Italia chiama Ue: corona-bond tra mito e realtà

Pubblicato il 9 Aprile 2020 in Denaro Business

Oltre che per l’emergenza sanitaria del coronavirus, a preoccupare sempre più il nostro paese sono le conseguenze economiche. L’Italia chiede a gran voce all’Ue di battere un colpo, di dimostrare di esserci in una situazione drammatica e senza precedenti. L’Europa in realtà un colpo l’ha già battuto, soprattutto con la Banca centrale europea (Bce) che ha dispiegato una potenza di fuoco non indifferente, impegnandosi ad acquistare titoli pubblici e privati per oltre 1.000 miliardi (c.d. PEPP). E peraltro impegnandosi a farlo sorvolando sulle sue stesse regole (la capital key) che le imporrebbero di limitare gli acquisti dai singoli stati membri proporzionalmente alla quota che ciascuno detiene nella Bce (il 13% per l’Italia). Insomma acquisterà più o meno liberamente da quei paesi che sono più in difficoltà. Gli effetti si sono visti subito: il nostro spread è tornato sotto i 200 punti base.

Ma negli ultimi giorni molte capitali europee, a partire da Roma, chiedono a gran voce che l’Europa faccia di più, molto di più. Si rincorrono così voci – e spesso rumorose dicerie – su corona-bonds, mutualizzazione dei debiti, eurobonds, fondo salva-stati in versione post-Covid, Bce con acquisti illimitati e così via. Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza rispondendo a due questioni chiave. Primo: è giusto e opportuno chiedere ulteriori misure all’Europa? Secondo: cosa possiamo realisticamente aspettarci di ottenere?

Perché è giusto chiamare l’Europa

La prima domanda è piuttosto facile, perché la risposta non può che essere affermativa. L’Ue ha infatti giustamente stabilito che per far fronte all’emergenza del coronavirus le regole del Patto di stabilità e crescita – a partire dal famigerato rapporto deficit/Pil –  vanno sospese. La Germania annuncia stimoli fiscali e crediti alle imprese per 756 miliardi di euro (di cui 400 miliardi di garanzie sui crediti), la Francia per 350 miliardi (di cui 300 di garanzia sui crediti), l’Italia per almeno 50 miliardi e così via. Tutto giusto e, oggi, non sanzionabile dall’Ue. Ma è bene tenere a mente che si tratta in gran parte di soldi presi a prestito. In pratica dopo l’emergenza coronavirus l’Europa si ritroverà con un aumento considerevole dell’indebitamento pubblico (e privato). Un paese come la Germania – con un rapporto debito/Pil intorno al 60% – ha poco da preoccuparsi, ma un paese come l’Italia, che già ora supera il 134%, deve preoccuparsi eccome. È un problema che riguarda praticamente tutti i paesi mediterranei dell’Eurozona, inclusa la Francia di Macron che si appresta a superare il 100%.

Di fronte all’impennata dell’indebitamento in Europa, i mercati potrebbero mettere in discussione anche la disponibilità della Bce di andare oltre i 1.000 miliardi di acquisti e di procedere ad acquisti illimitati (cosa che invece si è già impegnata la Fed americana dallo scorso 18 marzo), iniziando così a prendere di mira i paesi più fragili. Si innescherebbe un effetto domino simile a quello della precedente crisi finanziaria che potrebbe travolgere l’intera Eurozona. Quindi sì, è giusto e opportuno chiedere ulteriori misure all’Ue perché a rischio non ci sono solo le finanze di questo o quello stato, ma la tenuta dell’intera Eurozona. E le misure finora annunciate dall’Ue e dai governi non sono solo insufficienti, ma spingono proprio verso uno scenario di questo tipo.

