Diciannovesima lezione: Marco Ferreri – “L’udienza”

Pubblicato il 3 Aprile 2023 in Humaniter Cinema
Marco Ferreri

Veterinario per scelta, regista per caso. Con un paradosso tipico del personaggio, Marco Ferreri (1928-1997) riassume così la sua “vocazione” cinematografica nata in Spagna a metà degli anni ‘50 grazie all’incontro con Rafael Azcona. Nel paese iberico, dove Ferreri era andato come rappresentante di obiettivi, i due girano tre film che hanno un discreto successo: El pisito (L’appartamentino, 1958) Los chicos (I ragazzi, 1959) e El cochecito (La carrozzella, 1960) che vengono apprezzati da pubblico e critica. Rientrato in Italia, sempre con la collaborazione di Azcona, scrive e gira L’ape regina (1963), amaro apologo sulle delizie del matrimonio e della famiglia tradizionale. Il film incappa immediatamente nelle maglie della censura culminata nel rinvio a giudizio per offesa al pudore e vilipendio della religione di Stato. Stessa sorte toccata a Buñuel due anni prima con Viridiana. La vertenza legale si risolve con l’imposizione della seguente didascalia iniziale, firmata dallo stesso Ferreri: «Con questa amara favola ho voluto rappresentare in chiave paradossale e satirica quanto squallida è una vita matrimoniale deviata da una volgare ed egoistica concezione del piacere e da un formalismo bigotto, frutto del tutto superficiale ed esteriore dei solidi ed immutabili principi della morale e della religione». Imposizione che trasforma l’ateo Ferreri in un paladino dei «solidi ed immutabili principi della morale e della religione». Un paradosso che, contrariamente ai voleri del censore, rafforza ulteriormente il senso generale e i contenuti del film.

Marco Ferreri

Una critica globale, quella al concetto di famiglia patriarcale, che negli anni ‘60 accomuna molti giovani registi che si affacciano in questo torno di tempo alla ribalta nazionale. Basti pensare ai Pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio, a Prima della rivoluzione (1964) di Bernardo Bertolucci o ai Fuorilegge del matrimonio (1963) di Valentino Orsini e Paolo e Vittorio Taviani.

Per tornare a Ferreri, il decennio del ‘60 è contrassegnato da alcuni titoli che ne caratterizzano sempre più la vena grottesca e dissacrante come La donna scimmia (1963) e Marcia nuziale (1965), ancora sul matrimonio borghese, e alcuni episodi di film collettivi.

Con il decennio successivo e il relativo allargamento delle maglie della censura, Ferreri procede ulteriormente nella sua denuncia anticlericale e antiborghese con titoli come L’udienza (1971), La cagna (1972) e La grande abbuffata (1973). Il successivo Non toccare la donna bianca (1974) è un discutibile e non riuscito tentativo di attualizzare al clima rivoluzionario e barricadero degli anni ‘70 le persecuzioni dei nativi americani e la loro rivolta culminata nella battaglia di Little Big Horn. Nella seconda metà del decennio e negli anni successivi Ferreri sembra abbandonare la critica sociale per dedicarsi all’analisi dei rapporti primari tra esseri umani, al sesso, alla violenza insiti quasi nel dna della nostra specie che emergono principalmente nei rapporti di coppia e in un radicale quanto tragico femminismo. L’ultima donna (1976), Ciao maschio (1978), Storie di ordinaria follia (1981), Il futuro è donna (1984), La carne (1991) e Diario di un vizio (1993) sono i titoli che appartengono a questo filone. Alcuni interessanti sul piano poetico e formale, altri decisamente meno. Alla tematica accennata si discostano pochi altri titoli, tra cui Chiedo asilo (1979), surreale reinterpretazione della favola di Pinocchio ambientata in una scuola materna, La casa del sorriso (1990), amara riflessione sulla terza età, e il documentaristico Nitrato d’argento (1996) atto d’amore per il cinema. Quell’arte a cui Ferreri non sembrava destinato, ma che l’ha reso grande nel panorama degli autori italiani.

Marco Ferreri

 

Da Kafka al Vaticano

«Mi sembra di essere in una situazione kafkiana» è una frase ricorrente pronunciata da Amedeo (Enzo Jannacci) il protagonista di questa moderna “favola” chiaramente ispirata al Castello di Franz Kafka. Il bersaglio di Ferreri è il fariseismo della gerarchia cattolica in un momento storico in cui le aperture del concilio Vaticano II sembravano avviare l’istituzione ecclesiastica verso nuove frontiere teologiche e pastorali nei confronti delle nuove sfide della modernità: la vicinanza alle masse da un lato e ai problemi individuali dei singoli fedeli. L’ottuso formalismo burocratico e le mai sopite spinte conservatrici, impersonate rispettivamente dal funzionario di polizia Aureliano Diaz (Ugo Tognazzi) e dal principe Donati (Vittorio Gassman), prevalgono comunque alla fine sulla fiducia un po’ naif del protagonista, intento solo al conseguimento del proprio obiettivo: un colloquio personale con il capo della cristianità. Come nel romanzo dello scrittore ceco, l’individuo può solo soccombere, stritolato dall’inumana macchina delle coercizioni.

Marco Ferreri

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