Storia del Cinema – “Anni ’70, un decennio di opere e autori tra Europa e America”

Pubblicato il 27 Settembre 2022 in Humaniter Cinema
luchino visconti

Gli incontri Humaniter di Storia del Cinema tenuti diaAuro Bernardi vertono quest’anno (2022-23) sul cinema degli anni ’70, tra opere e autori in Europa e America. 

Nelle pagine qui accanto, in concomitanza con lo svolgersi del corso, pubblicheremo testo e foto di riferimento utilizzati in aula. In questo Speciale, lezione dopo lezione, a partire dal 4 ottobre, i materiali resi disponibili  e commentati dalla lezione.

 

All’inizio ci fu la Nouvelle Vague, l’ultima delle grandi avanguardie cinematografiche che possiamo chiamare “di sistema”, orientate cioè a cambiare il linguaggio e la natura del cinema grazie alla combinazione tra innovazioni tecnologiche e nuova estetica. Siamo negli anni tra i ‘50 e i ‘60 del ‘900 caratterizzati da fenomeni sociali come la contestazione giovanile, le rivolte studentesche, i movimenti di emancipazione (femminile e razziale soprattutto) e il terrorismo. Nascono la pop-art, la musica rock e, appunto, la Nouvelle Vague che avrà numerose filiazioni internazionali: il Free Cinema inglese (Karel Reisz, Lindsay Anderson, Joseph Losey, Ken Russell), il Cinema Nôvo brasiliano (Glauber Rocha, Rui Guerra), il Nuovo Cinema Tedesco (Alexander Kluge, Rainer Werner Fassbinder, Volker Schloendorff, Werner Herzog, Wim Wenders, Margarethe Von Trotta, Edgar Reitz), fino al Dogma scandinavo di Lars Von Trier e Thomas Vinterberg degli anni ’90. Alla base del nuovo lessico cinematografico stanno alcune innovazioni tecniche come la camera a mano, il pianosequenza, le variazioni senza stacco all’interno dell’inquadratura grazie all’uso degli zoom, il dolly (carrello+gru), pellicole ad alta sensibilità… Si supera così il montaggio tradizionale, i movimenti di macchina, la messa in scena nell’inquadratura che avevano caratterizzato l’arte cinematografica fino al secondo dopoguerra (vedi il Neorealismo italiano). I cineasti che creano il nuovo movimento estetico vengono in gran parte della redazione della rivista francese più faziosa e meno attendibile sul piano critico che ci sia in circolazione, eppure seguitissima ed estremamente autorevole: i Cahiers du Cinéma. Critici per i quali, lo afferma il capofila Jean-Luc Godard nel 1962: “scrivere significa già fare del cinema”. Oltre a Godard appartengono a questa schiera i registi François Truffaut, Jacques Rivette, Eric Rohmer, Claude Chabrol, Alain Resnais, Louis Malle e altri.

Cinema '70
Stanley-Kubrick

Negli Stati Uniti invece l’avvenimento più importante per le sorti e gli sviluppi della cinematografia nazionale è il decadimento del cosiddetto Codice Hays (dal nome del suo ideatore Will H. Hays) in vigore dal 1934. Nella seconda metà degli anni ‘60 viene di fatto disatteso fino a essere formalmente annullato nel 1968. Si trattava di un codice di autoregolamentazione messo a punto dai e per i cineasti con una serie, a volte minuta e persino pedante, di regole alle quali attenersi nella realizzazione di qualsiasi film. Pena l’ostracismo della pellicola nella distribuzione delle sale. Tra le regole del Codice figurava la proibizione di rappresentare nudità e rapporti sessuali sullo schermo, ma anche relazioni sentimentali tra persone di razze diverse, l’omosessualità e il linguaggio scurrile. Il Codice imponeva inoltre il rispetto delle istituzioni nazionali e dei loro simboli: bandiera e forze armate innanzitutto. Il venir meno di tali barriere ha innanzitutto l’effetto di solleticare il voyeurismo nei film più dozzinali, ma per alcuni autori come Robert Altman, Hal Ashby, Stanley Kubrick, Sidney Lumet, John Cassavetes, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack e altri la maggiore libertà di espressione si traduce immediatamente nel mettere in scena argomenti, temi e questioni mai toccate fino a quel momento come il malessere sociale, le discriminazioni razziali, la violenza urbana e, un po’ più tardi, la Guerra nel Vietnam.

Negli anni dai ‘60 in poi e per tutto il decennio successivo un fermento altrettanto innovativo avviene anche a Est dell’Europa, in quel blocco comunista dove il capo dell’Urss Nikita Khrushev aveva avviato un timido processo di liberalizzazione denunciando le purghe staliniste. In quel caso e per quei paesi, si parla di Cinema del Disgelo. Anche qui si forma una generazione di cineasti che infrangono i canoni del realismo socialista dominante sino a quel momento. Alcuni resteranno nei paesi d’origine, altri si trasferiranno all’estero dove seguiranno carriere non sempre coerenti con i loro esordi. Stiamo parlando dei russi Andrej Tarkowskij, Otar Ioseliani, Sergej Paradžanov, Andrej Konchalowskij e Nikita Michalkov. Dei polacchi Jerzy Kawalerowicz, Andrzej Wajda, Roman Polanski, Jerzy Skolimowski, Krzysztof Zanussi e Krzysztof Kieslowski. Degli ungheresi Miklos Jancsó, András Kovács, Márta Mészáros, Pál Gábor e dei cecoslovacchi Miloš Forman e Juraj Jakubisko.

Infine, anche in Italia, negli anni ‘60 e ‘70, avviene un notevole ricambio generazionale rispetto ai cineasti che avevano innovato alla radice il nostro cinema nell’immediato dopoguerra. Che a loro volta sono ancora attivi con opere della maturità spesso di grande suggestione. Stiamo parlando di Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Alberto Lattuada. La stagione neorealista finisce nei cascami “rosa” della commedia all’italiana a volte eccessivamente pecoreccia, ma rimane sottotraccia un filone di cinema impegnato nell’analisi e nella messa in scena dei mali nazionali. Francesco Rosi, Gillo Pontecorvo, Giuseppe Ferrara, Elio Petri, Pier Paolo Pasolini usano il cinema come strumento di denuncia dei mali del paese: corruzione, malaffare, mafie, affiancati ben presto da cineasti più giovani come Marco Bellocchio, Marco Ferreri, Bernardo Bertolucci, Paolo e Vittorio Taviani, Ettore Scola. La fine dei ‘70 vede anche l’affacciarsi e l’imporsi, grazie anche al “traino” televisivo, dei cosiddetti Nuovi Comici, sigla sin troppo generica che accomuna autori totalmente eterogenei, oscillanti tra il puro intrattenimento e una critica sociale a volte autenticamente corrosiva. I più noti sono Nanni Moretti, Massimo Troisi, Lello Arena, Carlo Verdone, Roberto Benigni, Diego Abatantuono, Maurizio Nichetti.

 

 

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