“Il complesso di Giano”, Capitolo 6

Pubblicato il 12 Luglio 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 6

(Scaricare il pdf del capitolo se si preferisce stampare e  leggere …senza occhiali)

=============================================================

Se pensava a quant’era inconcludente, l’inconcludenza non prendeva solo forma di parola, ma assumeva una consistenza fisica. Norma iniziavaa dubitare che la realtà fosse vera. Era sempre più convintache a un certo punto, probabilmente quella mattina al mercato,si era dissociata e ora era convinta di muoversi nello spazio-tempoo chi per esso, ma invece aveva solo bisogno di un miracoloper riavvitare le rotelle svitate.Decise di riflettere su se stessa secondo il consiglio ricevuto e dopo cinque minuti decise di fare altro, perché l’inconcludenza prevede di non andare a fondo dei dubbi.

L’unico risultato fu che la fitta si fece più acuminata, e allora, per fare chiarezza, per una ragione incomprensibile (d’altronde ormai di comprensibile restava poco), scrisse una lettera a Mattia, che di lì a qualche giorno avrebbe compiuto gli anni.

“Alla nostra età si fanno un po’ di conti, qualche somma, un accenno di bilancio esistenziale. E si contano i reduci, che sono coloro che sono rimasti al nostro fianco o che vorremmo incontrare o che incontriamo comunque nei nostri pensieri. Tu per me sei presente, oggi e nei ricordi. Quanti sbagli ho fatto nella vita, mamma mia. Tutti insieme riempiono una discarica, e forse anche una e mezza. Volevo essere uno scrittore e non lo so più: mi manca ancora tantissima strada, e ho anche una macchina lenta. Tu per me sei sempre qualcosa di bello, e ti auguro di diventare la persona che devi essere. Oggi hai 40 anni. Questogenetliaco, anche come numeri, è importante.Ci sono il quattro, il voto che un saggio dovrebbe darecon umiltà alla propriavita, e soprattutto lo zero, quel cerchio vuoto con cui è opportuno fare sempre i conti. Ho sempre paura di dirti che ti amo.”

Fu a quel punto che, per pura coincidenza, le venne in mente un altro compleanno, che era proprio quel giorno. Gabriele, il migliore amico di suo marito. Lo chiamò.

“Ciao, carissimo, come va? Tanti auguri.” Comunicazione privata tra vecchi amici.

“Ehi, carissima, grazie. Sempre più vecchio e stanco, ma bene.” Idem.

“Dove sei di bello?”

“Da Biagiocon Raffaella.”

“Non l’avevi gettata nel tritarifiuti?”

Piccolo complice imbarazzo. “Sì, ma sai che qui si mangia benissimo. Come stanno i bambini?”

“Due gioielli. La grande si laurea il prossimo aprile.”

Due vecchi amici affettuosi.

“Ciao, Gabriele. Ancora auguri. E buona serata.”

“Grazie. Ciao, Norma.”

Un tempo Gabriele veniva spesso, nel week end, a cena da loro, ma dopo che Mattia se n’era andato lei lo aveva invitato di meno, anche se qualche volta si erano visti da buoni amici, e lei gli aveva confidato le sue ferite. Lui aveva tante ex, e insieme ridevano dei loro svariati disagi. La prese la fitta. Perché aveva pensato a Gabriele? Perché aveva la fitta?

“Sono vittima di una possessione demoniaca di quel malnato stregonaccio. È lui che mi fa venire stranipensieri.”

Tutto le era sembrato normale per vent’anni, ma quel saluto stavoltale era suonato fin troppo scarno, con una perfida nota struggente sulla prima sillaba del nome.

Prima di indagare sull’inflessione dell’altro, Norma si trovò a investigare su se stessa. Non aveva mai dimenticato un compleanno di Gabriele.

