Quattordicesima lezione: Werner Herzog “Gesualdo – morte per cinque voci”

Pubblicato il 6 Febbraio 2023 in Humaniter Cinema
Werner Herzog

Anche il bavarese Werner Herzog (1942) è considerato esponente di spicco del Nuovo Cinema Tedesco benché negli oltre 70 tra film documentari, fiction e film per la tv girati nella sua carriera, la Germania, ossia la sua storia e la società tedesca, entrano in pochissimi titoli. Giramondo per vocazione, curioso di ogni disciplina, affascinato dagli elementi naturali e dai suoi fenomeni estremi, Herzog ha collezionato un numero incredibile di viaggi, sempre con la cinepresa in spalla, per documentare episodi, momenti, scoperte, esplorazioni e mille altre vicende. Con un’attenzione particolare ai fenomeni che influiscono sul (o sono determinati dal) comportamento dell’uomo e dalla sua interazione con la natura la società nei più diversi contesti. Dall’eruzione del vulcano La Soufrière (1977) alle pitture rupestri dell’Ardeche (Cave of Forgotten Dreams, 2010), dalla tratta degli schiavi in Africa Occidentale (Cobra verde, 1987) alla scalata del Cerro Torre in Patagonia (Grido di pietra, 1991) dall’informatica (Lo and Behold, 2016) ai riti tribali delle popolazioni subsahariane (Wodaabe, i pastori del sole, 1989). Nel suo curriculum figurano anche numerose regie teatrali e liriche a dimostrazione di un eclettismo dovuto a una sete insaziabile di scoperta e a una parallela volontà di comunicare una realtà che difficilmente ci verrebbe rivelata dai mass media legati ai grandi interessi economici. Caratteristica del cinema di Herzog, infatti, è anche l’indipendenza produttiva: il solo modo per garantirsi la più assoluta libertà di espressione.

In apertura: Wodaabe – I pastori del sole

Werner Herzog
“L’enigma di Kaspar Hauser”

I limiti della conoscenza e la conoscenza dei limiti, il rischio, la messa in gioco di sé, la volontà di potenza, la ribellione sono temi costanti nella filmografia di Herzog, validi anche a proposito dei documentari. In lui infatti la rappresentazione della “realtà” non è mai disgiunta da una forte interpretazione personale dei fatti né da una loro “manipolazione” a scopo narrativo. In altre parole, anche quando gira documentari, il regista non rinuncia a realizzare un tipo di cinema che compromette l’autore e le sue idee. Per altro verso i suoi personaggi – reali o di fantasia – mostrano sempre come la natura umana sia istintivamente protesa a oltrepassare i confini della conoscenza, inclusa quella psichica, ma che, allo stesso tempo, tale ricerca rimane sempre inappagata.

Werner Herzog
“Cave of forgotten dreams”

Herzog ha frequentato tutte le latitudini del globo: dall’Antartide alla foresta tropicale, dai deserti alle periferie urbane, dallo spazio siderale a quello virtuale di internet. Si è immerso negli abissi oceanici ed è sceso nelle grotte dipinte dagli uomini preistorici, ha vissuto accanto a popolazioni nomadi dell’Africa o dell’Amazonia e ricercato le tracce di un musicista barocco nella Napoli contemporanea, mantenendo sempre fede alla sua visione del mondo, fatta di imprese al limiti della follia, di scarso o nullo valore pratico, ma di enorme valore mitico o simbolico. In questo ambito si inquadra anche il viaggio a piedi, compiuto dal regista nel novembre-dicembre del 1974 da Monaco di Baviera a Parigi, per raggiungere l’amica Lotte Eisner, in pericolo di vita a causa di un infarto. Viaggio simile a quelli di molti suoi “antieroi” tipo Aguirre (1972) e Fitzcarraldo (1982). A quell’epoca la Eisner era ai vertici della Cinématheque Française e aveva favorito la rinascita del cinema tedesco. Il diario di quel viaggio è poi diventato il libro Sentieri nel ghiaccio edito anche in Italia. Quello di Herzog è un cinema apparentemente provocatorio in quanto parte da presupposti assurdi attraverso i quali l’autore riesce a raggiungere verità inedite. Per questo i suoi personaggi appartengono quasi sempre a categorie o generi marginali ed emarginati: ciechi, sordi, nani, pazzi, handicappati o semplicemente appartenenti a classi sociali o popoli esclusi dalla storia. Cinema che sa farsi antropologico non solo nei documentari, ma anche nella fiction, con i suoi esseri visionari, portatori comunque di una verità “altra” che non trova posto nel mondo convenzionale.

 

«Io credo che il denominatore comune dell’universo non sia l’armonia, ma caos, conflitto e morte»

Werner Herzog

 

Gesualdo – Morte per cinque voci (1995)

 

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