di dover attraversare infiniti mondi e di dover affrontare infinite prove e invece è stato più facile del previsto.” Norma penava che le era andata bene, ma non era del tutto convinta. Quando va così bene c’è sempre una coda di serpente prima della fine. Non era ancora finita. Norma sperò ancora una volta che tutto fosse tutto una deviazione della sua fantasia, che nulla fosse vero. Che il mondo che finisce fosse dentro di lei, e fuori niente, ma solo la normalità che riproduce se stessa all’infinito. Magari.

Iniziare, finire, e poi tutto l’agitarsi che ci sta in mezzo. La vita è questo, in breve. Ma ci sono tanti tipi di agitazione, in quella parentesi che è il mezzo. Era arrivata fin lì e non aveva capito ancora nulla. Non sapeva se c’era una logica in quei fatti, non sapeva nemmeno se c’era una logica nelle cose. Non sapeva cosa era vero e nemmeno se valeva la pena di darsi pena di scoprirlo, o di lottare ancora. Sì, c’erano i suoi figli. Ecco, loro erano l’ultimo logico appiglio. Logico forse no, ma appiglio di sicuro.

Norma iniziò a sospettare che l’universo o chi per esso fosse tutto una perdita di tempo.

 (segue)

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