“Il complesso di Giano”, Capitolo 15

Pubblicato il 13 Settembre 2018 in Letture Ideas

 “Il complesso di Giano”, Capitolo 15

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A casa li aspettava Maddalena sorridente, ma loro la ignorarono e corsero tutti e quattro al frigo. Norma prese i limoni e li mise sul tavolo. “Quale sarà quello giusto? Cosa devo farne?”

“Spremiamoli tutti.” suggerì Ludovico. “Beviamoceli.”

Che soluzione era mai quella? 

“Perché no? Proviamo e vediamo cosa succede.” Concluse Gabriele.

Norma ricavò il succo, lo allungò con l’acqua, aggiunse lo zuccherò, divise la bevanda in quattro bicchieri. Se li scolarono in un sorso come guerrieri che brindano con il sangue del nemico per acquisirne la forza.

Ma come fanno a finire così le cose? Si rinsecchiscono privandosi del succo, proprio come quegli agrumi. Uno viene lanciato in corsa nelle dimensioni del tempo e dello spazio e poi tutto si risolve su un tavolo della propria cucina, nella ritrovata serenità domestica. Eppure l’altra faccia di ciò che siamo ci segue anche lì e anche nel più banale refrigeratore si può nascondere una tragedia. O no?

“Avete per caso mal di pancia?” azzardò Maddalena.

Non fu un momento memorabile e la bevanda non aveva un sapore strano, bensì normalissimo, di limonata. Lo straordinario riesce anch’esso a compiersi senza sorprese, il che non si sa se sia un buono o un cattivo segno.

Non si sentirono più forti di prima, non accadde che inglobare il nemico vinto li rendesse migliori. Accadde che i bicchieri si svuotarono e le bucce furono buttate nel sacchetto dell’umido. Così finiva l’oggetto di tanta abissale lotta, in un contenitore dei rifiuti organici.

Ogni epico scontro finisce così, che se ne esca morti o vivi.

Arrivò CK. Arrivò o c’era già da un pezzo, chi lo sa. “Sono venuto a salutarvi. Parto.”

“Resta con noi.” Disse Ludovico.

“Non voglio che vai via.” Disse Samuele.

“Anch’io vorrei stare qui con voi, bambini, ma non posso”. Disse CK. “Vi voglio bene.”

“Viaggeremo ancora insieme?” Chiese Ludovico.

“Capiterà, vedrete che capiterà.”

Norma sperava di no, ma sapeva che potevano accadere altri fatti che li avrebbero fatti incontrare di nuovo. Anche se uno spera sempre di no accade sempre qualcos’altro, purtroppo. Lei invece non avrebbe voluto rivedere CK mai più, perché vederlo avrebbe significato pericolo per i suoi figli. “Ciao, CK.” Magari potergli dire addio. E chissenefrega se quello stregone le leggeva nel pensiero. A proposito, lei non ci riusciva più. 

“A presto, CK.” Disse Gabriele.

“Non leggerete più nel pensiero, finché non sarà di nuovo necessario. E non viaggerete più tra le dimensioni. Ci vediamo.” Disse CK.

Ah, ecco. Meno male. Norma si sentiva meglio all’idea che i suoi figli non potessero più andare in giro per le dimensioni e gli universi a sua insaputa. Era anche contenta di non rischiare più che i suoi continui pensieri a sproposito fossero sentiti dall’intera famiglia.

Ludovico espresse un desiderio, ad alta voce. “Domani vorrei andare a scuola.”

“Anch’io.” Disse Samuele.

Anche Norma aveva desideri: Casa, scuola, casa, scrivere. La normalità, anche se non esiste. E poi Gabriele. Aveva paura di pensare troppo forte, perché magari loro capivano ancora qualcosa, come strascico di un fastidioso potere telepatico che chissà se sparisce di colpo o magari ne resta traccia.

Scrivere. Scrivere che? Tutto ciò che aveva scritto erano frasi cucite intorno al vuoto, corollario del nulla. Di recente aveva avuto la conferma che anche il mondo è così, quindi lei poteva diventare autrice di romanzi-verità. E neppure adesso che aveva incontrato il male aveva raggiunto un punto fermo, perché i punti e la fermezza certo esistono, ma forse stanno in uno degli universi paralleli che lei si era dimenticata di visitare.

Gabriele. Gabriele. Le piaceva ripetersi mentalmente quel nome che evocava una luminosa annunciazione. Per lei Gabriele aveva creduto all’incredibile e lei non se ne capacitava ancora.

Lui le sorrise. “Devo andare al lavoro.”

“Bambini, salutate lo zio Gabriele e andate a giocare alla Playstation.” Tutti e tre diedero un bacio sulla guancia a Gabriele e andarono via. 

“Tu vorresti dei figli tuoi?” Norma se lo chiedeva da un po’ e, poiché quello era un momento inopportuno, ne approfittò subito.

“Assolutamente no. Sono contento di diventare direttamente nonno.”

“Meno male.”

