“Il complesso di Giano”, Capitolo 9

Pubblicato il 2 Agosto 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 9

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Anche la più inverosimile delle vite, alla seconda settimana di stranezze, assume connotati di ordinarietà.

Così per Norma era diventato normale avere percezioni esterne a sé e alla logica, nonché trovarsi in luoghi non identificati ogni tre per due.

Le veniva da ridere a riguardo. Le persone che conducono una vita codificata non fanno altro che cercare eventi straordinari e attribuire alla straordinarietà fatti che a ben guardare non hanno con essa alcuna attinenza, mentre quelli che si trovano di continuo scaraventati in vicende assurde non vedono l’ora di essere normali. Norma avrebbe voluto soltanto lasciarsi andare all’oblio e dimenticare tutto. Che qualcuno in qualche modo avesse scoperto chi era e le avesse messo vicino quella creatura uscita da un film horror per ammazzarla all’improvviso?

L’essere alzò gli occhi squamosi e liquidi, si alzò e uscì, sgusciando in un fruscio come la coda di un diavolo.

“Ci sei, CK?” Sperava che il vecchio impiccione l’avesse seguita come al solito.

“Sono qui. Attenta, quello legge nel pensiero.” Disse il mago.

“Lo seguo.” Norma, dando retta a uno strano istinto, saltò giù dal treno a Sesto San Giovanni, posto non molto evocativo per inseguire un demonio. Era decisa a raggiungerlo.

Infatti lo perse subito di vista.

“È sceso nella sotterranea per l’inferno.” Norma ne era sicura.

“Sì, in metropolitana.” Commentò CK.

“Era uno dei cattivi, vero?”

“Non c’è dubbio.”

“Pensi che quel tizio fosse sul treno per una coincidenza, CK?”

“Coincidenza? Impossibile. Sanno chi sei.”

“Dici i cattivi?”

“Sì, loro. Però non ti pare che il termine cattivi sia un po’ puerile? Comunque quel tizio è scappato perché ti ha letto nel pensiero.”

“Ma come ha fatto a trovarmi?”

“Credo che ci stiamo avvicinando a una risposta.”

“E come abbiamo fatto? Non mi sembra di aver fatto nessun passo avanti. Ho paura. Se è vicino a me, si è avvicinato anche ai miei figli. Troppo. Non sono più al sicuro.”

“Non lo sono mai stati, Norma. Dobbiamo tornare alla piana dei cadaveri e capirci qualcosa.”

Norma si mise al binario 3 ad aspettare un altro treno. “Sono confusa, CK. Non vedo una trama svolgersi, ma un groviglio che si avvoltola. Perché le cose sono così fumose e contorte?”

“Non lo so. So solo che non è solo il bene a essere confuso, di questi tempi. Anche il male ha incertezze sul modo di agire, sulla meta da perseguire e sul come raggiungerla.” osservò CK. “Mi sa che abbiamo tutti sbagliato storia.”

“Dici?” Norma. “Mi sembra che il male sia molto meglio motivato, invece.” Sì, affettivamente era un po’ ridicolo usare parole come male e cattivi. Che era, l’asilo del diavolo? Squillò il telefono.

“Ciao, sono Gabriele. Davvero ti sei messa a rubare?”

“Sì, l’ho fatto. Ma non volevo. È stato un incidente.”

“Evita, in futuro, per favore. Ora che stai con un carabiniere non devi.”

“Tu ci credi all’istinto del male?” gli domandò a bruciapelo.

“Vuoi dire se è vero che uno non può fare a meno di essere malvagio?”

“Sì, e anche se si riesce a capire quando uno nasconde dentro di sé qualcosa che non va bene.”

“Ci credo.”

“Dieci minuti fa ho visto un diavolo.” Disse Norma.

“Anch’io ne ho visto uno, stanotte alle tre.”

CK aveva ragione, le cose forse hanno una loro logica.

“Chi era?”

“Non ho voglia di parlarne, perché mi fa troppo schifo. E sono troppo stanco, ma prima di andare a dormire volevo sentire la tua voce.”

“Grazie, Gabriele. Ci vediamo stasera?”

“Non posso, devo lavorare.”

