“Il complesso di Giano”, Capitolo 2

Pubblicato il 21 Giugno 2018 in Letture Ideas

“Il complesso di Giano”, Capitolo 2

(Scaricare il pdf del capitolo se si preferisce stampare e  leggere …senza occhiali)

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“Una vita che lotto per espugnare questo sputo di terra e mai ho ottenuto lo scopo. Allora ho inventato questo cammello di Troia. Animale cavo all’interno, e vuoto, con una lunga coda di paglia infuocata. Mi metto tra le due gobbe (e se anche il cammello ne ha una, il mio no) e mi lancio all’assalto delle mura, da sola. Abbatto la porta. E poi, con la forza della rabbia che mi guida, costringo tutti i miei nemici ad entrarci dentro. Poi lancio il mio lento destriero in una corsa pazza giù dal pendio, verso lo strapiombo. Il cammello finisce nel burrone insieme al suo molesto contenuto. Io sono scesa per tempo. E che, scherziamo? Avrò imparato qualcosa, in vent’anni d’assedio. Guardo la fine dall’alto della torre nemica, che ho conquistato.”

Aveva scritto un sacco di righe. Per lei metterne giù più di dieci tutte insieme era da considerarsi un successo. Andò a bere dispiacendosi per la sorte del cammello di legno (per quella dei nemici no) sapendo che lui, il fantasma, era lì.

Non sapeva che quella sera per la prima volta l’ectoplasma si era deciso a parlare. Le disse alcune parole a caso: “Esterel, crepuscolo, un uomo con un cane nero.”

Esterel, crepuscolo, un uomo con un cane nero. Aveva capito bene?

Tornò a letto con l’intenzione di rifletterci sopra. Non era nemmeno sconvolta più di tanto. Colpa dello stress. E delle macchie.

Allora, cosa devo fare?

Un pensiero di quattro parole e il sonno già cercava di prendere il sopravvento.

Ormai non mi tengono sveglia nemmeno i fantasmi, accidenti.

Però non poteva non sforzarsi di capire. In fondo era la prima volta che un ectoplasma le rivolgeva la parola. Si impose di restare sveglia. Perché i fantasmi mi parlano? Cosa sta succedendo?Si addormentò nel mezzo di quella mezza riflessione.

Suonò la sveglia. Già mattina? Dov’ero rimasta?Eh, giusto, doveva riflettere. Intanto consumava il tempo, quella cosa agitata che si svolge tra il suono della sveglia e il successivo sonno. La giornata passò come al solito in una stupida sequenza di microspostamenti e impegnucci.

Alle sette e mezza di sera Maddalena arrivò con Diego e un film. Toh, guarda chi si vede.

“Mamma, abbiamo affittato un film. Lo vuoi vedere con noi?”

“No, grazie, devo finire un lavoro.” Il cinema era la sua passione. Tutto il cinema, meno le commedie romantiche, il genere preferito di sua figlia.

Loro evitarono di insistere, non perché volevano restare soli, ma perché sapevano che lei avrebbe iniziato a lamentarsi dalla prima scena e si sarebbe fermata solo dopo i titoli di coda.

“Tu lavora tranquilla.”

“Grazie.” Norma si rintanò in stanza a vedere il film di fantascienza che aveva scaricato da internet, con la scusa che non riusciva a lavorare bene senza un film di sottofondo.

Mise fuori il naso solo alle nove e trenta per salutare.

“Non preoccuparti, pensiamo noi ai ragazzi.”

“Grazie.”

Lavorò a una traduzione fino alla una e poi si accasciò sull’ottavo capitolo di un libro veramente narcotico. Vorrei proprio conoscere colui che pensa che qualcuno si diverta leggendo questo genere di storia.

Aveva cercato per tutto il giorno di non pensare ai fantasmi, perché vederli le sembrava già abbastanza, e in effetti lo era.

Verso le tre di notte di svegliò e come al solito andò in cucina a bere. Guardò dritto avanti a sé sperando che l’amico defunto non si facesse sentire, ma lui aveva ancora qualcosa da dire.

“Esterel, crepuscolo. Cerca un uomo con un cane nero. Devi sbrigarti, Norma.”

Non svanì. Resto lì a fissarla. Norma si chiese perché non le era mai venuto in mente di portarsi l’acqua in stanza in caso di sete notturna.

”Da quando in qua i vivi fanno paura ai fantasmi?” Disse nel tentativo di esorcizzare la paura che aveva lei. Non era per via della visione di un fantasma, ma per il di lui sguardo pieno di preoccupazione, più che di terrore. Ma sì, era anche, e soprattutto, per via del fantasma.

