Nona lezione: Andrej Tarkowskij – “Lo specchio”

Pubblicato il 19 Dicembre 2022 in Humaniter Cinema
Lo specchio

Il russo Andrej Tarkowskij (1932-1986) è certamente uno dei registi più innovativi nel panorama europeo della seconda metà del ‘900. Nonostante la breve vita e l’esiguità della produzione artistica (solo sette lungometraggi in 25 anni) le sue opere hanno inciso profondamente nel linguaggio cinematografico e lasciato un’impronta indelebile nonostante le difficoltà incontrate all’interno del sistema produttivo sovietico, controllato dai burocrati del Pcus. Nel solco della grande tradizione cinematografica russa, all’avanguardia negli anni ‘20 e ‘30 con autori come Ejzensteijn, Viertov, Dovzenko e altri intellettuali vicini al cinema come Majakowski, Osip e Lilja Brik, Stanislawskij e Mejerchold, Tarkowskij innova radicalmente il linguaggio filmico con gli strumenti della psicanalisi, della letteratura, del teatro e della pittura fino ad arrivare a una forma estetica autonoma di grande impatto visivo. Sia che narri di un ragazzo coinvolto nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale (L’infanzia di Ivan, 1962) sia che si rivolga alla tradizione artistica ortodossa (Andrej Rubliev, 1966) o che esplori le frontiere della fantascienza (Solaris, 1972, Stalker, 1979 e Sacrificio, 1986). Con il cinema Tarkowskij è in grado di abolire la realtà spazio-temporale per immergere lo spettatore in una sorta di narrazione libera che oltrepassa le barriere della razionalità. Particolare anche il fatto che nel film sul pittore quattrocentesco di icone (Rubliev) in oltre tre ore di racconto non compaia sullo schermo neppure un dipinto e che l’unico gesto “creativo” che il protagonista compie a favore di cinepresa sia lo scagliare un secchio di vernice scura (il film è in b/n) su una parete candida. Quasi come un artista delle avanguardie novecentesche. Particolare importanza nella poetica del regista hanno anche le vicende personali e della sua famiglia, sublimate a loro volta da uno sguardo senza tempo che parla alle coscienze di ogni individuo. Il grande affetto per la madre e la conflittualità con il padre, Arsenj, importane poeta, ma genitore assente e problematico, emergono in film come Lo specchio (1975) e Nostalghia (1983) non in forma di narcisistici amarcord, ma come esempi universali e atemporali. Perciò concretissimi e vitali.

Lo specchio

«Il film, quando non è un documentario, è un sogno. È per questo che Tarkovskij è il più grande di tutti».

Ingmar Bergman

 

«Lo specchio è un film sull’infanzia e sulla madre. Che esprime quello che l’infanzia significa per tutti e che spieghi quella nostalgia per l’infanzia che ciascuno si porta dentro. È un film sulle madri in generale, e su mia madre, prima di tutto. La storia comincia nel 1932, l’anno in cui son nato, per arrivare sino a oggi. Rivissuta da me in modo autobiografico, ma che rappresenti anche il mio modo di vedere, oggi, la vita e la giovinezza di mia madre. Avevo solo tre anni quando mio padre ha lasciato la sua famiglia e anche dopo si faceva vedere raramente. Le pagine dedicate alla vita della protagonista si alternano ad altre di cronaca dal vero relativi a momenti della storia di quegli anni unificando i “piccoli” ricordi d’infanzia e i “grandi” avvenimenti che hanno sconvolto il mondo».

Lo specchio

Queste brevi note del regista sul suo film ci chiariscono, per esempio, il fatto che la stessa attrice interpreti i ruoli sia della madre sia della moglie del protagonista. Che il passato e il presente non siano separati, ma percepiti come simultanei. Si comprende l’uso della macchina da presa mediante lunghe carrellate e altrettanto lunghi pianisequenza, una tecnica che negli anni ‘70 era ancora poco diffusa a motivo dei limiti tecnici. A convogliare il linguaggio cinematografico in questa stessa direzione è anche l’uso della cromia, che passa dal colore al viraggio seppia molto prossimo al bianco e nero. Stesso discorso per l’utilizzo della musica classica in colonna sonora, al pari delle poesie di Arsenij Tarkowskij recitate fuori campo. Idem per l’utilizzo di materiale di repertorio, ossia spezzoni di film girati da altri autori e in contesti diversi (la Guerra Civile di Spagna, la presa del Reichstadt a Berlino nel 1945 o la Cina di Mao), che entrano nel narrato come il collage nella pittura. Il risultato generale è una forma filmica che si avvicina molto al cosiddetto monologo interiore ejzensteniano da non confondere con la voce narrante fuori campo, ma assimilabile allo strumento letterario utilizzato, per esempio, da James Joyce in molte pagine del suo Ulisse.

 

Lo specchio

 

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.