Il cinema di Luis Buñuel – Analisi critica di “Un chien andalou”

Pubblicato il 25 Ottobre 2021 in Humaniter Cinema
Un chien andalou

C’era una volta dice la prima didascalia del film, come nei racconti delle fiabe. Otto anni dopoVerso le tre del mattinoSedici anni primaIn primavera Più che a contestualizzare la vicenda, compito primario dei “cartelloni” (così si chiamavano) nei film muti, le didascalie di Un chien andalou sembrano piuttosto orientate a decontestualizzarla. Non siamo in una fiaba, né otto anni avanti o sedici indietro. Non è primavera, né autunno, né alcuna altra stagione. Come affrontare, allora, un’opera che con ogni evidenza è strutturata per sovvertire alla radice le convenzioni del vedere e del capire? Nella maggior parte dei casi la critica ha fatto ricorso a ermeneutiche di tipo freudiano partendo da due presupposti: le esplicite dichiarazioni dei suoi autori, Luis Buñuel e Salvador Dalì, di eliminare in sede di scrittura del copione ogni controllo razionale e sull’oggettivo interesse dei due amici per le teorie di Freud, al pari, in questo, di moltissimi artisti d’avanguardia e dei surrealisti in particolare, del cui gruppo peraltro non facevano ancora parte.

 

Un amore impossibile

Un chien andalou è tanto poco frutto di automatismi creativi inconsci che i riferimenti interni all’opera letteraria di Buñuel e a quella pittorica di Dalì, così come si erano andate sviluppando nel corso degli anni ‘20, sono tali e tanti da escludere ogni casualità. In primo luogo proprio l’offerta di collaborazione data daBuñuel al pittore per reralizzare la sceneggiatura si inquadra nel tentativo, andato sostanzialmente a buon fine, di sottrarre Salvador all’influenza lorchiana, forse anche in seguito all’infatuazione del poeta andaluso per il pittore, culminata nell’estate del 1928 durante un periodo di vacanze trascorse da Lorca a Cadaquès, nella casa estiva dei Dalì, di cui abbiamo ampia documentazione fornita da Ian Gibson, il più importante lorchista, nel suo libro Lorca-Dalì, el amor que no pudo ser (lett. Lorca-Dalì, l’amore che non potè essere). Negli anni precedenti Lorca e Buñuel hanno lavorato entrambi sul linguaggio poetico arrivando però a risultati opposti. Rispettivamente nel “best seller” Primer romancero gitano pubblicato nel 1928, e nell’inedito Un perro andaluz. Il cinema, la più nuova delle arti, è la “scoperta” compiuta daBuñuel lungo tale percorso di ricerca di forme nuove, svincolate dai codici, in cui trasferisce le esperienze più significative della sua attività letteraria. Chiamato a collaborare, anche Dalì si comporta allo stesso modo. In ogni caso, proprio la realizzazione del film segna una svolta radicale nei rapporti di amicizia tra i tre un tempo “inseparabili” della Residencia de Estudiantes.

Un chien andalou
I Segreti di un’anima” Pabst 1926

La Luna, il rasoio, il coltello

Nel 1923 Lorca scrive una poesia dedicata a Buñuel, meno nota della più celebre Ode a Salvador Dalì del 1926, che comincia con questi versi: «Luis, nel fascino dell’aurora / canto la mia amicizia sempre in fiore / La Luna grande, brilla e ruota / fra le alte nubi tranquille». Ecco dunque la Luna che domina l’intera lirica lorchiana, la Luna-Luna del Romancero gitano che nel film viene tagliata da una di quelle «nubi lunghe e sottili che tanto mi erano piaciute nella “Morte della Vergine” del Mantegna al Museo del Prado». Nuvole inserite su esplicita richiesta dell’amico nel ritratto di Buñuel (oggi al Museo Reina Sofia di Madrid) eseguito nel 1924 da Dalì. Luna tagliata da una nube che si trasforma, per metonimia, nella lama di un rasoio (nel Romancero c’è invece il coltello dei gitani) che taglia un occhio (foto 1). Immagine lautreamontiana, di una bellezza convulsa secondo i dettami del Primo Manifesto del Surrealismo pubblicato nel 1924 da Breton & C.

