“Il complesso di Giano”, Capitolo 3

Pubblicato il 28 Giugno 2018 in Letture Ideas

“Il complesso di Giano”, Capitolo 3

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“Da quando ho deciso di applicare l’intelligenza a tutti i settori della mia vita le cose sono migliorate. Non so per chi, ma il miglioramento è evidente. Per quanto riguarda me, annaspo invece come al solito.”

Ma cosa stava scrivendo? Quale intelligenza? Quali settori della sua vita? La sua intelligenza si era volatilizzata del tuttola sera prima, durante la conversazione con quel tale. Di settori la sua vita non ne aveva. C’era soloun monolite d’inadeguatezza e approssimazione.

Dovrei scrivere almeno quello che mi sta succedendo, se proprio non mi riesce di fare i miei soliti lavoracci alimentari. Perché invece continuo a distrarmi?Si trovò a fissare il computer, e si presentò la fitta. Il motivo era ovvio, ma lei, come ogni cattivo scrittore che si rispetti, se lo chieselo stesso.

“Norma, ti va di fare colazione?”

Mattia era diventato sinistramente servizievole.

“Sì, grazie.”

“Quando i bambini si svegliano potremmo andare a fare un giro ad Antibes. Un tempo ti piaceva, ricordi?”

“Ottima idea.” Disse Norma. Aveva bisogno di non pensare a niente e tutto sommato una gita era una buona forma di svago.

“È pronto. Ti ho anche scaldato il croissant in forno.”

Poi Samuele lo chiamò e lui corse in camera a prenderlo.

Ma cosa credi di fare? Ho sempre dovuto arrangiarmi e ogni volta che ti chiedevo un favore facevi tali scene che alla fine ho smesso di chiederti qualsiasi cosa. Mi arrangiavo e basta. Una vita che mi arrangiavo e quindi non c’era niente di nuovo. Non muovevi un dito e pareva che tu sostenessi la mia vita. Ti davo credito e non smettevo di ringraziarti. Poi sei andato via e io ti ho detto con tutto quello che faccio e tu hai risposto non te l’avevo chiesto. Ora torni e fai cose che non ti ho chiesto e non sai cosa mi passa per la testa e credi di aggiustare tutto con le brioscine calde. Ma impiccati.

“Norma, ma cosa fai ancora al computer? Il latte diventa freddo.” Disse Mattia.

“Spengo e arrivo.”

Passarono una piacevolegiornata ad Antibes e lei tornò rilassata e felice. Non si ricordavaquasi della conversazione all’Esterel e quasi le pareva che i fantasmi fossero tornati a essere ciò che dovevano essere.Niente.

Quella notte andò nellacucina del B&B perché le andava un gelato ed eccolo lì, il suofantasma, chela aspettava seduto sul divano. Oh, no, ancora?

“Ti sei già stancata vero? Ti conosco. Arrivi a un certo punto e poi inventi qualche scusa per arrenderti.”

Cosa le stava succedendo? Perché davanti ai suoi occhi c’era un tale con una tunica bianca luccicante? Ma chi l’aveva mai visto, quello lì?Forse era parente di quello che stava nel suo salotto.

Parlare di allucinazione era riduttivo, ormai.

“Allora, hai imparato a viaggiare?” chiese il tale luccicante, che assomigliava a Mago Merlino, ma più lo guardava (ormai riusciva a farlo senza tremare troppo) più le pareva ugualee Gandalf.

Aveva una paura dell’accidentema era anche scocciata per le continue intrusioni di quei fantasmi assurdi. “Ma non hai un altro posto dove andare in vacanza? Lo sai che sei uguale identico allo stregone del Signore degli Anelli?Adesso vorresti farmi credereche sei vero e non un’allucinazione uscita da un romanzo?”

“Mai pensato che qualcuno possa scrivere libri e fare film su cose che ha visto davvero da qualche parte? Mago Merlino, Gandalf sono soprannomi carini. Ilmio vero nome è Degarm CK.”