Il compleanno di Mattia è tra quasi due mesi. Quella lettera per chi l’hoscritta? Per Gabriele? Possibile?Perché quel maniaco in tunica bianca sta cercando di farmi uscire di testa? Forse il cattivo è lui. Sempre che CK esista. In fondoche prova ho che non sia tutto frutto delle mie macchie impazzite? Fuori è tutto come al solito, no? Ludovico era strano anche prima. Ah, perché tutto d’un tratto sto pensando

a Gabriele?

“CK, so che sei qui. Diceviche dovevo riflettere su me stessa. L’ho fatto.”

“Che velocità di riflessione!”

“Lo sapevo che eri qua in giro a spiare.”

“Sì, il maleficostregonaccio è sempre qui a spiare.”

“Mi stavo chiedendo chi è che vuolfar collassare i mondi. E perché dei mondi così ben congegnati dovrebbero collassare.”

“Davvero ti chiedevi questo?”

“Sì, davvero mi chiedevo questo. Non passo tutto il tempo a pensare ai miei fallimenti privati, lavorativi e sentimentali. Penso anche a quelli ulteriori che mi hai affibbiato tu.”

“Certamente!”

“In che senso, scusa?”

“Certamente nel senso che ti credo.” Non ci credevanemmeno un po’.“Non so perché, ma qualcuno non so come sta operando per far collassare l’universo.”

“Sei sempre esagerato. E vai avanti con i non so. Non so perché, non so come: matu cosa sai, alla fine?”

“Più di te che per non pensare a un uomo ti rifugi in universi da quindicenne e fingi di essere preoccupata del mondo. Non lo salverai, il mondo, così. Vai da lui, prima. Se non capisci quello che provi come speri di averela testa per capire il resto?”

“Norma non ha la testa per capire. Questa è la tesi più accreditata.” Accidenti aquel mago che metteva in discussione tutte le sue certezze. Peròse Ludovico vedeva CK doveva essere tutto vero. Per forza. Suo figlio non si sarebbe mai sbagliato su un argomento del genere. Ora però era stufa.“Ti saluto, mago, e me ne vado a dormire. Buonanotte.”

Cadde in un sonno profondo, come sempre quando aveva un problema.

La mattina dopo si svegliò all’alba e rimase seduta sul letto per due ore pensando a Gabriele. Come aveva potuto non capire i suoi stessi sentimenti finché un mago venutoda un’altra dimensionenon leaveva dato il suggerimento giusto? Che fare, adesso? CKle aveva detto che doveva affrontare il problemaper essere più libera di salvare il mondo. Chissà perché. Ma perché no?Sì, doveva comunicare l’improvvisascopertaal diretto interessato. Al limite il mondo non stava finendo e l’unica conseguenza sarebbe stata una figuraccia.Riassumendo, siccome sono l’unica che per motivi astrusipuò fermare il presunto distruttore dei mondi e non posso essere distratta dalle fantasie che mi faccio da circa un giorno su uno che conoscoda una vitaglielo devodirecon urgenza.Ildiscorso non fa una piega.Aspettò un’ora decente, fece un paio di telefonate che poteva rimandare, tanto per calibrare la voce. Si sentì patetica mentre con tormento componeva il numero di uno che aveva trattato con naturalezza per due decenni. Chissà per quale perversione cosmicai cambiamentinella vita capitano tutti insieme.

“Ciao, Gabriele, come va?”

“Carissima, come stai?”

Norma si persein una conversazione astrusa senza riusciread avvicinarsial punto. Gli disse dei bambini, che sarebbero stati con Maddalena per il week end e che lei non era più in grado di organizzare il pocotempo libero. Era vero.Siccome non sapeva cosa fare finiva per lavorare.

“L’altro giornoi colleghimi hanno portato in un ristorantino carino. Perché non ce ne andiamo io e te domani sera?” propose lui.

Era salva. “Sicuroche non lo fai per pena?”

“Ma dai, non dirlo nemmeno. Ti vengo a prendere alle otto, va bene?”

“Non sono così rimbecillita. Dimmi l’indirizzo e ci vediamo lì.” Non era orgoglio, ma paura. Doveva poter scappare da sola.

“Va bene, è in via Catone al 16. Civediamo lì alle otto. Ti spiego la strada?”

