Il cinema di Luis Buñuel-Il divino e l’umano nella parabola di Viridiana

Pubblicato il 4 Aprile 2022 in Humaniter Cinema
Luis Buñuel

Viridiana (Silvia Pinal) è una novizia che prima di pronunciare i voti perpetui trascorre qualche giorno nella grande casa rurale del suo unico parente, lo zio don Jaime (Fernando Rey), rimasto vedovo lo stesso giorno delle nozze. Infatuato della giovane, somigliantissima alla moglie morta, don Jaime simula una violenza carnale per indurre la nipote a non tornare al convento, ma quando costei riparte si suicida. La morte di don Jaime induce Viridiana a restare compartendo l’eredità, ossia la casa e la tenuta, con Jorge (Francisco Rabal) figlio naturale dello zio. Mentre quest’ultimo intende far fruttare la proprietà introducendovi innovazioni, Viridiana vi accoglie invece alcuni mendicanti che, durante un’assenza dei padroni, devastano l’appartamento nel corso di un festino. La stessa Viridiana rischia di essere violentata da uno dei suoi protetti, ma viene salvata da Jorge. L’epilogo vede Jorge, Viridiana e Ramona (Margarita Lozano), la domestica di don Jaime, attorno al tavolo della cucina per una partita a carte.

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Gli strumenti della Passione di Cristo

Girato in Spagna nel 1961, il film è pensato dal governofranchista come segno di apertura del paese verso il resto della comunità internazionale e gli oppositori spagnoli in esilio.Il copione passa il vaglio della censura, che impone solo una modifica al finale (in origine più esplicito), ma l’opera, una volta realizzata, diventa un sensazionale boomerang che smaschera l’ipocrisia del regime e la sua natura antidemocratica. Premiato a Cannes con la Palma d’Oro, il film non viene distribuito nel paese che l’ha coprodotto e, anzi, provoca il siluramento del responsabile della Cinematografia di Stato “reo” di aver ritirato il premio sul palcoscenico del Palais du Cinéma. Bisognerà aspettare il 1977, due anni dopo la morte di Franco, perché Viridiana possa passare sugli schermi iberici, ma come film messicano. Tale e tanto è il suo potere eversivo, inconciliabile con il modello di societàplasmato dalla dittatura.

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La lugubre messa in scena chiesta da don Jaime

Alla sua uscita in Italia, il film entra invece nel mirino della magistratura che inquisisce il regista per Vilipendio della religione di Stato. Dopo due anni di indagini e dibattiti processuali, il 12 febbraio 1963, arriva il proscioglimento con la seguente motivazione: «Sostanziandosi il delitto di pubblico vilipendio alla religione dello Stato nell’attacco alle credenze fondamentali della religione medesima (idea di Dio, dogmi, sacramenti, riti e simboli della Chiesa), non ne ricorrono gli estremi nell’opera cinematografica, nella quale si esprime, sia pure mediante un simbolismo di discutibile gusto, la polemica del regista contro manifestazioni di pratica religiosa alternantisi con episodi di vera e propria superstizione». L’abolizione della “religione di Stato”, e quindi del reato relativo al suo “vilipendio”, è avvenuta di fatto nel 1984 con la revisione dei Patti Lateranensi e con sentenza della Corte Costituzionale nel 1989.

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L’irraggiungibile oggetto del desiderio

Per quanto riguarda invece la struttura formale del film, va rilevato che essa si organizza mediante una serie ininterrotta di slittamenti di senso degli oggetti, spesso interconnessi tra loro, ossia dall’uso surrealista del materiale visivo. Vediamo alcuni esempi di particolare rilievo.

La corda per saltare di Rita, la figlia della domestica, identificata soprattutto dalle manopole di legno. È un gioco infantile in senso proprio nella prima inquadratura in cui compare, usata appunto a questo scopo dalla bambina («Si salta meglio perché ha le manopole»). Diventa lo strumento di morte scelto da don Jaime per porre fine ai suoi giorni, per tornare nelle mani (innocenti) di Rita che vuole saltare proprio nel luogo del suicidio, suscitando la riprovazione del vecchio fattore. Viene usata dallo Zoppo come cintura dei pantaloni e, durante l’orgia, quando Viridiana viene a contatto con la manopola (simbolo fallico), la donna cessa di resistere al tentativo di stupro da parte dello stesso mendicante il quale, sia detto per inciso, appariva fino a quel momento il più devoto, nonché pittore di immagini sacre.

