Wuhan, si riparte

Pubblicato il 10 Aprile 2020 in Wellness Denaro Salute Business

Wuhan, la città della Cina primo focolaio del coronavirus, non è più in isolamento. Dalla mezzanotte scorsa, i residenti possono muoversi liberamente dopo 76 giorni di lockdown. Nella notte, uno spettacolo di luci ha salutato questo nuovo inizio, mentre la gente si accalcava sui treni in partenza e lunghe file di auto lasciavano la città.  Dopo 76 giorni di lockdown, Wuhan, la città dove si è sviluppato il primo focolaio della pandemia di Covid-19, si riaffaccia alla vita e vede cadere le restrizioni più vincolanti, decise dal governo di Pechino il 23 gennaio per contenere il contagio. Il capoluogo dell’Hubei era stato bloccato con l’intera provincia, coinvolgendo 60 milioni di persone. Un isolamento a tempo indeterminato e senza precedenti per un così alto numero di persone. Da oggi, gli 11 milioni di abitanti di Wuhan possono finalmente lasciare la città se lo desiderano e se possono dimostrare di godere di un buono stato di salute e di non essere entrati in contatto con persone infette negli ultimi 14 giorni. La compagnia statale China Railway stima che solo nella giornata di oggi 55.000 passeggeri lasceranno la città, il 40% dovrebbe dirigersi verso il Pearl River Delta nella provincia meridionale del Guangdong. Le persone che intendono a tornare a Pechino da Wuhan affrontano le maggiori difficoltà: “devono aver fatto test a base di acidi nucleici ed essere in possesso di un tampone negativo prima di poter entrare nella capitale”, riferisce il Beijing Daily. Non tutto, però, è tornato alla normalità: scuole e università restano chiuse, e l’eventuale riapertura avverrà solo dopo che saranno stati valutati gli effetti delle misure restrittive attuate finora. Ai cittadini è stato chiesto di limitare le uscite di casa e di non formare assembramenti pubblici. Il rischio di una ‘ricaduta’, lo sanno bene a Pechino, potrebbe nascondersi dietro l’angolo.

Tracciati con il QR code?

Anche se la riapertura ufficiale è avvenuta oggi, molti residenti hanno ricominciato a lavorare e ad uscire da alcuni giorni e ad andare fuori. Ma cosa bisogna portare con sé in caso di controllo? Prima di tutto il telefono cellulare, su cui ogni cittadino deve aver scaricato l’app AliPay o WeChat, che dà a ogni residente un codice Qr colorato sullo stato di salute, previa scannerizzazione del documento di riconoscimento: il rosso vale un caso confermato di infezione da sottoporre ad immediato trattamento medico, il giallo esprime un contatto ravvicinato con un caso di contagio (obbligo di quarantena e divieto di viaggiare), mentre il verde certifica l’assenza di rischi e consente gli spostamenti e il ritorno al lavoro.

Un ‘contagio di ritorno’?

Secondo il bilancio definitivo e ufficiale delle autorità di Pechino, a Wuhan i decessi legati al Covid-19 sono stati 2.535. Oltre 3.200, invece, nella provincia dello Hubei. Mentre in tutta la Cina, dall’inizio dell’epidemia, si sono registrati quasi 82.000 casi e oltre 3mila vittime. Anche se in molti sostengono che i numeri reali potrebbero essere parecchio più alti. La fine dell’isolamento è stata preceduta da appelli ai residenti a non abbassare la guardia mentre le autorità locali hanno ribadito l’importanza di mantenere i controlli nella città. “Zero nuovi contagi non è uguale a zero rischi”, si legge in una nota emessa oggi. Ora, infatti, a preoccupare le autorità sono gli asintomaticile persone positive al virus ma senza sintomi, che potrebbero veicolare un ‘contagio di ritorno’ nel paese. A Wuhan, ad esempio, ne sono stati individuati più di mille e il timore è che possano diventare nuova fonte di trasmissione del Covid-19.

Il nodo dell’economia?

La liberazione di Wuhan, celebrata con le proiezioni dei volti dei medici e del personale sanitario sui grattacieli, è un passo importante nel piano del presidente Xi Jinping di dichiarare una vittoria del paese (e del governo) sulla crisi. E questo proprio mentre in Europa e negli Stati Uniti si combatte per contenere il contagio. Ma per la Cina è davvero tutto alle spalle? Secondo il Scmp nel primo trimestre del 2020 quasi mezzo milione di società hanno chiuso i battenti e circa cinque milioni di persone, ma il dato potrebbe essere sottostimato, hanno perso il proprio posto di lavoro solo tra gennaio e febbraio. La disoccupazione è una delle voci che più preoccupano il governo centrale, poiché potrebbe acuire il già profondo divario tra le province più ricche e quelle più depresse del paese. Inoltre resta il problema della domanda esterna. Finché le economie del resto del mondo non ripartiranno, le esportazioni saranno ferme. La Banca mondiale sostiene che la crescita della Cina nel 2020 potrebbe crollare dal 6,1% previsto al 2,3%. Altri report si spingono ancora oltre, prevedendo una crescita che oscilla tra il +2 e il +1%. Stando alla maggior parte delle stime, saremmo di fronte alla performance finanziaria più debole da 44 anni, peggiore di quella del 2008, in piena recessione globale, e del 1990, quando l’Occidente impose dure sanzioni a Pechino dopo il massacro di Piazza Tiananmen.

IL COMMENTO, di Giulia Sciorati, analista programma Cina, ISPI
“Il parziale alleggerimento delle misure di lockdown a Wuhan dà nuova forza alla campagna di comunicazione di Pechino per un ritorno a una qualche forma di normalità: il mantra “fufong fuchang” – letteralmente, “riprendere il lavoro, riprendere la produzione” – ormai da settimane si ripete sui media nazionali allo scopo di preparare la popolazione alla “fase due” cinese. Un’apertura quella di Wuhan che è anche simbolica: una sconfitta della malattia che arriva pochi giorni dopo la commemorazione nazionale dei defunti, tenutasi nella giornata altamente evocativa del 4/4, dove il “numero quattro” in cinese ha un suono simile a quello di “morte”.

Episodi, quindi, che vogliono preparare il paese alla transizione post- coronavirus, e a ragione. I nemici più grandi per la Cina, infatti, oggi non sono né l’economia in rallentamento né la competizione con gli Stati Uniti, ma la fiducia della società civile e il morale della popolazione. La distensione delle misure di lockdown nelle province dello Hubei e del Jiangxi a fine marzo, d’altronde, non era stata accolta positivamente, ma aveva portato a delle vere e proprie sollevazioni popolari che sottolineavano quanto poco la leadership cinese godesse di sostegno.
Se il coronavirus ha insegnato qualcosa a Pechino, è non dare per scontato il favore della sua società civile, soprattutto ora che la pandemia le ha dato la forza di sollevarsi contro quelle decisioni che non condivide, non una ma più volte”.

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