”Come fai a sapere il mio nome?” Una domanda stupida. Se un morto riesce ad apparire ai vivi, vuoi che non sappia come si chiamano?

“Esterel, crepuscolo Cerca un uomo con un cane nero. Devi sbrigarti, Norma.” E sparì. Boh.

Perché dovrei andare in Francia?

Sapeva bene dove si trovava l’Esterel (un caso, poiché in generale era piuttosto ignorante in georgrafia). Un posto bellissimo. C’era passata una volta in macchina, ma non si era mai fermata. Era vicino alla vecchia casa di famiglia in Costa Azzurra. Un minuscolo appartamento vista mare che amava e che aveva dovuto vendere per l’impossibilità di mantenerla. Una rinuncia fastidiosa, come tante che le erano toccate. Non chiuse occhio pensando all’Esterel e la mattina dopo decise di partire per il mare.

Faceva freddo, ma non importava. In fondo ai bambini avrebbe fatto bene una vacanza di tre giorni.

“Maddalena, ho deciso che domani parto per Roquebrune. Vieni anche tu?”

“Sai che non posso, mamma, ma mi fa piacere che tu vada via per qualche giorno. Ti aiuterà a rilassarti. Come mai vai proprio lì?”

“Così, perché mi va.” Non aveva voglia di dare spiegazioni che non aveva e per fortuna Maddalena aveva come al solito una gran fretta.

Sì, ma con chi poteva andare? Chiamò sua cugina Silvia.

“No, non posso. Mercoledì prossimo inizio lo stage.”

Eh, già, lo stage. Adesso lavorare gratis si chiamava stage.

E invece pagarsi un viaggio assurdo per conto di un fantasma come si chiama?

Sarebbe andata per conto e si sarebbe arrangiata come al solito. Chiamò Mattia perché i bambini quel week end toccavano a lui.

“Che bella idea! Ti aiuterà a rilassarti!”

Chissà perché tutti auspicavano il suo allontanamento e il suo rilassamento.

“Mi confermi che i bambini nel fine settimana stanno con te?”

“Posso proporti una cosa, Norma?”

No, non puoi propormi niente di niente. Le tue proposte non mi interessano nemmeno un po’. Pensò ma poi disse “Certo, Mattia, le tue proposte sono le benvenute!”

“Stavo giusto pensando di prendermi qualche giorno di vacanza. Mi piacerebbe accompagnarvi. Così posso tenere i bambini e tu sei libera di fare quello che vuoi.”

Tipo mandarti all’inferno, buttarti giù dal dirupo e sfracellare le tue ossa sugli scogli? Perché no? Mi pare un’ottima idea.Pensò ma poi disse. “Be’, sì, ecco, non saprei … E Carlotta?” Carlotta era la ragazzetta per cui l’aveva lasciata.

“Non pensare a Carlotta. Non stiamo più insieme.” Confessò Mattia con una vocina verminosa.

“Ti ha mollato lei, vero?” Questa volta il pensiero era diventato voce. O mamma mia, cosa aveva detto?

“Ti sbagli. Ci siamo detti addio di comune accordo perché sentivamo di non avere più nulla da dirci.”

Già finito di comunicare in così poco tempo? Complimenti a entrambi per la varietà di argomenti!Questa volta fu più attenta e tenne le labbra cucite.

No, non me ne frega nemmeno un po’, anzi rido. Pensò ma poi disse “Mi dispiace. Davvero.”

“Sai, Norma, ho pensato tanto a noi due …”

Ma quante cretinate riesce a dire in pochi minuti una persona che si crede intelligente?

“Guarda che non sto tentando di tornare indietro. So quello che ti ho fatto e non mi illudo che tutto possa tornare come prima. Ti giuro che ti accompagno solo per sollevarti un po’ dalle responsabilità e poi ai bambini farebbe bene.”

Ma quante banalità riesce a proferire in breve termine di tempo una creatura normodotata? Norma lo lasciò sproloquiare. Cosa doveva dirgli? Non voleva proprio assolutamente riprenderlo indietro.

No, ogni cellula del mio corpo dice no, che non ti voglio più al mio fianco. Non ti voglio più. Capito? E poi ai bambini non fa bene per niente fare finta di avere una famiglia con mamma e papà insieme, quando mamma e papà insieme non sono e non torneranno mai più. Mai più, capito?Pensò.