“Mi piaccionodi più i nomid’arte.” Norma non aveva proprio alcun desiderio di trattare con quella creatura.“Senti, io volevo solo una coppetta al cioccolato, non investigarei segreti della creazione artistica. Quindi sparisci dalle mie allucinazioni, per favore.”

“Non sono un’allucinazione. Voglio sapere se hai imparato a viaggiare.”

“Ma che vecchietto insistente! Ti preferivo quando non parlavi. No, non ho imparato a viaggiare, se per viaggiare intendi andare dove dite tu e gli svitati dei tuoi amici. Perché non me lo spieghi tu come si fa a viaggiare, se ci tieni tanto?”

“Povera Norma, ti capisco. Vorresti scappare, ma, a differenza di ciò che pensi tu, la fuga non è sempre la scelta più sana. Non in questo caso, credimi. Se ci fosse un luogo dove fuggire forse lo farei anche io, te lo suggerirei. Ma non ci sarà luogo, se tu non ti decidi a darti una mossa. Sai come si fa, a viaggiare. Devi solo trovare il coraggio di provare.”

“Dimmi una cosa: cosa diavolo ci fai sui divani delle mie case?” Il divano in quel caso non era propriamente suo, e nemmeno la casa, ma quello non era il momento delle puntualizzazioni. “Basta. Non andrò mai più in nessuna cucina a prendere nulla, la sera. Devo smetterla di mangiaree berefuori pasto.”

“Tanto lo sai che io esisto. L’unica cosa che devi smettere di fare è resistere alla tua missione. Sei andata all’Esterel. Ora è tempo di fare un passo avanti e di compiere il tuo dovere.”

“Cosa dovrei faresecondo te? Giuro che non ho ancora capito niente di niente. E non credo nemmeno che tu esista. Comunquese proprio ci tieni spiegamelotu, Degarm CK. Mi arrendo. Contento?” Che altro doveva fare, visto chequei matti da legare continuavano ad apparire e scomparire senza preavviso?

Sprofondò nella poltrona di fianco al mago in lungo e lui le prese la mano.

Normasentì il contatto con la pellaccia rugosa di una tartaruga bicentenaria e compreseche lui era vero. O in alternativaera diventata matta da legare anche lei. Comepoteva credere che l’originale di un personaggio di fantasiafosse lì davanti ai suoi occhi e le stringesse la mano?Da quando in qua i personaggi dei romanzi fantasy esistono nella realtà?

“Vedi che ormai inizi ad avere il sospetto che sia tutto vero? Mi chiami già per nome.” le disse lui.

“Tu la fai facile, amico, ma non puoi pretendere di piombare nella vitadi una scrittrice fallita nota per essereuna babbea che crede a tuttoe convincerla che tu non sei una delle bufale che pascolano nel suo cervello ormai compromesso.”

“Vai a prendere la tua ultima risonanza magnetica.”

“Perché, oltre che stregonesei anche dottore?” disse. “Comunque non ce l’ho qui. Te lo dico domenica, quando torno a casa, in che condizioni è il mio povero cervello.” Era la verità. Certo che era proprio un gran mago, quello lì, che non immaginava nemmeno che uno gli esami clinici di solito non se li porta in vacanza.

“A domenica. Buonanotte.” Degarm CK si vaporizzò sorridendo e lei finalmente si servì il gelato. Una porzione abbondante, già che c’era.

I giorni seguenti furono tutto un dimenticare, un tralasciare, un superare, un rimuovere.

A parte un fatto, accaduto la sera dopo l’incontro con il mago. Camminava sul lungomare conuna baguette che continuava a scivolare viada sotto il braccio.Ma come facevano i francesi a tenerla ferma?

Guardava le piante di limoni e aranci che crescevano floride un po’ ovunque. Alcuni erano caduti a terra e si trovavano riversi sul prato, con un filo di succo che colava. Ineluttabilmente la baguette cadde sotto un lampione spento. La raccolse, si allontanò e il lampione si accese. Realizzò il fatto dopo aver fatto cinque passi. Un lampione si era illuminato al suo passaggio.