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La notizia che induce Viridiana a fare ritorno alla fattoria dello zio

L’abito da sposa della defunta moglie di don Jaime e, in particolare, il velo. In base al racconto dello stesso don Jaime, la donna era morta tra le sue braccia il medesimo giorno delle nozze con addosso quello stesso vestito. L’abito, ovviamente bianco (simbolo di purezza) si trasforma quindi innanzitutto in un candido sudario. Nell’intimità della sua stanza don Jaime estrae dall’armadio e manipola feticisticamente l’abito e i suoi accessori. Induce poi Viridiana a indossarlo sottolineando l’impressionante rassomiglianza della giovane con la defunta. Dopo averla narcotizzata la adagia sul letto in posa quasi cadaverica e in questa condizione manifesta l’impulso, frustrato, di usarle violenza. Durante l’orgia dei pezzenti, l’abito viene indossato dal lebbroso, che se ne serve per un comico balletto, e il velo, dopo essere passato di mano in mano, finisce calpestato dal cieco, don Amalio.

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L’eterogeneo gruppo di mendicanti accolto da Viridiana

La musica in colonna sonora. Solo diegetica (interna all’inqadratura, tranne che sui titoli di testa). Don Jaime esegue all’armonium un brano di musica sacra mentre, sull’eco delle note, nella sua stanza Viridiana si spoglia per coricarsi non prima di aver mostrato alla macchina da presa il candore delle sue gambe nude ed estratto da una cassetta gli Strumenti della Passione di Gesù (croce, corona di spine, martello, chiodi e spugna) e averli deposti a terra per la contemplazione. Durante le scene notturne di don Jaime che indossa feticisticamente l’abito da sposa della moglie defunta e quella in cui Viridiana entra in scena in stato di sonnambulismo, sul grammofono suona un altro disco di musica sacra mentre il Requiem di Mozart (sempre dal grammofono) sottende le scene con la narcotizzazione di Viridiana e il frustrato tentativo di violenza. L’Hallelujah di Haendel viene eseguito al grammofono durante l’orgia dei mendicanti. Uno dei vertici della musica sacra viene associato, per contrasto e opposizione dialettica, a un rituale blasfemo culminante nella riproduzione-parodia dell’Ultima cena leonardesca. Infine, una sincopata musica moderna sottende, sempre dal grammofono, il “nuovo corso” instaurato da Jorge nella dimora del padre.

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L’angelus tra gli alberi in fiore

Tra gli Strumenti della Passione, la corona di spine, oggetto all’inizio di venerazione, finisce alla fine in un falò, gettata con stizza da Rita tra le fiamme dopo essersi punta. Nel mezzo ricompare di sfuggita, nel corso di una panoramica, nella stanza di Viridiana durante il duro confronto con la badessa cui la giovane manifesta la sua rinuncia a tornare in convento. Quando Jorge irrompe a sua volta nella stanza per comunicare alla cugina la sua volontà di ammodernare la casa, costei la toglie frettolosamente dal mobile su cui era esposta (insieme al resto) e la nasconde in un cassetto. Oltre agli oggetti devozionali di Viridiana fa bella mostra di sé, tra le mani di Jorge che fruga tra le cose di don Jaime, un piccolo, prezioso crocifisso in cui si cela la lama di un coltello.

Le metafore animali. I capezzoli della mucca, che richiamano per la forma un organo sessuale maschile, suscitano la ripulsa di Viridiana evidenziando così il suo subconscio di inibizioni. Poco dopo, durante una breve passeggiata in giardino,Viridiana domanda allo zio se è vero che questi abbia un figlio naturale. Mentre don Jaime le spiega le ragioni di quel lontano peccato di gioventù, la macchina da presa inquadra un’ape che si dibatte nell’acqua diun bidone. Con l’aiuto di una cannuccia il vecchio toglie l’insetto dal liquido e lo depone sul bordo del recipiente. Il casto e pio don Jaime ha un enorme scheletro nell’armadio ed è obbligatoa rivelarlo. La tensione drammatica si cristallizzasse sull’insetto che rispecchia così l’animo del personaggio che si dibatte nelle acque di unacoscienza intorbidita. Più corriva, ma non meno efficace, l’inquadratura del gatto che ghermisce un topo in concomitanza con la seduzione di Ramona da parte di Jorge nel solaio della grande casa colonica. Anche la metafora del cane legato tra l’assale delle ruote di un carro agricolo che Jorge acquista per sottrarlo a quella sorte, esemplifica l’inutilità del gesto “caritatevole” nell’identico trattamento che un altro contadino riserva al suo cane. Infine la colomba (altro animale dal valore fortemente simbolico) che il lebbroso cattura in un prato e le cui penne disperde nel corso dell’orgia cavandole da sotto il corsetto dell’abito da sposa che ha indossato per burla.

 

Luis Buñuel
Il banchetto dei pezzenti come l’Ultima Cena leonardesca

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