“Posso uscire a cena da solo con tua madre domani sera?” Gabriele chiese a Maddalena, che nel frattempo era entrata in cucina. Aveva la faccia meno verde del solito.

“Sì, buona idea. Io e Diego portiamo i bambini al cinema.”

“Accetto.” Disse Norma. E lo baciò di sua iniziativa e davanti a sua figlia, stupendosi del proprio ardimento. La fitta se n’era andata. Ora Norma sentiva come una forma di disperazione appiattita dietro le unghie, ma appuntita quanto basta per poter essere sempre ricordata. Aveva sempre vissuto per ricordare, per tener presente ogni cosa, perché questo è di certo il modo giusto. Ora avrebbe vissuto anche per dimenticare e non le pareva un peggioramento.

Andò dai suoi figli con questa nuova disposizione e si scoprì meno severa, almeno per quel pomeriggio.

Norma cucinò hamburger e patatine fritte perché si era ricordata che quando era incinta le facevano passare la nausea. Maddalena odiava le cose unte, ma le mangiò lo stesso, perché anche lei aveva capito come sia piuttosto noioso impegnarsi nell’affermazione di qualcosa di non fondamentale.

La sera guardarono tutti insieme un film nel lettone. Maddalena si addormentò con la testa appoggiata su una spalla di Norma e Samuele sull’altra. Lei e Ludovico rimasero svegli fino a tardi a parlare. La mattina dopo tutti riabbracciarono la quotidianità, apprezzandola.

Casa, scuola, casa, scrivere, Gabriele. Una sera della settimana seguente Mattia invitò a cena lei e Gabriele per far loro conoscere la sua nuova fidanzata e per iniziare le grandi manovre dell’organizzazione del matrimonio di Maddalena. Norma si offrì di confezionare le bomboniere e nei mesi seguenti decorò una montagna di scatoline di legno, senza nemmeno perdere la stima di se stessa. Le piaceva appiccicare rose di carta a contenitori di legno, perché le pareva un’attività adatta a una persona che ha salvato l’universo per puro caso e senza gran merito. Ludovico e Samuele la aiutavano facendo grandi danni con la colla, mai gravi come quelli che faceva lei. E tutto era normale, a parte il fatto che Norma al mercato non riusciva più ad avvicinarsi ai fruttivendoli.

Norma entrò in chiesa con Maddalena al braccio. Al primo banco sulla sinistra c’erano gli uomini della sua vita, Samuele e Ludovico, deliziosi nel completino pantaloncini blu e camicia bianca (che odiavano, così aveva dovuto obbligarli a indossarlo con la minaccia), e Gabriele, che in divisa stava benissimo. Ah, sì, c’era anche Mattia. Lei, vestita di rosso, percorreva la navata centrale della parrocchia più brutta del mondo come un imperatore di Bisanzio avrebbe attraversato la cattedrale di Santa Sofia.

Fece un grande sorriso, ma intimamente, per non far sbavare il rossetto, e versò decine di lacrime, ma interiori, per non far colare il rimmel sul fondotinta e anche per altre ragioni. Prima di uscire di casa Maddalena aveva voluto bere con lei un Cuba Libre, e le aveva spiegato che quello era un brindisi augurale, per un matrimonio, perché il rum e la Coca Cola separati sono buoni, ma insieme sono meglio. A lei personalmente del Cuba libre piaceva più il nome del contenuto, ma si guardò bene dal dirlo. Continuava imperterrita a preferire il prosecco, che non ha bisogno di unirsi e disgiungersi da un bel niente per essere buono, ma si tenne tale considerazione per sé.

Norma andò al suo posto, nel primo banco. Guardò Gesù crocefisso, la cui vicenda le sembrò per la prima volta plausibile, e poi ripassò a memoria il menù del pranzo di nozze, per vedere se andava tutto bene. Pensò a Essem che stringeva Murukai e a com’era bella la sua Maddalena vestita di rosa. Non provava sentimenti univoci e nemmeno era in grado di fare in modo che i suoi pensieri andassero nella stessa direzione. Come si fa, accidenti?

Ludovico e Samuele portarono le fedi agli sposi, che diedero loro la mano e li tennero in mezzo a loro. Erano tornati bambini. Forse. Comunque fu un momento tenero e commovente.

Norma ascoltava la gioia di stare vicino alle persone che amava e cercò di allontanare il pensiero del male, perché, per quante dimensioni tu possa aver la fortuna di attraversare, hai sempre da una parte una cosa buona e dall’altra un errore, e, per quanti universi tu possa aver visitato, non sai mai bene dove inizia una e dove finisce l’altro. Era in pace e insieme non lo era. È così che funziona. Deve essere colpa del maledetto Giano che c’è in ognuno di noi, di quel demone interiore che ci tiene insieme e ci separa, che ci rende sfaccettati e irrisolti ed è responsabile delle nostre molte personalità, a volte interessanti a volte no. Il fatto è che da certe esperienze si può tornare solo in parte e a pezzi. Interi mai.

(FINE)

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