Certo la tua vita deve essere proprio uno spassose ti entusiasmi per così poco! Pensò. Un lampione si spense. E poi un altro. Il fatto che i lampioni si spegnessero al suo passaggio in qualche modo la rassicurò. Così sìche era tutto normale. Tornò a casa con un’impressione strana.

Due giorni dopo, quando lasciò l’appartamentino nel B&B dopo aver caricato in macchina le valigie, Norma sentì come un senso di mancanza, come se tra quelle mura stesse dimenticando qualcosa di importante. Fu una piccola fitta di un millesimo di secondo, seguita da un minuscolo impercettibile pensiero. Sperava di non vedere più i fantasmi o di incontrarli ancora?

Porta chiusa.

Norma si sentiva rilassata e non aveva nemmeno più paura delle curve sullo strapiombo all’altezza di Lavagna. L’avevano sempre terrorizzata, ma ora che la fine del mondo era vicina non c’era più motivo.

Ma cosa mi succede? Perché mi vengono in mente queste cose? Ma che ragionamenti sono? Tutta colpa di Degarm CK. Norma continuò a essere calma, anche mentre rifletteva su queste assurdità. Sentiva che qualcosa stava cambiando. Era lei che si arrendeva alla pazzia o stava prendendocoscienza della sua missione?

“Missione? Certo che hoperso il cervello, irrimediabilmente”.

“Dicevi?” chiese Mattia.

“Perché, ho pensato ad alta voce?” sobbalzò lei.

“Dicevi qualcosa su una missione.”

“Missione? Devi aver sentito male.”Eppure iniziava a sentire l’importanza di quella missione, per nessuno che fosse.

Arrivarono, scaricarono i bagagli e salirono in casa. Maddalena era lì ad aspettarli. Come al solito volevavedere suo padree aveva già pronta l’infame richiesta. “Rimani a cena?”

Norma la guardò ed emise un impercettibile grugnito. Eh, già, lui accettava, si tratteneva, si tardava e poi non c’erano più treni e quindi restava a dormire. Col cavolo, bello.

“Mi dispiace, ma devo andare.”

Ecco, bravo.

“Perché non vieni tu da me domani sera, Madda?”

E figurati se non la invitava per fare il padre solo e afflitto.

“Volentieri.”

E figurati se quella stupida non accettava.

“Porta anche Diego.”

E figurati se non invitava anche quell’altro.

“Domaniha le prove con il suo gruppo.”

E figurati se quello poteva.

“Mi accompagni alla stazione, per favore?” disse Mattia con una vocina sottile.

“Perché?” chiese Norma. “Quando vivevi qui quel tratto di strada te lo facevi a piedi tutte le mattine. E adesso improvvisamente è diventato un percorso impercorribile per le tue gambe?”

“Mamma, ma non senti cosa stai dicendo?” la rimproverò la figlia. “Non vedi quante valigie ha?”

”Se ogni volta che tuo padre va da qualche parte non si portasse dietro tonnellate di libri che poi nemmeno toglie dallo zaino non avrebbe tutto questo peso. Ha traslocatouna biblioteca per stare via tre giorni. Non vedi?”

“Lascia stare, lo accompagno io.” Intervenne Maddalena risentita.

“Ha ragionela mamma, Maddalena.”

Incredibile! Lui che non metteva un muso per una risposta così orrendamente cafona! Lui, la persona più indisponibile che Norma avesse mai conosciuto, che un tempo si offendeva se gli altri non erano sempre al suo servizio!

“Va bene, andiamo. Tu resta con i bambini, Maddalena.” Disse scocciatissima. Lo accompagnò e gli portò persino uno degli zaini fino alla biglietteria.

Purtroppo lei non era la seconda persona più indisponibile che avesse mai conosciuto. Anche in questo caso era molto indietro nella classifica.Era di sicuro tredicesima, lì dove la o sembra uno zero.

Il primo treno per Milano era dopo tre quarti d’ora.

“Beviamo un caffè?” propose Mattia.

Non ho nessuna voglia di bere un caffè con te. Preferisco abbattermi in mezzo alla strada e morire di sonno.Pensò. “Buona idea.” Rispose.