La frase uscì inconsulta. “Ti amo, Gabriele.”

“Anch’io ti amo, Norma.”

Lì, sulla panchina del binario 3 della stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni, dopo aver visto un parente stretto del demonio, Norma sperimentò la più intrinseca fitta degli ultimi decenni. Restò immobile per minuti, fin quasi a perdere il treno che l’avrebbe portata al suo appuntamento di lavoro. Ma lavorava per dar da mangiare ai suoi figli e trovò la forza di andare e di ottenere il lavoro.

Sulla via del ritorno le capitò un fatto strano, per quanto il concetto di strano in certe situazioni sia alquanto vago. Si guardava il palmo della mano e pensava sia a quanto il suo arto diventasse sempre più nodoso con l’età sia agli imprevisti poteri di suo figlio Samuele. All’improvviso si trovò alle porte di Gondor, e sapeva che era la città descritta nel Signore degli Anelli perché era identica a quella del film, il quale film aveva visto almeno cento volte. Il cinema era la sua passione e forse l’amore per le ricostruzioni ardite di lontane realtà era un derivato della sua inconscia essenza di controllore. O banalmente era solo un caso.

Sapeva che CK era lì. “Ma tu lo sai cosa abbiamo davanti?” Gli chiese.

“Certo.” Rispose lui.

Si girò verso il vecchio mago. “Allora avevo ragione. Tu sei Gandalf, vero?”

Il fatto non le sembrò nemmeno troppo bizzarro.

“Sono io, sì. Ho conosciuto altri controllori prima di te, te l’avevo detto. Tu sei l’ultima scelta, ricordi?”

Certo che se lo ricordava. Ultima scelta. Stava a Gondor con Gandalf, come appena entrata in un romanzo. Aveva un milione di domande, anzi non ne aveva. Anzi ne aveva una. Le venne in mente che negli ultimi due anni erano morti parecchi registi, sceneggiatori e scrittori. Controllori, ecco chi erano! A molti questa ecatombe era sembrata strana, a lei no. Tanto era portata per il ruolo di controllore che non aveva nemmeno saputo interpretare i segnali più evidenti del disastro che arrivava e dell’assassinio dei controllori più in gamba di lei.

Attraversò l’ingresso della fittizia città di un film ispirato a un’opera di fantasia, percependo una fitta da squassare a metà il binario 3 della stazione Primo Maggio di Sesto San Giovanni.

La città (non Sesto San Giovanni, bensì Gondor) era uguale a come era stata ricostruita nella pellicola, con tutte le incongruenze riscontrate nella sceneggiatura e nell’ambientazione. “Avrei urgente necessità di un Prosecco.” Tipico aperitivo alla Norma, ora più che mai imprescindibile. Aveva capito tutto. “Hai capito i miei colleghi? Se ne andavano in giro, annotavano e poi scrivevano i libri e facevano i film. Così sì che è facile farsi venire le idee! ”

“E poi sono stati ammazzati, poveracci.” Continuò CK. “Perché si erano distratti dalla missione.”

“Li capisco. È una gran tentazione, effettivamente. Tu vai in giro tra le dimensioni o gli universi o il diavolo che se li porti, per causa di un lavoro oscuro e pericoloso, e trovi l’ispirazione che ti fa diventare ricco e famoso. Magari capitasse anche a me.”

“Ormai non c’è più tempo per le sceneggiature.”

“L’ho capito benissimo, Gandalf.” Lo rassicurò Norma. “Sono arrivata nel momento in cui gli orchi attaccano le mura dei buoni. Il disastro è imminente, con tutto il disagio che questa imminenza comporta. Io dovrò pagare il prezzo, e anche i miei figli. I miei predecessori invece hanno vinto gli Oscar.”

“Giusto, è così. Però ti prego di non chiamarmi con quel nome.”

“Perché, non vuoi pagare i diritti d’autore?”

“Lascia perdere, Norma.”

Fecero un ampio giro della città.

“Scusa, cosa stiamo cercando?”

“Vai a saperlo.” Rispose CK.

