“Il complesso di Giano”, Capitolo 14

Pubblicato il 6 Settembre 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 14

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Norma cercò di pensare a qualche altra domanda da fare al moribondo, ma avere ulteriori ragguagli sull’argomento le sembrò superfluo. Samuele e Ludovico avevano posto le uniche questioni sensate. Punto. In quel momento si ricordò di CK. Dov’era finito CK? Lo cercò prima con lo sguardo e poi con il pensiero, senza trovarlo.

“È fuori che parla con il tuo Belzebù.” Le fece sapere Sebastiano e poi, rivolto al suo piccolino, disse: “Samuele, è quasi il momento.”

Quale momento? Quello della fine? Norma si sentì perduta. Ecco, lui li aveva riuniti tutti lì per fare quella cosa da psicopatici di guardare in faccia il nemico mentre prende coscienza della sconfitta e poi muore? Era giunta la fine per lei e per i suoi figli? Cercò Gabriele, che stava in un angolo in silenzio.

Perdonami, Gabriele. Te l’ho chiesto tante volte, negli ultimi giorni, questa è l’ultima. È finita.

Mavalà. È tutto a posto, Norma. Andrà tutto bene, come ha detto Sam.

Come fai a saperlo?

Lo so. L’ho capito nello stesso modo che ho usato per credere alla tua storia incredibile, con l’istinto.

Certo che lei era proprio la più negata di tutta la combriccola. Tutti capivano più di lei, tutti meglio di lei, anche i bambini piccoli. E ora anche Gabriele si metteva a leggere nel pensiero. Più che stupita, Norma si sentiva depressa. “Hai comunicato con il pensiero, lo sai?”

“Non me n’ero accorto.” Rispose Gabriele. “Però so che questa non è la nostra fine, ma la sua.”

“Ludovico, Samuele, sarete voi a scegliere i nuovi controllori.” Disse Sebastiano. “Non subito, ovviamente. Quando sarete pronto. Siete gli ultimi, a parte vostra madre, che non è molto affidabile, e Gabriele, il primo dei nuovi controllori. Mi sono permesso di sceglierlo io, ma solo perché vi protegga.”

“Da chi e cosa ci deve proteggere, se tu stai morendo?” chiese Ludovico, che da sempre stupiva Norma per il suo cuore nero.

“Dovrei dire da quelli come me, ma davvero non saprei da cosa o chi. Ma so che quelli come me arrivano sempre e un aiuto vi serve. Volevo essere diverso, poi la vita mi ha distratto. Voi non distraetevi mai.”

Sebastiano, prima di morire, si alzò su un fianco e baciò Samuele sulla testa. Poi allungò la mano verso Ludovico, che non fece una mossa.

Ludovico avrebbe preso il posto di Sebastiano e Samuele quello del suo Belzebù. O viceversa. Forse c’era stata un’innocenza in quell’uomo che stava morendo, anzi di certo c’era stata. Era stato come Samuele, o Ludovico, e poi era diventato un altro. Norma avrebbe vigilato sui suoi figli, perché l’innocenza è qualcosa che si perde. Comunque l’avrebbero persa lo stesso.

Prima di morire, Sebastiano disse una sola parola: “Essem.”

In latino è la prima persona del congiuntivo imperfetto, che io fossi, ma traduce anche il condizionale presente, io sarei. Il condizionale in latino non esiste. Strano che non esista. È il tempo dell’eventualità, del rimpianto, dello sbaglio, ma anche della speranza. Aveva ucciso un bambino, ma ora voleva cambiare, e stava cambiando. Io sarei. E più che il dolore per i suoi omicidi su larga scala, è stata un’unica morte a cambiarlo. È stato Essem. 

Ma quello era un buon momento per un ripasso di latino? In ogni caso Essem aveva cambiato tutto.

Samuele piangeva.

CK entrò nella stanza per dire che era morto anche Nicola. Era finita.

“Eccoti qui. Tu sei CK, vero?” chiese Gabriele, che per la prima volta vedeva i fantasmi. Era finita?

“Ci sei anche tu, adesso, tra noi?” Disse il mago, per nulla stupito.

Norma ebbe un fulmineo sospetto. Ma tu, CK, davvero non sapevi di Gabriele?

E come potevo? Noi non possiamo sapere chi sono i controllori finché non siamo obbligati a incontrarli. È per proteggere l’universo dalla sindrome dell’onnipotenza, alla quale esso, come hai potuto notare, è fin troppo esposto.

Mamma, non ti ricordi che è stato appena scelto? Disse Samuele. Gli era sempre tutto chiaro. Beato lui.

Ho tante domande da farti, CK. Ludovico ruppe il suo freddo silenzio. La sua voce interiore era cambiata. Era adulta e imponente e mise soggezione a Norma.

CK lo guardò. No, Ludovico, non c’è altro da sapere, per ora.

E allora quando potrò sapere? Insisteva Ludovico.

Non adesso. Tranquillo, c’è tempo.

Samuele si tolse con la mano una lacrima dalla guancia, la posò sugli occhi del fratello con una carezza e disse a voce alta: “Siamo ancora bambini. Per adesso faremo i bambini.”

Norma, tanto per cambiare, non capì il significato del gesto, ma Ludovico accennò un sorriso e la piantò di dare fastidio con quel suono spaventoso che emetteva la sua mente. Che Samuele avesse acquistato poteri taumaturgici?

“Piantala di pensare, Norma, che ti si accartocciano le sinapsi.” La interruppe Gabriele. “Chiamo i colleghi. Voi andate in albergo.”

“Ma come farai a spiegare quello che è successo?” Chiese Norma.