Entrarono in un bar che aveva appena aperto. C’era una signora sorridente, gentile, che non abbaiava al cliente, ma gli rivolgeva la parola come se pensasse di avere davvero a che fare con un essere umano.

“Non so perché, ma mi è venuto in mente quando mia nonna mi dava centolire per il caffè.” Le disse lui.

“Molto interessante!” disse Norma, per amore della battuta. In passato lo prendeva sempre in giro in quel modo. Era un gesto di affetto, e ora non capiva perché le fosse venuto spontaneo. Ma d’altronde lei era famosa per le sue sbagliatissime scelte di tempo e modo nel fare le cose.

Mattia rise, come se pensasse che tutto si stava piano piano sistemando.

Norma invece pensava a tutta una serie di cose che non capiva affatto e ilsuoex, che era stato fino a pochi giorni prima un muro portante dei suoi pensieri, si trovava attualmente parecchio in disparte.

“Il mio ricordo arriva a quando costava ventilire.” Intervenne la barista.

Sempre più interessante. Sbadigliò mentalmente Norma.

“Allora facevo la ragioniera. Poi ho conosciuto mio marito che faceva il barista. Poi ho venduto le borse e mio marito le macchine.”

Speriamo che non abbiano più cambiato attività, in seguito, altrimenti facciamo mattina.

“Adesso mio marito vende i giocattoli e io faccio la barista. Come fa uno a sapere come andrà la sua vita? Lei lo sa, signora?”

Ora il discorso virava su qualcosa di finalmente interessante, e infatti Mattia era diventato impaziente. “È ora di andare, Norma. Ho il treno.”

“No, non lo so.” rispose Norma alla barista.

“Vede, io ho due figli. La femmina sta per laurearsi e se le dicono ti do cento euro per lavorare tutta la giornata lei lavora anche se aveva in programma di andare al mare. Lui invece se è una bella giornata non accetta il lavoro e va al mare.”

“Be’, sì, anche io sceglierei il lavoro.” Disse Norma.

“Anch’io avrei detto così, fino a qualche anno fa. Ma ora ho capito che quello che offre la vita bisogna accettarloquando la vita lo offre.”

Mentre il suo ex guadagnava l’uscita, Norma vide come dire la luce.

“Signora, sa che lei ha proprio ragione? Grazie, lei mi ha detto una cosa straordinaria.”

Quello che la vita offre. Quando la vita lo offre.

“E allora voglio dirle ancora una cosa. Capisco perché mio figlio va al mare. Perché è così. A volte fai di tutto e ti sforzi e ti consumi e niente. A volte basta dare un calcio a un sasso e la fortuna ti salta addosso. Buona serata.”

“Buona serata a lei.E grazie ancora.” Disse Norma con convinzione.

“Mamma mia, non mi lascerò più andare ai ricordi sul prezzo del caffè.” Sbuffò Mattia.

Norma seguiva i suoi pensieri. “Guarda un po’. È incredibile come le cose buone vengano sempre in modo inaspettato.”

“Norma, a proposito di cose buone, volevo cogliere l’occasione per fare un discorso serio.”

“Non è meglio che torniamo in stazione?” propose Norma per tergiversare.

“Hai ragione. Lo faremo la prossima volta, il discorso serio. Ti va se usciamo insieme sabato prossimo?”

“Te lo faccio sapere.” Tagliò corto lei. Non aveva nessuna voglia di parlare con lui. Voleva andare a casa, farsi un bagno e aspettare la notte.

Alle tre andò in sala. Degarm CK la aspettava sul divano.L’amico che c’era prima gli aveva ceduto il posto, come Norma immaginava.

“Ciao, Norma, sei pronta?”

“No, Degarm CK, non sono pronta. Non sono nemmeno pronta a pronunciare il tuo nome, figuriamoci a viaggiare. Verso dove, poi, e come, sono cose che mi trovano ancora più impreparata. Allora che facciamo? La piantiamo una volta per tutte?” lo disse, ma ormai era decisa ad arrivare fino in fondo, o all’incirca.