“Può essere fattibile. Vorrei partire domani mattina sul presto.” Disse.

“Mi va benissimo. Allora arrivo verso le otto, carico la macchina e andiamo.”

Era la prima volta che non creava storie per la data e l’ora della partenza. Le faceva quasi più paura del fantasma. “Dove alloggiamo?”

“Ho visto un bed and breakfast sul mare. Un po’ caro. Ovviamente dovremo prendere due stanze.” Ovviamente.

“Nessun problema, Norma. Sarà per me un onore provvedere.”

Miracolo, offriva lui. “Perfetto, Mattia. A domani.”

“A domani. Grazie, tesoro.”

Tesoro a chi?

Colazione, scuola, casa. Fingere di lavorare.

Prima di andare a scuola scrisse alcune mail contenenti scuse improbabili perché, partendo, avrebbe consegnato tardi due lavori. Cercò di essere spiritosa e insieme propositiva.

Disse che doveva andare via con urgenza, ma che avrebbe lavorato nel week end e consegnato tutto entro lunedì. Bugia. Non contava affatto di lavorare durante la sua assenza. Ma cosa poteva dire? Che partiva perché gliel’aveva consigliato il fantasma che viveva in salotto e che doveva cercare qualcuno che non conosceva in un posto astruso?

Valigie, scuola, casa. Fingere di lavorare.

Aprì il computer cinque o sei volte, perché quel maledetto catorcio si bloccava ogni volta che tentava di avviare qualsivoglia programma. Acceso. Finalmente si sarebbe messa a scrivere.

“Mamma, ho fame!”

“Mamma, Samuele ha tolto la spina della televisione!”

E poi urlare, e poi sgridare, e poi fare il toast, e poi la brioche sbriciolata in tutta la cucina e la cioccolata spiaccicata.

Finalmente di nuovo sulla tastiera. Il computer bloccato di nuovo.

“Mamma, mamma, mamma. Vieni a vedere dove siamo arrivati con Assassin’s Creed?”

Mi arrendo. Spense il computer e andò a giocare a giochi elettronici inadatti ai suoi figli. D’altronde ciò che di più inadatto avevano intorno quei due bambini era la madre.

Altro giorno muto, altro tempo passato.

Domani, partenza.

La mattina chiamò Mattia dicendo che gli si era guastata la frizione e che quindi se non le dispiaceva troppo doveva passare lei a prenderlo. Oppure poteva venire lui in treno.

Fino a diciamo pochi giorni prima Norma gli avrebbe risposto passo io, ma questa volta gli disse di venire in treno. Lui arrivò sorridente, caricò la macchina stranamente senza lamentarsi come un bisonte bolso e rognoso e salì a salutare Maddalena.

Lei gli andò incontro con la solita sobrietà, senza baciarlo, ma aveva gli occhi felici ed era rimasta a casa apposta per vederlo. “Papà, come stai?”

“Benissimo. E tu non vieni con noi?”

Norma pensò che certo lui vedeva in lei la bambina sola e triste che avevano conosciuto da ragazzi e che amavano entrambi come una figlia, malgrado l’età anagrafica non lo consentisse.

Il viaggio fu tranquillo e del tutto silenzioso. Norma non aveva voglia di parlare. Pensava piuttosto al suo appuntamento.

Si fermarono a pranzo in un ristorante vicino a Bordighera e, poco dopo l’arrivo, Norma comunicò all’ex-marito redento che usciva.

“Dove vai?”

“Ho da fare. Perché, c’è qualche problema?” Lo aggredì Norma. Lei gli cresceva i figli mentre lui si faceva gli affari suoi e invece era tenuta a fornire accurata giustificazione per ottenere regolare permesso?

“No, figurati, anzi.”

Ora lui le avrebbe chiesto se tornava per cena.

“Torni per cena?”

“Non aspettatemi. Ciao, tesori.” Baciò i suoi figli. “Ciao, Mattia.” Lui non era un tesoro suo. Uscì.

Esterel. Crepuscolo. Guidava sulla strada che costeggiava il mare e non vedeva niente, perché aveva il sole contro.

È poetico, per carità. Ma sai che poesia andare a tre all’ora per paura di precipitare giù dalla scogliera. E adesso dove vado? Qui ci sono chilometri di costa, porca miseria. Perché mi infilo sempre  in queste situazioni?Parlava da sola, come probabilmente fanno tutti quelli che vedono i fantasmi.