Un chien andalou
“Il Cameraman”

Ancora l’occhio

Nel maggio del 1929, dunque sette mesi prima che Buñuel e Dalì scrivessero il copione del film a Figueres, durante le vacanze di Natale a casa del pittore, la rivista Helix pubblica un breve testo diBuñuel intitolato Palazzo di ghiaccio. Illuminanti queste frasi: «La finestra si apre e appare una signora che si passa una limetta sulle unghie. Quando le ritiene abbastanza affilate mi cava gli occhi e li getta nella strada […] Quando i soldati di Napoleone entrarono a Saragozza, nella Vile Saragozza, non trovarono altro che vento nelle strade deserte. Unicamente, in una pozzanghera gracidavano gli occhi di Luis Buñuel. I soldati di Napoleone li finirono a colpi di baionette». Ricordiamo che nel 1808 l’ingresso delle truppe napoleoniche a Saragozza, dopo un durissimo assedio, avvenne il 22 febbraio, data di nascita del regista, e che, proprio per la resistenza mostrata dai suoi abitanti, la capitale dell’Aragona si fregia del titolo di Sempre Eroica. Una donna che si leviga le unghie apparirà nel secondo film di Buñuel, L’âge d’or. Un’altra possibile reminiscenza a tema potrebbe venire dalla decorazione tardo ottocentesca della Facoltà di Medicina di Saragozza, in piazza Basilio Paraìso. Edificio curioso: tempio laico del sapere carico di simboli ed emblemi positivisti. Come la formella che simboleggia la chirurgia con una mano aperta sul cui palmo si apre un occhio. L’avrà notata il giovane Buñuel che frequentava la vicina scuola dei Gesuiti?

Un chien andalou
La merlettaia di Vermeer

Un appello al delitto

Per quanto riguarda Dalì, nel novembre del 1927 sulla rivista catalana L’amic de les arts, a proposito del suo quadro Il miele è più dolce del sangue, del 1926, scrive: «Alla mia amica piace la dormiente morbidezza dei lavabi e la dolcezza dei delicati tagli del bisturi sulla pupilla curva, dilatata per la rimozione di una cataratta». Nel quadro, purtroppo andato perduto, ma di cui si conservano alcune foto e uno studio preparatorio (foto 2 e 3), compare un ritratto di Garcìa Lorca in forma di testa mozzata. A Lorca rimanda anche un altro particolare del film: il ciclista, morto in precedenza, si “risveglia” sul letto della ragazza. Ai tempi della Residencia, Federico amava “mettere in scena la propria morte” per gli amici, coricato nel letto. Un modo per vincerne la paura. Leggere Un chien andalou in chiave antilorchiana significa in primo luogo capire l’indiscutibile pulsione alla morte che pervade tutto il film. Una morte esaltata (Lorca tenta invece di esorcizzarla) al punto da rappresentare la più profonda e genuina molla del desiderio sessuale. Mai come in questo film amore e morte rappresentano un binomio indissolubile. In questa chiave si spiega anche la scelta della musica di Wagner per la colonna sonora (eseguita da un grammofono collocato dietro lo schermo all’epoca delle prime proiezioni) che ricorre a più riprese, ma che inizia sulla scena del ciclista morente sul bordo della strada (foto 4). Dunque il regista non sarà lontano dal vero quando, dopo l’uscita del film e l’ingresso suo e di Dalì nel gruppo surrealista, scriverà che la pellicola non è altro che «Un disperato, un appassionato appello al delitto». Nulla di strano se pensiamo che nel Secondo Manifesto del Surrealismo (1930) si legge che «L’azione surrealista più semplice consiste, rivoltella in pugno, nell’uscire in strada e sparare a caso, finché si può, tra la folla». Gesto peraltro mai attuato da alcun artista, ma, in tempi recenti, da ben altre persone e con ben altre finalità. Per tornare al film, il taglio dell’occhio, la “morte” del ciclista, la mano mozzata, la morte dell’androgino, gli asini putrefatti (reminiscenza infantile di Buñuel, presenti anche nel Miele è più dolce del sangue), il rivolo di sangue sul volto dell’uomo in preda all’eccitazione erotica (foto 5 e 6), sono altrettanti “appelli al delitto”.

Un chien andalou
Salvador Dalì “Studio per Il miele ä pió dolce del sangue” 1926

Da Poe a Lautréamont

Il “risveglio” del personaggio coincide con la comparsa del suo “doppio”. Anche questo è un tema daliniano, derivante dall’ossessione del pittore per un fratello morto prima della sua nascita di cui ha preso il nome e di cui diceva di essere la reincarnazione, ovvero il doppio. Ancora un destino di morte, dunque, che si chiude appunto con la soppressione del “doppio” e l’apparizione della farfalla atropo, la sfinge-testa di morto (foto 7 e 8). Di mezzo c’è quello strano corteo funebre nel parco che richiama figurativamente l’analogo corteo nella Caduta della casa Usher(1928, da Poe) di Jean Epstein di cui Buñuel era stato aiuto regista. Infine l’epilogo con i due personaggi sepolti nella sabbia (foto 9). Si tratta di una variazione sul tema dell’Angelus di François Millet, opera che insieme con la Merlettaia di Vermeer, riprodotta a sua volta nel film, rappresentano un’autentica ossessione figurativa per Dalì nel corso della sua intera parabola artistica (foto 10 e 11). Nel 1934 il pittore userà ancora una volta lAngelus di Millet per illustrare un’edizione dei Canti di Maldoror di Lautréamont.