“Vai a prendere la risonanza magnetica.” Le ordinò lui, sempre sorridendo. “È per questo che siamo qui.”

Norma, spinta come da una molla, si alzò per andare a prendere il referto che decretava la sua incipiente pazzia. Improvvisamente pensava che insomma nella vita bisogna accettareciò che la vita ci offre. E la vita adesso le offriva di collaborare alla salvezza del mondo. Esagerato, ma corrispondente. Melodrammatico, ma plausibile.

Tornò con le carte in mano e gliele porse. Lui scelse uno dei fogli. Era quello delle macchie.

“Ora sfiora le macchie.”

Norma eseguì.

“Ora guardati la mano.”

Le macchie si eranotrasferite sulla sua mano e si allargavano fino alle dita.

“Ma come?”

“Tocca il palmo della tua mano.”

Questa volta Norma non riusciva a obbedire. Fissava quei disegni neri senza capire, e non perché non volesse, ma proprio perché la cosa in sé non aveva senso.

“È un’allucinazione, vero?”

“Un po’ sì e un po’ no, Norma. È un modo per aiutarti a crederci.”

“Stregoneria facilitata per non credenti. Sorprendente.”

“Fidati di me. So che sai che è la cosa da fare.”

“So che questa nuova si fa per dire occupazione mi prospetta le stesse soddisfazioni della letteratura.”

“E allora che hai da perdere?”

“Niente”.

Senza pensarci passò i polpastrelli della mano destra sul palmo della mano sinistra. Le macchie sembravanoun tatuaggio.

Le mancò il respiro per un attimo, come se questo passaggio richiedesse una sospensione dell’introduzione di aria nei polmoni. Ma che cosa stava succedendo?

Stava ancora trattenendo il fiato quando si trovò in un posto mai visto, che però le ricordava qualcosa. Una stanza molto freddacon un lettoeuna finestra bianca che dava sul buio.

Certo un modo complicato per accedere ad altri mondi, ma sono sempre stata un tipo dai risvolti macchinosi.Fu il suo primo pensiero.

Sentì una stanchezza terribile, come se avesse attraversato il mondo.

Si infilò sotto le coperte, come se quello fosse stato da sempre il suo letto, e si addormentò. Al risveglio si guardò intorno.

C’era un abito appoggiato sulla sedia, alcuni rudimentali oggetti per la toeletta e un secchio pieno d’acqua. Una vera immersione nel lusso. Eccomi qui, che balzo da un successo all’altro.

Mentre si lavava la faccia vide le macchie sul palmo della mano sinistra. Si rassicurò. Be’, almeno poteva tornare indietro. Si vestì come se fosse tutto normale. Era relativamentecalma. Insomma, uno vede uno stregone, gli vengono delle macchie sulle mani, viene sbalzato in una specie di limbo in un albergo a mezzastella e che fa? Un pisolino e poi si mette un vestito a fiori fuori moda da vent’anni. Unmomento: quelloerapropriol’abito di seta che aveva indossato al matrimonio di un’amica! Mi pareva di averlo già visto! Lo sapevo ioche gli indumenti usati che si mettono nei cassonetti vannoa finire nella quinta dimensione!Norma l’aveva utilizzato per altre occasioni. Già, lei conservava i vestiti fino al limite della consunzione, maquello l’aveva utilizzato poche volte, prima di disfarsene.D’altronde quando mai aveva occasione di indossare qualcosa di diverso dalla tuta?

In fondo pare ancora nuovo e non fa più difetto sul fianco destro. Quello fu il dato che, in tutta quella situazione paradossale, la meravigliò di più. Ora evidentemente a fare difetto sono io. Ma cosa vuole dire tutto ciò? Inutile farsi domande.Lasciò perdere e uscì. Prima o poi doveva affrontare quel posto.

Aprì la porta e trovò un corridoio, che portava a un altro corridoio. Percorse quei corridoi sconosciuti come se non fossero corridoi sconosciuti e arrivò davanti a una porta. Entrò e non restò nemmeno più di tanto sorpresa.

“Ah, sei tu. Tutta questa solfa per trovare ancora te? Ma non potevamo parlare sul divano di casa mia?”