Si fermò a una piazzola. Magari lì avrebbe trovato il suo uomo con cane.

Invece niente. Non c’era nessuno.

Ripartì. Altra piazzola. Niente. Non c’era nessuno. Bella vista, però.

Rocce rosse infrante da un mare blu intenso nel rosso del tramonto. Sarebbe stato bello, se lei non fosse stata mandata lì da un ectoplasma alla ricerca di un uomo con un cane nero. Devo sbrigarmi prima che faccia buio, perché poi a guidare non ci vedo più niente.Pensò.

“Non preoccuparti, partirai prima del buio.”

“Eh? Cosa?” Norma si voltò sconcertata per vedere chi rispondeva ai suoi pensieri. Com’era possibile? Niente. Non c’era nessuno.

Si girò di nuovo verso il mare e vide una donna seduta sul bordo della piazzola panoramica. C’era anche un uomo con un cane nero. Ma da dove erano spuntati? Poi notò che era apparsa una macchina. Niente di strano, semplicemente non li aveva visti arrivare.

Parlavano tra loro e sembravano non avere alcun interesse per lei.

Un caso. È solo un caso.Si disse. Voleva scappare via veloce come un fulmine (per quanto avesse i riflessi di un bradipo), ma non si decideva a salire in macchina. C’era qualcosa che la tratteneva. Il sospetto di essere vicina a una qualche risposta. In fondo era venuta lì per loro.

Un gabbiano con le ali rosse attraversò il cielo. Norma lo guardò atterrare su una roccia rossa. Anche lui fissava il mare. Si imbambolò per via della luce che calava e del vento caldo.

“Ti aspettavo, Norma.”

Le venne un colpo. Ora l’uomo con il cane era alle sue spalle ed era solo. Era alto, muscoloso e giovanissimo. Se l’era immaginato diverso. Tipo un vecchio barbogio e asciutto come una sardina con la barba bianca e una tunica o, se proprio non una tunica, con un look da stregone. Invece si doveva far insegnare le cose da un ventenne.

“Le vedi le rocce rosse? Contrastano con il blu del mare? No. Si fanno accompagnare. Sono come pensieri desiderosi di andare oltre l’orizzonte a cui sono abituati. Sono macchie convinte di essere ancorate, ma galleggiano e, se sono pronte, possono partire in ogni momento.”

Eh, ma che dice questo qui? Tutta questa strada per sentire i vaneggiamenti di un ragazzino con botolo.Pensò, poi ricordò con orrore che quel tizio fuori di testa leggeva il pensiero.

“Rifletti, Norma, rifletti. Il futuro è sul palmo della tua mano sinistra.”

Norma si guardò la mano sinistra. Bianca, normale, nemmeno una banale stigmata. Boh. Mai viaggio si era rivelato più inutile.

“Non è inutile. Prima della mano è la mente che ci deve arrivare.”

Questo parla per enigmi e sembra pure soddisfatto. E io devo aver donato il cervello alla scienza se me ne sto qui a farmi leggere nel pensiero da un giovinotto mandatomi dal fantasma del salotto. Me ne vado. Lo dicevo io, che le macchie nel cervello avevano fatto qualche danno. Hai capito? Non mi interessa se leggi nel pensiero.

“Brava, Norma. Ora ci sei arrivata anche tu. Le macchie, Norma. Sono le macchie che ti aiuteranno nel viaggio.”

“Ma quale viaggio? Il massimo spostamento che ho fatto negli ultimi sei mesi è venire qui e già mi è sembrato di partire per la luna.” La voce le uscì senza che lo volesse. Non ce la faceva più a pensare soltanto.

“Devi muoverti, Norma. Non c’è più tempo. Devi andare.”

“Ma dove? E poi perché sto ad ascoltarti?”

“Dove lo devi capire da sola. E anche come. Non posso aiutarti. Non ho le risposte.”

“Ah, andiamo sempre meglio. Pensa che io invece non ho nemmeno le domande. Ti saluto.”

“Ma è da quando sei nata che senti questa sensazione, vero?”

All’improvviso comparve La fitta. La più terribile che avesse mai sentito. Come se avessero ucciso i suoi figli sotto i suoi occhi. Norma si accasciò sul muretto e cominciò a sentire un terribile senso di vuoto, come sempre dopo la fitta.

“Cosa succede? Non capisco.”

“Norma, ti abbiamo convocato perché sei l’ultima rimasta.”

“L’ultima di cosa, scusa?”

“L’ultima dei controllori.”

“Ah, è un problema di treni.”

