Austerità saudita

Pubblicato il 20 Maggio 2020 in Wellness Lavoro Denaro Salute Business
Stretta tra gli effetti della pandemia e il crollo dei prezzi del petrolio, Riad taglia la produzione di greggio e annuncia misure di austerità senza precedenti.
Sono tempi difficili anche per Riad. La pandemia e gli effetti del lockdown sulla produzione industriale globale si sono abbattuti sulle casse del regno e il governo saudita corre ai ripari. A partire dal primo di luglio l’imposta sul valore aggiunto (Iva) sarà triplicata, passando dal 5 al 15%. Sarà sospesa inoltre l’erogazione dei sussidi ai dipendenti pubblici. Un vero e proprio piano di austerity, impensabile fino a qualche anno fa, che prevede l’aumento delle tasse e la riduzione della spesa pubblica. “Si tratta di misure senza precedenti, ma necessarie per evitare provvedimenti ancora più drastici come un taglio degli stipendi del settore pubblico – osserva Madawi al Rasheed su Middle East Eye – visto che al momento il petrolio non sembra dare segnali rilevanti di ripresa e il barile di greggio sta diventando più economico dell’acqua, nel regno del deserto”. Alcuni osservatori ipotizzano che l’aumento del costo della vita potrebbe rompere il patto sociale con la popolazione e frenare la portata delle riforme avviate dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS). Il regno si trova a un bivio difficile: aumentare ancora la spesa – dopo un trimestre in cui si è registrato un deficit di bilancio di 9 miliardi di dollari – o tagliare nel welfare? In una delle ultime monarchie assolute, in cui la legittimità politica si basa in buona parte sulla redistribuzione delle entrate petrolifere, tagli drastici e aumento delle tasse possono alimentare il malcontento, ma potrebbero arrivare a minarne la stabilità?

Un piano di austerity?

In Arabia Saudita, l’indennità di mille rial al mese per i dipendenti pubblici (circa 245 euro) era stata introdotta nel 2018 per compensare l’aumento dell’Iva e del prezzo della benzina. Oggi quella stessa misura è ritenuta non più sostenibile: in appena un anno, le rendite petrolifere si sono contratte di un quarto, riducendo le entrate complessive del 22%. Secondo molti analisti, anche con prezzi del petrolio a 25 dollari, il Regno è in grado di resistere anche per un decennio. Ma per un paese che ha costruito la sua fortuna sulle rendite petrolifere, poche tasse e manodopera straniera a basso costo, osserva Tarek Fadlallah su Bloomberg “la sfida è ora rimanere competitivi nei confronti di vicini con Iva e aliquote molto più basse. Alcuni, come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, hanno anche infrastrutture migliori e consentono agli espatriati maggiori libertà sociali”.

Cambio di strategia?

L’11 maggio Riad ha annunciato anche una riduzione di un milione di barili al giorno nella produzione di petrolio, a partire da giugno. Si tratta di un taglio extra rispetto a quello già deciso ad aprile nell’ambito dell’accordo con i paesi dell’Opec+. La decisione porta la riduzione complessiva della produzione del Regno a circa 4,8 milioni di barili al giorno. Il livello più basso negli ultimi 20 anni. Una scelta sofferta, cui sembra aver contribuito la minaccia neanche tanto velata da parte degli alleati statunitensi, di ritirare i propri soldati dal paese se i sauditi non si fossero decisi a tagliare la produzione. La ‘guerra dei prezzi’ tra Riad e Mosca rischiava infatti di far collassare l’industria americana dello shale oil, che non può permettersi di vendere il greggio estratto con tecniche non convenzionali, a costi troppo bassi.

VIsion 2030 a rischio?

L’Arabia Saudita è in assoluto il paese più colpito dal nuovo Coronavirus nella penisola, e ha registrato finora 39mila casi e 246 decessi. Ma a preoccupare il principe ereditario MBS non sono tanto le questioni sanitarie, quanto il progetto a cui l’erede al trono ha indissolubilmente legato il suo nome: Vision 2030. Un piano faraonico che dovrebbe cambiare il volto dell’economia saudita, diversificandola dal greggio e convertendola verso l’energia alternativa e il settore privato, e che ora rischia di deragliare. Il crollo del greggio coincide infatti con la fase uno del progetto che a causa della pandemia dovrà probabilmente essere ritardato. Progetti come ‘Neom’ la futuristica città hi-tech tra il deserto e il mar Rosso, dal costo iperbolico di 500 miliardi di dollari, dovrà necessariamente aspettare. E Vision 2030 potrebbe diventare Vision 2040. Nel migliore dei casi.

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