Degarm CK nonsi scompose. “Era necessario farti arrivare qua. È il primo vero passo che fai.”

“Certo sai che sono lenta nell’apprendimento, visto che continui a spiarmi.”

“Accomodati.”

“Ciò significa che avrò qualche risposta? Mi diraichi sono? O magarimi darai qualcheutilesuggerimento su come sprecare diversamente la mia esistenza?”

“Suggerimenti no, la tua vita la sprechi già benissimo da te. Risposte? Forse. Vuoi sapere chi sei? Questo ora te lo posso dire.”

“Uh uh!”

“Sei un controllore, Norma. Uno dei tredici.”

“Sì, questo già me l’ha detto quel fenomeno che ho incontrato all’Esterel. Sono il tredicesimo controllore, quello che corrisponde alla lettera o, la più simile allo zero. A proposito, perché mi hai fatto andare fin laggiù?”

“Iosono uno dei tre guardiani. Ti ho fatto andare lì per aiutarti a prendere coscienza.”

“La prossima volta per cortesia puoi farmiprendere coscienza nel mio salotto, per favore, che costa meno e si perde meno tempo?”

“Gli altri sono già tutti svegli. Manchi solo tu. Devi sbrigarti. Devi recuperare i tuoi poteri. Devi imparare a viaggiare. Devi trovare ciò che è stato sottratto.”

“Una sfilza di doveri, insomma, come al solito.”

“Devi capire e poi devi spiegarmi.”

“Ah, pure. Guarda che io non so niente, non ci capisco niente e non ho grandi prospettive di comprensione futura, credimi. E poi pensavo che tu sapessi già tutto e che saresti stato tu a spiegare a me.”

“Se sapevomica venivo a cercare una come te, ti pare?”

“Sempre prodighi di complimenti, voi.E adesso?”

“Non lo so, Norma. So solo che stanno accadendo delle cose e che qualcuno deve capire cosa. Un controllore. Tu.”

“Però, tu sì che esageri con i dettagli! Quindi, riassumendo,iosarei

una supereroina.”

“Una specie.” Abbozzò Degarm CK.

“Alloraperché non me ne sonomai accorta?”

“Perché i controllori esistono da sempre, nascono e rinascono, ma non sanno chi sono finché la loro opera non viene richiesta. Noili aiutiamo a svegliarsi.”

“Questa conversazione mi sembra fuori di testa quantote. E come me, purtroppo. Vabbé, inutile discutere. Dimmi almeno cosa vuoi che faccia.”

“Non ne ho idea. Devi fare da sola, da qui in poi.”

“Comeal solito.”

“Di che ti lamenti? Non ti sentivi già una supereroina?”

Norma si immaginò in calzamaglia bianca e pensò che il look non le donava affatto. “Sono leggermentesconcertata.”

“Anch’io.” Degarm CK trovava Norma molto simpatica, il che la diceva lunga sulla sua lucidità mentale. Negli ultimi tempi aveva perso qualche colpo, ma questa volta non si erasbagliato: sì, il controllore mancante era proprio quella simpatica depressa inconcludente. “Dai, torniamoindietro.”

“Ben volentieri, se mi dici come si fa. Sei proprio così sicuro che sia io il controllore mancante?”

“Ora sì. Non vedi che hai già imparato a leggere nel pensiero?”

“Quale pensiero?”

“Stavo pensando che il controllore mancante devi essere proprio tu e tu hai chiesto se ero sicuro che il controllore mancante fossi tu.”

“Un caso.Credimi, non leggo da anni.”

“Non opporti al risveglio. Lasciati andare e forse ce la farai. O almenospero.”

“Certo che siamo proprio conciati, noi salvatori dell’universo.”

“Andiamo, su. Sfiora le macchiee concentrati sulla tua sala.”

Norma eseguì. L’aveva pulita talmente tante volte che non faticava a ricordarne ogni piccolo polveroso particolare.