“Non rinunci mai a dire l’ultima battuta, vero? Sapevamo che avresti rifiutato l’idea. Tu sei così, non ti prendi mai sul serio, non credi mai fino in fondo alle cose che fai. È anche per questo che arranchi da tutta una vita. Per questo ti abbiamo lasciato in fondo alla lista. Ora però il tuo risveglio si deve completare. È così che è sempre stato. Tutti i controllori devono essere svegli.”

E lui come faceva a saperlo che lei arrancava da sempre? Doveva per forza essere a conoscenza del fatto che lei sveglia non lo era mai stata.

“Ti ricordi quella volta che quell’editore ti ha commissionato quel libro e tu l’hai scritto e poi lei ti ha detto che non lo pubblicava e tu, la quarta volta che ti ha chiesto una prova di testo, hai scritto un soggetto e poi lei ti ha detto no e poi il libro l’ha scritto lei con la tua idea?”

“Certo che mi ricordo.” Come si fa a non ricordarsi una fregatura del genere?

“Dovevi dire no. Se tu quella volta avessi detto no ti avremmo chiamato. Magari non per prima, ma per terza sì.”

“Ok, ti credo. Però tanto meglio, così almeno non mi avete scocciato prima.”

“Non è meglio affatto. Non è meglio per niente. Sei ingenua, sciatta e impreparata.”

“Grazie per la stima. Sarò pure un disastro, comunque mica devo salvare il mondo.”

“Invece è proprio quello che devi fare.”

“Mavalà, raccontane un’altra.”

Altra fitta.

No, non poteva succedere proprio a lei una cosa del genere. E poi questo genere di cose non esistevano. Non esistevano nel mondo reale. E poi cosa c’entrava lei? Non bastavano gli altri?

“Dovete svegliarvi tutti. Nove li abbiamo persi, uno è diventato il nemico da sconfiggere, due non sono ancora in grado di agire autonomamente. Quindi l’unico che resta sei tu.”

Lei non era esattamente la prima scelta, quindi. Era addirittura la tredicesima, la classica posizione portasfortuna. Era la serie B anche tra i controllori.

Anzi, essendo la tredicesima sono la serie O. La cosa più vicina allo zero che si riesca a immaginare.

“Vedi, anche stavolta non riesci a prendere le cose sul serio. Ma Gandalf dice che questo potrebbe essere il segreto della riuscita dell’impresa.”

“Gandalf? No, guarda che ti devi essere confuso. Quello è lo stregone del Signore degli Anelli.” Ecco chi mi aspettavo di vedere al posto tuo! Proprio lui! Si vede che mi leggi anche nel subconscio, oltre che nel pensiero.

“Povera Norma, non immagini nemmeno vagamente ciò che sta accadendo. Tu vivi tra il cortile della scuola e il supermercato e ti arrabatti per trovare lavoretti infimi e non sai chi sei.”

“L’ultima della lista, a quanto dici.”

“Ora vai e ricorda che non c’è più tempo. Il tuo risveglio deve essere completato al più presto. Vedi questo mare?”

Norma si voltò.

“Potrebbe essere l’ultima volta che lo vedi.”

“Che prosopopea!” sorrise voltandosi di nuovo verso il giovane disfattista. Ma lui non c’era più. Rabbrividendo salì in macchina.

“Devi lasciare che il controllore che c’è in te prenda il sopravvento.” Lui era di fianco a lei.

Saltò sul sedile. “Mi hai fatto prendere un colpo. Sai cosa ti dico? Visto che sono un controllore e tu sei sprovvisto di biglietto, vedi di scendere, amico.”

“Sei senza speranza. Ma CK crede in te. Buona fortuna.”

“Devo al più presto farmi vedere da uno bravo. E per quanto riguarda te, spero che la mente del gruppo sia il tuo cane perché altrimenti non vi vedo messi tanto bene. E chi diavolo è questo CK? Addio.”

Lui era già svanito, ma Norma ormai si era abituata a questi giochi di prestigio.

Me ne torno in albergo. Be’, almeno in una cosa è stato di parola. Non è ancora buio. Per il resto ho solo perso tempo.

Mentre metteva in moto guardò l’orologio. Mancavano dieci minuti a mezzanotte. Rientrò più confusa che mai, cioè la normale se stessa per come si era sempre conosciuta.

Fu una notte senza sonno, cui seguì un’alba senza ispirazione. Forse non le era possibile nutrire ispirazione all’alba.

(segue)

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