“Ho la cartina e sono abituata a viaggiare.” Belli i miei recenti viaggi, il più temerario dei quali è stato al mercato rionale.

Lui sospirò perché compativa questi suoi atteggiamenti da eroina fasulla. “A domani.”

Si compativa anche lei. “A domani.”

Trascorse un intero giorno nascosta nel lavoro, senza alzare la testa dal computer se non per i noti doveri. Passò la sera da sola, senza bambini né visite di vecchi fantasmi.Quella notte dormì malissimo.

Si alzò la mattina dopo pensando che non le restava che farsi una plastica totale, possibilmente anche mentale, bruciare nel camino il suo frusto guardaroba, che constava per la quasi totalità di roba da non guardare, e arrivare in una zona remota per le otto. Tale impresa le pareva molto più ragguardevole del salvataggio dell’universo.

Si fece una maschera antirughe alla bava di lumaca, un bagno ai sali del Mar Mortoesi sdraiò a letto per riflettere. Dopo dodici secondi chiamò i suoi figli per sentire come stavano, ma erano in cortile a giocare a pallone con lo zio Diego e lo zio Nando e non le diedero retta.

Così, mentre la bava di lumaca distendeva lesue zampe di gallina, Norma passò in rassegna tutte le possibili implicazioni di ciò che intendeva fare. Devoconfessare a Gabriele che lo amo (saràdavvero così?) non perché non possa tenereper mela notizia, ma perché c’èpoco tempo e devo togliermi ilpensiero, se vogliosalvare il mondoin tempo. Mah!

Mentre si delumacavaosservando i non miracolosi risultati del trattamentosi trovò in un posto molto simile a quello dove aveva trovato il cumulo di cadaveri. Anzi, era proprio lo stesso posto, con i morti sul prato rosso sangue. Mentre il sangue intrideva le sue ciabatte azzurre, si avvicinò una donna che pareva Pocahontas a cent’anni.

“Sono la sciamana. Perché hai rubato il robot giocattolo?”

E chi era questa sciamana? Da dove saltava fuori? Perché uno se ne sta in un posto assurdo in un’altra dimensione e salta fuori un tizio che non c’entra? Ma, soprattutto, come faceva lei a sapere del furto? Che poi non era stato un vero e proprio furto, bensì una colpevole svista. Non si può proprio scamparla mai, con questi stregonacci. Comunque non l’aveva mai raccontato a nessuno, perché si vergognava di quello che aveva fatto. Come una ladra, appunto. Maledetto il giorno in cui aveva commesso quello sbaglio esiziale. Era successo un po’ di tempo prima. Era il compleanno di Ludovico, lei era andata al supermercato e il robot bianco con gli occhietti azzurri era finito in un anfratto del carrello, semicopertodalla sua borsa. Non si era trattato di un furto premeditato, ma di un puro caso. La cassiera aveva avuto il giocattolo sotto gli occhi per più minuti e non se n’era accorta. E leinon aveva fatto nulla affinché la signora si avvedesse della svista.Tutto qui. Un mezzo furto, forse un quarto di furto.

Macosa volevano da lei? Di che potevano accusarla? “Non l’ho davverorubato, quel giocattolo da dieci euro. Ma tu cosa vuoi veramente?”

“Voglio che guardi per terra.”

“Ma c’è il sangue, non voglio. Ti prego.” Cosa c’entrava il robottino?

“Guarda, Norma.”

Norma guardò in basso e vide i suoi piedi rosso fradici. Di fianco a lui un bambino fradicio anche lui di sangue con vicino qualcosa che non riuscì a distinguere perché le girava la testa. Ebbe una paura sorda e cieca e un desiderio di fuga talmente potente che in attimo era di nuovo nel suo bagno, le ciabatte di nuovo azzurre e i piedi rugosi e asciutti.

La facciaera quella molle di uno che ha preso uno spavento mortale e, persi in un attimo tutti i benefici della bava di lumaca,Norma uscì a fare la spesa. Stavoltacontrollò con cura il carrello per accertarsi di non aver dimenticato di pagare nulla.

