Il cinema di Luis Buñuel – Robinson Crusoe, un naufrago della vita

Pubblicato il 7 Febbraio 2022 in Humaniter Cinema
Luis Buñuel

Nel 1952, quando si è ormai stabilito definitivamente in Messico, Buñuel torna a lavorare per Hollywood mediante una coproduzione che vede coinvolto l’amico Oscar Dancingers per la versione cinematografica di Robinson Crusoe, capolavoro dello scrittore inglese Daniel Defoe. Per Buñuel il romanzo è lontano dal proprio orizzonte culturale e non lo intriga. Inoltre si tratta di una produzione che si prefigge di realizzare un film di consumo desunto da un testo scelto appositamente per la sua notorietà e diffusione. Date queste premesse al regista non resta altro che rispettare la lettera del romanzo per sovvertirne lo spirito. Aggiungendo di suo alcune “note a margine” che palesano tali intenzioni. Sotto la lente da entomologo del regista il personaggio finisce col somigliare a uno dei tanti insetti che popolano l’isola tropicale su cui è naufragato. Il suddito britannico che non rinuncia mai alla sua “civiltà”, considerata dallo scrittore la più compiuta e sviluppata del pianeta, diventa un essere inquieto, pieno di dubbi, ossessioni e paranoie.

 

Il silenzio di Dio

Proprio il concetto di “civiltà” è il primo e più macroscopico sovvertimento di segno che il regista opera nella sua traduzione in immagini del soggetto letterario. Con la prima delle “trasgressioni” rispetto alla pagina scritta: l’incubo febbrile in cui Robinson, da poco approdato all’isola deserta, rivede suo padre e rivive il distacco dalla famiglia contro il volere dei genitori come una sorta di vendetta divina verso il suo gesto di ribellione. Per traslato, il conflitto con il padre biologico si trasferisce ben presto al padre ultraterreno, ossia a Dio rafforzato ed esplicitato dal ritrovamento di una Bibbia tra i bagagli recuperati dal relitto della sua nave. Nel romanzo di Defoe il sogno (di segno totalmente diverso) aveva avuto come esito la lettura quotidiana dei testi sacri i quali avvicinano sempre più il quasi agnostico Robinson alle dottrine della fede. Nel film avviene esattamente il contrario dato che l’appoggio della religione viene sempre meno nella sostanza pur mantenendo un notevole rilievo formale. Esemplare, al proposito, la scena, assente nel romanzo, della valle dell’eco. Quando Robinson per sfuggire la solitudine e «Udire una voce umana»recita alcuni versetti del Salmo 23 («Il Signore è il mio pastore, lui mi farà riposare nei suoi verdi pascoli, mi condurrà presso le calme acque…»), tali parole risuonano invano, vuote e prive di significato, nel silenzio di un cielo in cui Dio è assente. Lo stesso discorso vale anche per il dialogo con Venerdì sul peccato, anticipo di quello, analogo, presente nella Via lattea (1969) sul libero arbitrio.

Robinson Crusoe

Civiltà e barbarie

Tra i “contrappunti” che il regista dissemina qua e là nell’ordito del romanzo figurano anche le brevi scene (ovviamente assenti nel testo) in cui compaiono animali, ossia un notevole campionario del cosiddetto “bestiario buñueliano” vista l’abbondanza della fauna endemica in un’isola tropicale. Si comincia con il grosso ragno velenoso che esce da una brocca nella quale Robinson ha inutilmente cercato dell’acqua per finire con le larve di formicaleone che il personaggio chiama «Imiei piccoli amici»e ai quali dà in pasto, appunto, una formica. La metafora è lampante: non solo gli uomini tra loro si comportano come gli insetti, ma il “cannibalismo” che li contraddistingue non è solo quello che porta sull’isola gli indigeni per i sacrifici umani, bensì anche quello che regola i rapporti tra gli europei e la loro società mercantile. Infatti, quando Robinson e Venerdì vedono una scialuppa sbarcare sull’isola con a bordo uomini bianchi, alcuni dei quali legati (si tratta di ammutinati e del loro capitano con alcuni ufficiali) il “buon selvaggio” non può fare a meno di chiedere: «Anche i bianchi mangiano i prigionieri?» Al che il suo civilissimo “padrone” deve ammettere amaramente: «Mangiarli no, ammazzarli sì».

Robinson Crusoe

Il richiamo dell’eros

Anche il tema dell’erotismo e della sensualità, ovviamente assente nelle pagine del puritano scrittore settecentesco, affiora brevemente tra le pieghe del narrato cinematografico. Nonostante il film non abbia neppure una comparsa di sesso femminile. In due momenti particolari e quasi simmetrici nell’economia della storia. All’inizio Robinson copre con abito femminile, trovato tra i resti della sua nave, il supporto di uno spaventapasseri e rimane turbato quando il vento gonfia le vesti facendole apparire quasi animate. Stesso turbamento che colpisce il personaggio quando, verso la fine, Venerdì si abbiglia con un abito simile, convinto di paludarsi per la battaglia secondo i propri costumi. Piccole tracce, finezze che sfuggono ai più e che non inficiano l’intento commerciale della produzione, ma che opportunamente decodificate rappresentano perfettamente l’estetica surrealista (l’insopprimibile “amour fou”, in questo caso) e l’etica pessimista dell’autore.

Robinson Crusoe

 

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