Sentì come qualcosa che la svuotava dall’interno, come se fosse dell’acqua stagnante che scendeva dal tubo di scarico del lavandino. Era lei, che scendeva nel tubo di scarico di qualche luogo parallelo a non si sa cosa, se dimensione o universo o che accidente d’altro. Si ritrovò seduta sulla sua poltrona preferita. “Uella peppa.” Esclamò.

Degarm CK era vicino a lei. “Tutto bene?”

“Benissimo.” Guardò l’ora e pensòche non erapassato nemmenoun minuto. Era in camicia da notte. Del vestito a fiori nessuna traccia.

“Non è passato nemmeno un secondo, Norma. I viaggi non rientrano nel computo del tempo di questa dimensione.”

“Eh? Chi ha bevuto? Tu o io?” Norma ci capiva sempre meno.

“Quando viaggi il tempo qui non passa.”

“Comodo, così posso salvare il mondo senza nemmeno dover chiamare la baby sitter.”

“Un bel risparmio.” ConvenneCK.

“Non so, non sono convinta, non riesco a credere nemmeno a ciò che vedo. Converrai con me che è difficile.”Insomma,dubbi ne aveva.

CK non rispose.

“Mamma, mamma, mamma.” Ludovico arrivò in lacrime. Si svegliava di notte e aveva paura.

Norma, che di solito era infastidita dal continuo piangere e dalle mille paure di suo figlio, corse ad abbracciarlo. Un po’ perché aveva bisogno diabbracciare qualcuno, un po’ perché iniziava a condividere le oscure angosce di quel bambino. Per fortuna almeno lui non vedeva i fantasmi.

“Sono qui, amore mio.” Lo rassicurò.

“Ciao.” Disse Ludovico rivolto al mago.

Norma restò impietrita come una brutta statua. Non riusciva a capire. Cioè capiva, ma non realizzava. Poi realizzò. Non solo suo figlio vedeva i fantasmi, ma da molto più tempo di lei. Quella sala di notte era un luogo frequentato.

Non è che anche lui è un controllore?

“Esatto, Norma. Lui sa già da tempo chi è.” Confermò CK.

In un attimo compreseperché il suo bambino era tormentato datutte quelle paure che tanto la irritavano:sapeva che c’era motivo, di avere paura.

Deglutì.

Un controllore di otto anni. Mica può andarci un bambino di otto anni, a fare questo cavolo di missione, anche se certo lui se la caverebbe meglio di me.

“No, un bambino di otto anni non può.” ConfermòCK.

“E sequestefossero tutte storie, tutti miti e sogni?” domandò Norma.

“E se troppo tardi tu scoprissi il contrario?” disse lo stregone. “Me ne andrei in un lampo, Norma, se tu non fossi necessaria alla missione. Come puoi non credere a questo?”

“Facile, per te che sei un, un …” Un che? Cos’era?

“È tutto vero, mamma.” Intervenne Ludovico.

Norma aveva imparato nei precedenti anni che quando Ludovico diceva una cosa quella era. Poteva crederci, se lo diceva lui.

“E poi cos’haida perdere, a parte la vita e i tuoi figli? Inoltre non li perdi, ma li salvi. No?”

Cosa ho da perdere, a partela mia vita ei miei figli? Ripensò alle sue giornate, alle persone che incontrava, alle cose che sentiva. Poi guardò Ludovico. Aveva deciso. “Ma sì, buttiamocinei miti e nei sogni, perché qui, a pensarci bene, non c’è niente di bello da vedere.” Disse Norma. “A domani, CK. Ti aspetto.”

Degarm CK se ne andò e questa volta aveva un piccolo groppo alla gola. Pensò che stava diventando vecchio.

Sentì la voce di Ludovico che lo seguiva “No, non sei così vecchio”.

Ah, bambino mio, se fossi stato solo un po’ più grande.Pensò lui.

Norma avrebbecompiuto il suo dovere. Sì, avrebbe agito. La nostra impronta nelle cose del mondo si rileva dalle opere che abbiamo avuto il merito di portare avanti, affrontando la gioia del fare e il fastidio dell’errore.E il rischio che qualcuno ti obblighi a indossare la camicia di forza.

 

 (segue)

 

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