Il ciclista caduto

Keaton e Magritte

sotto il profilo formale Un chien andalou evidenzia la volontà del regista, nonostante e proprio a motivo della materia trattata, di rifuggire tutti quegli artifici tecnici a cui gli autori d’avanguardia (e non solo) facevano ricorso per conferire alle proprie opere una dimensione irrealistica. Sovrimpressioni, sfumati, dissolvenze, riprese al rallentatore o accelerate, trucchi ottici, deformazioni, filtri e via dicendo sono usati da Buñuel con estrema parsimonia e solo con precise finalità semantiche. Mai per il puro gusto di esibire virtuosismi fini a se stessi né, tanto meno, per sbalordire, incantare o spiazzare lo spettatore. La prima apparizione del protagonista maschile avviene sotto il duplice influsso di René Magritte e Buster Keaton. L’uomo si guarda il palmo della mano destra esattamente come nel quadro Oscuro sospetto (1928) con un’accentuazione però keatoniana della posa (foto 12 e 13). A Keaton si ispira del resto l’intera recitazione dell’attore il che denota una precisa scelta registica. Ovvero la scelta di uno stile ispirato al cinema popolare. I rimandi a Keaton sono peraltro molto numerosi. Lo sdoppiamento del personaggio rimanda al sogno del proiezionista in Sherlock jr (La palla n. 13, 1924) con conseguente effetto straniante delle scene successive. Nello stesso film di Keaton assistiamo a una serie di transfert del personaggio che si ritrova, senza mai muoversi, in un giardino, su una strada, tra alcune rocce, in una foresta, nel deserto, su uno scoglio in riva al mare, tra monti innevati per tornare di nuovo nel giardino. Buñuel ha senza dubbio desunto da qui la scena della morte del “doppio” tra l’appartamento e un giardino. Sempre nello stesso film, infine, Keaton apre una cassaforte a muro e si ritrova su una strada trafficata. In Un chien andalou è invece la ragazza che esce dalla porta di casa, in città, per ritrovarsi su una spiaggia. Infine, proprio la scena sulla spiaggia è ricalcata quasi alla lettera su un’analoga sequenza di un altro film di Keaton: Il cameraman (1928) (foto 14 e 15).

Amore e morte… e thanatos

I segreti di Pabst

Altri debiti formali ci riportano al film I segreti di un’anima (1926) di Georg Wilhelm Pabst, esponente di spicco dell’espressionismo tedesco. Nelle sue memorie Buñuel cita genericamente questo autore, ma non specifica meglio. Ebbene, già la prima inquadratura di Un chien andalou è un rimando preciso all’analoga sequenza che apre il film di Pabst: un uomo alla finestra affila il rasoio sulla coramella. Si presume per radersi. Anche qui le differenze sono minime e, come per Keaton, speculari. In Pabst l’uomo è dentro casa e l’inquadratura presenta una diagonale verso destra. In  Buñuel l’uomo (interpretato dallo stesso regista) è su un balcone, fuori dalla porta-finestra, e l’inquadratura della lama è in diagonale verso sinistra (foto 16 e 17). Vedremo più avanti come il film I segreti di un’anima ha rappresentato un notevole “magazzino” di ispirazioni formali per Buñuel, fino agli anni più tardi della sua attività.

 

Forzature critiche

Riepilogando: Un chien andalou nasce da una polemica antilorchiana dei suoi autori sul tema del linguaggio poetico. La sua estetica si rifà indirettamente al Primo manifesto de Surrealismo. I contenuti, anch’essi antilorchiani, vertono sul binomio amore-morte dove, alla fine, prevale il secondo termine. I riferimenti formali per la messa in scena sono il cinema popolare e quello comico. Sempre sul piano formale, molto marcata la presa di distanza dai film cosiddetti d’avanguardia al pari dei film d’art, ossia quelle pellicole con dichiarate pretese artistiche. La figura retorica usata in prevalenza è la libera concatenazione dei fatti, ossia una delle forme più semplici di espressione del pensiero, ma associata a una serie di metonimie che determinano un costante straniamento dei significati. Al pari di quanto accade nella scrittura di Lautréamont, nella pittura di Magritte, nel cinema di Keaton e Pabst che rappresentano anche i più diretti riferimenti iconografici. La maggior parte della critica ha invece puntato su letture di tipo psicanalitico perdendosi spesso in elucubrazioni prive di riscontro o in forzature inverosimili. Come il ritenere l’occhio tagliato un nuovo occhio in grado di vedere meglio nelle profondità della psiche.

Un chien andalou
“Un chien andalou”, 1929

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.