Rientrò alle tre con l’ansia di fare tardi, si fece un’altra doccia come se fosse una lady Macbeth colpevole di chissà quale abominio e si provò due vestiti, tre paia di pantaloni e due scamiciati. Tutta roba desueta, che già tremila volte aveva indossato per vedere Gabriele, ma questa volta non voleva essere sciatta. Alle ore sedici Norma uscì a farequalcosache non faceva da secoli: shopping.

Alle ore diciotto rientrò a casa con un vestito viola che prometteva a chi lo avesse indossato disgrazie a mai finire. Era di un vellutino inquietante. Era stata indecisa tra quello e uno scamiciato a macchie bianche e nere che pareva un travestimento da mucca.

Si vestì, si truccò e alla fine vide nello specchio un procione, perché forse aveva esagerato con la matita per gli occhi. Si spruzzò mezza boccetta di profumo, starnutì e corse alla macchina, perché ormai erano le sette e un quarto.

Raggiunse il ristorante che pioveva, parcheggiò e si dimenticò di prendere l’ombrello, tanto era in preda al panico.

“Forse dovevo dirgli di invitare qualche amico, accidenti. Forse dovevo starmene a casa a vedere la tele.”

Ma era entrata e lui l’aveva già vista. Si era alzato e stava arrivando.

“Scusa, sono in ritardo. Ho girato a vanveracome al solito. Sono un’idiota, mi perdo anche in casa mia. E poi piove e sai che sono astigmatica e mi va insieme la vista.”

“Tranquilla, anch’io sono arrivato cinque minuti fa.”

Lo guardò chiedendosise lo amava e si rispose di no.

“Ho ordinato una bottiglia di prosecco, il tuo vino preferito.”

“Che carino che sei!” una frase che avrebbe potuto dire a chiunque con un sorriso, che aveva detto tante volte anche a Gabriele. Però sentì la fitta, che non le aveva mai mentito.

Cercò di bere per farsi coraggio, ma non riuscì nemmeno a diventare brilla. In compenso mangiò dall’antipasto al secondo ciarlando a mai finire, aggirando il discorso che aveva deciso di fargli in attesa di un’improvvisa illuminazione.

“Nella mia vita non è mai è successo che le cose si siano messe in modo facile, che il resto del mondo convergesse verso la mia volontà del momento.” Confessò a un certo punto Norma, in mezzo a un altro argomento, mentre consultava con speciosa attenzione la lista dei dolci.Difficilmente prendeva il dolce al ristorante.

“Anche per me è stato così.”

“E poi, Gabriele, tra me e te c’è un bel rapporto, vero?”

“Sì, certo. Perché?”

“Sincero, anche. Prenderò un creme caramel.” Mai piaciuto il creme caramel.

“Sincero, ovvio. C’è qualcosa che non va, Norma? Anch’io, il creme caramel qui è ottimo.” Era il suo dolce preferito.

“Hai visto Mattia, di recente?”

“Sì, siamo usciti a cena mercoledì scorso.”

“Non so come dirtelo.”

“Ho capito. Se vuoi ricominciare con lui, questo è il momento.”

Aveva ragione: quello era il momento. Tra una fitta e l’altra, nella finita certezza che quella era l’ultima frase che gli diceva, disse in modo goffo la frase che si era preparata tutto il giorno tutta d’un fiato. “Non possoricominciare con lui, perché ti amo da ieri serae oraè meglio che vada.” Si alzò e corse fuori, sentendosi una vera idiota.

Lui non l’avrebbe rincorsa, in primo luogo perché non era da lui, poi per la sorpresa e infine perché per lui era impossibile uscire senza aver pagato il conto. Norma si fermò a venti metri dal locale e si voltò indietro.

Gabriele era lì. Laprese per un braccio. “Norma, sei impazzita?” Non urlò, Gabriele non alzava mai la voce.

“Sì, non si capisce?”

“Rientriamo, che ordiniamo il dolce.”