“Certo che farsi venire le idee così non è un farsi venire le idee, ma un vivere di rendita.” Sbottò Norma guardandosi intorno. C’era gente che era diventata ricca e famosa andando in giro come stava facendo lei, ma lei non poteva approfittarne perché si trovava in un’emergenza. E anche perché quella specifica idea era già stata sfruttata. Che disdetta.

La gente la fissava per come era vestita. Un look inadatto, ma lei non aveva previsto di approdare in un film fantasy.

“Andiamocene, CK. Qui non c’è niente.” Mentre lo diceva vide qualcosa per terra. “Un momento. CK, guarda qui!” teneva in mano un piccolo oggetto, e lo fissava come un’apparizione. Ma come aveva fatto a trovare una cosa così microscopica in una città labirintica? L’aveva evocato con i suoi poteri di controllore? O era stato quell’oggetto a trovare in qualche modo lei?

“Cos’è?” CK si avvicinò.

“Una delle due spadine di Murukai. Qualcuno che conosciamo è stato qui.”

“Incredibile. Una cosa così minuta e tu l’hai trovata subito, come se essa ti avesse chiamato.”

“Ho pensato la stessa cosa.”

Norma mise in tasca la spada bianca che, schiacciando un bottoncino sull’elsa, si illuminava di azzurro. “Ma scusa, vuol dire che noi spostiamo oggetti in giro a caso per mondi remoti? Ciò che conosciamo come realtà e ciò che apprezziamo come frutto di fantasia allora è tutta una copiatura. Urca. Certo che i controllori hanno avuto la strada facile! Prima che arrivassi io, l’ultima scelta. Uffa.”

“Non farci caso, Norma.”

“Chissà se gli eroi dei film nella loro realtà sono carini come nei film.” Si chiese Norma.

“Andiamocene, dai. Venire qui non è servito a niente.” Anche CK cominciava a sentirsi depresso.

“Abbiamo trovato una spada di Murukai. Manca l’altra.”

Non sapeva se sarebbe mai riuscita a rassegnarsi al fatto molesto che il suo immaginario di sempre non era nemmeno un immaginario, ma la descrizione di luoghi reali, forse anche più pedissequa del previsto. E che diavolo, non era più nemmeno padrona di una vera fantasia, ma pure quella era in prestito. Era una copia. Uffa. Tornò a casa sempre più confusa e demotivata. Andò a prendere i bambini pronta per il viaggio nella piana dei cadaveri, ma Ludovico chiese di andare a giocare dal suo amico Lorenzo e lei acconsentì per avere tempo per riflettere e più semplicemente procrastinare l’orrenda gita.

Nel frattempo chiese spiegazioni a Samuele circa la spadina.

“Tu sei stato in un posto strano, Samuele. Vero?” lo incalzò all’uscita da scuola. “In un posto del Signore degli Anelli, vero?

“Sì, mamma, ci sono stato con Essem.” Ecco che tornava l’amico misterioso.

“Perché, anche Essem può muoversi come noi?” Non era riuscita a pronunciare il verbo poteva, perché non sapeva come spiegare che il bambino era morto.

“Essem l’ho portato io.”

CK, lo senti? Perché non mi hai detto che si possono portare le persone attraverso le dimensioni?

Non lo sapevo. Evidentemente Samuele può. Appartiene alla nuova generazione.

Ma l’ho partorito io.

E allora?

L’ereditarietà era un concetto che Norma aveva sempre trovato repellente. Non era il caso di rivalutarlo proprio in quel momento. Nel pomeriggio si mise a tradurre un librettino comico e appuntò in fondo al documento la frase che l’aveva improvvisamente folgorata.

“Il tormento della creazione esiste, ma non per quello che stai facendo, ma per le passioni che devi reprimere nel farlo. Per cui è necessario implodere, o al limite esplodere, per generare la vita.”

Ma che stupidaggine! Meno male che in quel momento citofonò Ludovico. Tra poco gli ultimi tre controllori sarebbero stati insieme e avrebbero potuto fare l’orrida gita come programmato. Pessimo programma, a quel punto immodificabile. Era tormentata dall’immagine di Murukai al fianco di Essem, di Essem al fianco di Murukai. Dalla foto del diavolo, dal vice-diavolo sul treno. Dall’idea della morte.

 (segue)

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