Corona-bond sì, corona-bond no

E allora passiamo alla seconda domanda: quali ‘armi’ potrebbe usare l’Europa e quale tra queste è più probabile che venga utilizzata? Per capirci di più, passiamoli brevemente in rassegna. La prima ‘arma’ è quella di usare per bene il MES, il tanto vituperato Fondo salva-stati. In pratica, i paesi potrebbero attingere alle linee di credito precauzionali (ECCL) già previsti dal Fondo. Anche la Bce potrebbe correre in aiuto acquistando illimitatamente titoli di stato sui mercati secondari con una misura già usata da Mario Draghi nella scorsa crisi finanziaria (c.d Outright Monetary Transactions, OMT). La Bce potrebbe farlo proprio perché il Board del MES, ovvero i governi europei, avrebbe già dato il suo ok all’utilizzo del MES. In altri termini, la BCE sarebbe ‘politicamente’ coperta dagli stati. Il ricorso al MES non è una soluzione che l’Italia può scartare a priori perché – pur dovendo pagare una fee al Fondo – prenderebbe a prestito a un tasso più basso rispetto a quello che trova oggi sul mercato. Questa convenienza varrebbe anche per gli altri paesi in difficoltà (Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro), ma risulterebbe meno appetibile non solo per i paesi del Nord, ma anche per la Francia (alleato imprescindibile nella negoziazione).

Ci sono poi altri due problemi. Il primo è legato al fatto che il MES può al momento contare su soldi promessi dagli stati fino a ‘soli’ 410 miliardi di euro. Potrebbero non essere sufficienti e un loro aumento risultare indigesto per i paesi del Nord. Secondo problema: per accedere a queste linee di credito i paesi ‘mediterranei’ dovrebbero rispettare le regole europee, ad iniziare da quelle sul Patto di stabilità e crescita. Siccome non le rispettano, sarebbero costrette a firmare quello che per l’Italia, e non solo, è un tabù: un Memorandum of Understanding (MoU). Si obbligherebbero quindi a mettere le proprie finanze pubbliche sotto strettissimo controllo dell’Ue. Su questo punto però il buon senso potrebbe prevalere: se il Patto di stabilità e crescita è stato sospeso, perché si chiede il loro rispetto per accedere alle linee di credito del Fondo? Il compromesso potrebbe essere quello di chiedere agli stati una semplice Lettera di intenti (molto meno stringente di un MoU), fermo restando che le regole torneranno a essere più ferree per futuri interventi del Fondo non legati al coronavirus. L’Italia potrebbe offrire in cambio il suo benestare – che finora ha negato – all’approvazione del Trattato sul MES. Insomma non sarà facile, ma questa potrebbe essere una via percorribile.

Una alternativa sarebbe quella di creare una ‘agenzia’ europea che si indebiti emettendo titoli per poi trasferire pro-quota i relativi ammontari a tutti i paesi membri. Ovviamente dato che il MES esiste già, questo (magari con un capitale aumentato oltre i 1.000 miliardi) sarebbe il candidato ideale a fungere da ‘agenzia’. Proprio perché tutti i paesi potranno accedervi, MoU e vincoli simili potrebbero essere evitati. Peraltro, i titoli emessi dal MES potrebbero essere acquistati, almeno in parte, dalla Bce. Una opzione ben più accettabile per la Bce stessa rispetto all’acquisto dei titoli pubblici dei singoli stati membri. E non è escluso che la Bce si tenga in pancia questi titoli per molto tempo, anche sine die. Sì, questa sarebbe proprio l’ipotesi in cui la Bce interviene ‘stampando moneta’.

Ci si potrebbe spingere anche più in là (come chiedono alcuni paesi ‘mediterranei’), pensando ai corona-bonds propriamente detti: il MES – o anche la Commissione mettendo a garanzia il bilancio Ue – emetterebbe dei bond per un ammontare pre-definito. Questi soldi potrebbero finanziare schemi comuni di sussidi alla disoccupazione (come il ‘Sure’ di cui si parla negli ultimi giorni) che verrebbero diretti soprattutto verso i paesi più colpiti dalla crisi coronavirus.

Certo, in questi ultimi due casi, saremmo dalle parti della ‘mutualizzazione (parziale e pro tempore) dei debiti’. Non sarà facile farlo accettare a tedeschi e olandesi. Ma quel che importa da questa disamina è che è chiaro a tutti – ed è nell’interesse di tutti – che la ‘chiamata’ all’Europa in questo momento è necessaria e inevitabile. Ci sono vari strumenti attivabili: principalmente quelli sopra esposti o una loro combinazione. Per accrescere le probabilità che vengano attivati non ci si può arroccare sui tabù: né quelli dell’Italia sul fondo salva-stati, né quelli dei paesi del Nord sulla maggiore solidarietà. Se l’Europa non risponde alle chiamate in una situazione così drammatica, rischia di non ricevere più chiamate in futuro.

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