“Non voglio.”

“Non andartene, ti prego. Parliamone.”

“Perdonami, ultimamente sono un po’ esaurita.”

“Ho notato.

Anche io ho qualcosa da dire. Muoviti, Norma.” Stavolta alzò la voce. Si girò e rientrò. Era un militare, ma era la prima volta che si permetteva di impartirle un ordine, e con quel tono.

Norma, che già era parecchioconfusa, si arrese subito, rientrò e riprese il suo posto al tavolo, sentendosi morire per la vergogna, anche se nessuno li stava guardando. Perché non era rimasta la solita inconcludente? No, c’era il mondo da salvare, ma adesso nemmeno la rovina totale poteva distrarre la sua attenzione dalla figuraccia che aveva appena fatto.

Lui era piuttosto alterato. “Fammi capire, Norma. Tu mi vieni a dire che sei innamorata di me da un giorno e poi te ne vai? Ma sei uscita di testa? Sono stato innamorato di te per decenni, Norma, e sono anche venuto al tuo matrimonio. Non sono corso viacome hai fatto tu dieci minuti fa. Cosa vuoi che ti dica? Da una parte mi fai felice, dall’altra vorrei strozzarti.”

Norma cadde di fronte alle parole che aveva appena sentito. Tutto il suo acume polverizzato in due frasi risentite e lei intontita che mangiava il creme caramel. Non se lo sarebbe mai aspettato.

“Non so cosa dire, Gabriele.”

“Hai già detto abbastanzae io ho quarant’anni, porca miseria. Cosa ti è saltatoin mente

? Ero guarito da anni, prima che tu stasera te ne saltassi fuori con questa storia.”

“E adesso?”

“Non chiedermelo, per favore. Stai zitta per qualche minuto, se ci riesci.”

“Sì, Gabriele.”

Lui, vedendola così patetica, si impietosì. “Vuoi un bicchiere di porto?”

“Sì, doppio.”

Per un po’ ognuno dei due guardò il proprio piatto e, quando arrivò il porto, le ne bevve più della metà in un sorso. Aveva ancora un sano desiderio di fuga.

“Posso assaggiarlo?” chiese lui.

“Perché non l’hai ordinato anche tu?”

“È da anni che desidero bere nel tuo bicchiere. Posso?”

Norma pensò che nessuno mai le aveva detto una cosa così dolce e le venne fuori nel pensiero anche l’aggettivo dolce, che lei giammai contemplava nel suo ricco vocabolario di scribacchina. Lo vide scritto nello spazio nero che appare quando gli occhi sono chiusi.

Il peggio era finito e per il resto della serata chiacchierarono come vecchiamiciesi tranquillizzarono a vicenda.

Si salutarono con un sorriso e lui guardò Norma come aveva sempre fatto prima che lei salisse in macchina, ma questa volta lei andò a ritroso nel senso della cosa. Rispose allo sguardo come aveva sempre fatto, e comprese perché nel fondo del fondo del suo sistema nervoso ogni volta che l’aveva salutato aveva sempre percepito la fitta.

“Buonanotte, Gabriele.”

“Buonanotte, Norma. Ti chiamo domani mattina.”

“Dici sul serio?”

“Sì.”

Si erano detti che si amavano e salutati come due vecchietti senza passioni. Norma non aveva la minima idea di come sarebbero andate le cosee tutti i fronti aperti erano uno più nebbioso dell’altro. Come avrebbe fatto? Eppurefinalmentequalche sprazzo si disponeva in un suo ordine interno. Aveva affrontato il suo irrisolto, come aveva suggerito CK. Nonaveva risolto nulla, però aveva cominciato a intuire.

La nascita e la morte sono due nuvole scure, situate non in due opposte estremità, ma nello stesso identico punto, dove va a confluire l’incoscienza. Quando si prende coscienza di qualcosa, per certi versi è come nascere e per altri è come morire.

Quella notte, tremando, Norma scrisse trenta pagine del suo romanzo.

 

 (segue)

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.