“Cosa c’è da spiegare? Sono andato a controllare due sospettati e li ho trovati morti d’infarto. L’autopsia dimostrerà il tutto.” Rispose Gabriele.

“Ma hanno avuto un infarto o si sono avvelenate? Sai che non l’ho capito?” Si domandava Norma.

“Nemmeno io, e non mi interessa saperlo. Di solito sono molto apprezzati i mafiosi che decidono di autoeliminarsi.” Concluse Gabriele. “Andate. I vostri nomi non hanno motivo di comparire.”

Norma prese per mano i suoi figli e si avviò al cancello della villa e poi verso il sito archeologico. Aveva bisogno di camminare immersa nella luce del sole, per iniziare una necessaria purificazione. Voleva entrare per fare una cosa, ma quando arrivò all’ingresso scoprì che quel giorno chiudeva in anticipo. Aveva pensato di seppellire lì Murukai, perché le sembrava un modo onorevole di rendere gli onori funebri al povero Essem, il cui corpo offeso non si sarebbe potuto sotterrare.

Per gli antichi colui che non riceveva sepoltura era costretto a vagare senza pace nell’Ade per cent’anni. Essem meritava un sonno tranquillo.

Lo scontro frontale con il male era rimasto inespresso, il tentativo di liberare lo spirito di Essem frustrato. Uno dei suoi figli aveva provato troppa pietà per il malvagio sconfitto, l’altro ne aveva mostrata troppo poca. E poi il malvagio era davvero morto o anche nella realtà c’è il doppio finale che uno crede di avere vinto e invece non è ancora detto? Realtà? Che cos’è la realtà?

Combattere il nemico è liberatorio, come seppellire i defunti, perché si prendono le distanze da ciò che è diverso e opposto a noi. Così il bene si allontana dal male e la morte dalla vita. O forse no. 

Mentre chiamava un taxi, Norma rifletteva sul male e sul bene e non le risultava nemmeno troppo strano che meno di un’ora prima avesse visto la perdizione tramutarsi in pentimento e quasi in redenzione. E questo processo era avvenuto in maniera fluida, quasi fosse ovvio.

“Mamma, ho fame.” Disse Samuele.

Ma non era lui che piangeva disperato poco prima? E adesso aveva appetito? Certo che, se ognuno di noi ha due facce, ciascuna delle due ha tratti un po’ obliqui e bislunghi e oblunghi e non è che una è regolare e l’altra distorta. No, i tratti di entrambe sono mischiati a caso e cambiano a seconda del tempo e del vento e, già che ci sono, si scambiano posto tra loro.

“Anch’io ho fame.” disse Ludovico.

Pure Norma avrebbe volentieri mangiato una pizza.

Andarono in albergo e a turno fecero un lungo bagno. Norma fece portare la cena in camera e piazzò i piccoli davanti a un cartone animato, perché sentivano tutti il bisogno di riposare. Samuele e Ludovico non dissero una parola.

Norma pensò che non aveva mai conosciuto una persona davvero interessante che non avesse avuto traumi orrendi.

“Mamma, cos’è un trauma?” chiese Ludovico.

“Niente, è quando le cose non vanno come volevi.”

“Ah.”

Norma preferì non pensare più a niente.

Provò a chiamare Gabriele, ma aveva il cellulare staccato.

Provò a chiamare CK, ma aveva il cervello staccato.

Provò a sentire Maddalena, ma non rispondeva.

“Mamma, ci racconti una storia?”

Norma inventò una storia di un bambino che, per la sua passione per il libri, impara a leggere da autodidatta e, siccome nel suo regno sono tutti analfabeti, viene chiamato dal re per fargli da maestro elementare.

“È solo per noi o la scriverai per qualcun altro?” domandò Ludovico.

“No, è solo per voi.” Lo rassicurò lei. Non tutto si può vendere, non ogni cosa nasce per essere detta. Non ogni idea è fatta per essere duplicata in un’altra dimensione, insomma. Ci teneva, a quel concetto che aveva appena imparato. “Ci sono cose che non si possono raccontare a nessuno.” Quella storia era il sigillo di un segreto che non poteva essere detto perché non poteva essere creduto.

“Lo sapevamo già, che non dobbiamo dirlo a nessuno.” Ludovico era molto cresciuto, forse troppo.

Samuele alle nove e un quarto si accasciò sul fianco e prese sonno, seguito da Ludovico, che era insonne ma quella sera era davvero stanco. Lei rimase inebetita davanti alla tele, senza pensare e senza guardare, in un bel limbo quasi dorato.

Il telefono squillò. “Ciao, mamma.” 

“Ciao, Madda, ho provato a chiamarti prima. Come stai?”

“Bene. Volevo domandarti una cosa.”

“Dimmi.”

Maddalena parlò per un minuto. Le disse che lei e Diego erano andati dal parroco a stabilire la data del matrimonio e le chiese se voleva essere lei ad accompagnarla all’altare. Sentendo la proposta, Norma fu colta da una fitta intensa e liberatoria, una specie di laser che aggiustava la faglia aperta sul vuoto che si era creata e approfondita fino a quel momento. Era in pace. Verso mezzanotte arrivò Gabriele. “Tutto bene?”

“Nessun problema. Morte naturale.” Gabriele era strano, come consumato.

“Sono davvero morti?”

“Davvero.” Gabriele si grattò l’orecchio come fanno i bambini quando si sentono stanchi e spaventati. Si guardarono poco o niente, si salutarono e lui andò nella sua stanza, stravolto.

La mattina dopo andarono tutti e quattro in taxi alla Valle dei Templi a seppellire Murukai in terra sacra.

Poi tornarono a casa.

(segue)

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