Un grande film sul Piccolo Padre – “La caduta di Berlino” di Michail Ciaureli, 1949

Pubblicato il 29 Aprile 2024 in Outdoor Cinema
Berlino

La Seconda Guerra Mondale è stata oggetto (ovvero il soggetto) di centinaia, se non migliaia, di film prodotti nei paesi occidentali che ne hanno tratto materia nel corso degli anni per costruire una vera e propria epopea caratterizzata essenzialmente da eroismi e azioni eclatanti. Poche, pochissime, le eccezioni a cominciare dalla riflessione di Roberto Rossellini sulla campagna d’Italia (Paisà, 1946) o, più tardi, da quella di De Sica-Zavattini a partire da un romanzo di Moravia (La ciociara, 1960). Guarda caso opere elaborate in un paese uscito sconfitto dalla guerra. La massa preponderante, che arriva fino ai nostri giorni ossia a quasi 80 anni dalla fine delle ostilità, è di origine angloamericana. Con tutte le sfumature del caso, ma il punto di vista è sempre quello occidentale.

In apertura: M.Gelovani nel ruolo di Stalin

Può quindi essere utile, ai fini proprio di un discorso storico sull’uso del cinema nell’epoca in cui esso stesso diventa “documento” dei fatti narrati, ribaltare lo sguardo e vedere, certo non in maniera esaustiva, ma comunque significante, come quella epopea è stata vissuta, narrata e descritta sul fronte orientale. In un momento in cui non solo esisteva ancora l’Unione Sovietica, ma negli anni che rappresentano l’apice di quel periodo della storia russa conosciuto come Stalinismo. Dallo pseudonimo del Segretario Generale del Pcus nonché capo del governo Josif Vissarionovich Dzhugashvili, detto appunto Stalin, in carica per 31 anni dal 1922 alla morte, nel 1953.

Girato nel 1949, ossia pochissimi anni dopo la conclusione della guerra, il film di Ciaureli rappresenta un esempio perfetto del cosiddetto Realismo Socialista e, al tempo stesso, una forma esemplare di esaltazione propagandistica della figura e dell’opera di Stalin, detto anche, come si usava con gli zar all’epoca della monarchia, Piccolo Padre della patria.

Il film si presenta come un kolossal ovvero come una produzione con l’impiego di grandi masse di figuranti e una folta schiera di comprimari. Girato con i più avanzati mezzi disponibili all’epoca ed effetti speciali di grande impatto visivo come, per esempio, nelle scene con l’allagamento della metropolitana di Berlino. Movimenti di macchina, carrelli, riprese aeree sono all’avanguardia e non inferiori agli analoghi messi in campo dal cinema hollywoodiano. Il regista è un buon artigiano della macchina da presa consapevole di essere al servizio della causa patriottica. Al pari dell’intero cast tra cui spicca l’attore Michail Gelovani nel ruolo di Stalin e numerosi, valenti, caratteristi nei ruoli di personaggi storici (Hitler, Goering, Goebbels, Churchill, Roosevelt e l’intero stato maggiore dell’Armata Rossa) alcuni dei quali ancora viventi all’epoca delle riprese. Qualche storico ha persino ipotizzato che Gelovani, nativo della Georgia come lo stesso Stalin, fosse stato utilizzato come “controfigura” del capo del Kremlino anche in qualche occasione, diciamo così, non cinematografica, ma la cosa non è documentata. Rimarchevole il contributo alla colonna sonora del compositore Dmitrij Shostakovich. Produce la Mosfilm, ossia la cinematografia di stato.

La vicenda drammatica su cui si innesta l’epopea storica è un’esile storia d’amore tra l’operaio di un’acciaieria Alexsej (Alyosha) Ivanov e la maestra elementare Natasha Rumjanceva. Separati drammaticamente all’inizio del film dall’invasione tedesca si ritrovano alla fine tra le macerie della capitale del Terzo Reich. Da notare la finezza propagandistica di aver fatto coincidere la data di nascita di Alyosha con quella dello stato Sovietico (25 ottobre 1917). Come per l’americano Nato il 4 luglio (Oliver Stone, 1989). In realtà, secondo il calendario gregoriano osservato in tutto il mondo tranne che nella Russia zarista, la Rivoluzione d’Ottobre ebbe luogo il… 7 novembre.

A causa della rigida moralità imposta dalla censura nelle produzioni cinematografiche le questioni d’amore, i sentimenti e le debolezze umane sono appena accennate mentre si esaltano valori quali il cameratismo militare, l’amicizia virile, la fedeltà alla causa e la dedizione al lavoro. Su tutto domina e campeggia la lungimiranza, la capacità strategica e tattica, l’umanità e il carisma quasi divino della guida suprema dello stato.

Di particolare interesse alcuni dettagli narrativi come l’incontro (ovviamente ricostruito) tra Hitler e alcuni ambasciatori di paesi “amici”: Spagna, Turchia (errato il sottotitolo che cita il presidente turco Ismet Inonu), Romania e Giappone cui si aggiunge un breve siparietto con il nunzio apostolico della Santa Sede, cardinale Cesare Vincenzo Orsenigo. Quest’ultimo, nel 1930 aveva preso il posto di Eugenio Pacelli (futuro Pio XII) diventato Segretario di Stato. Resterà in carica fino al termine delle ostilità. Altrettanto di fantasia le sedute del gabinetto di guerra di Stalin mentre del tutto inedite sono le ripetute allusioni alla comunanza di interessi, per non dire alle connivenze, tra la Germania nazista e le plutocrazie occidentali, impersonate dal magnate inglese Bedstone, in chiave ovviamente anticomunista e antisovietica. Un refrain che, con un’altra partitura e un’altra guerra in corso, qualcuno seguita a suonare anche oggi all’interno del Kremlino.

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Il regista

Michail Ediserovich Ciaureli (1894-1974) è uno degli autori più rappresentativi del cinema di regime sovietico, attivo dalla fine degli anni ‘20 all’inizio dei ‘60 con film in prevalenza incentrati sulla rivoluzione russa, i suoi eroi e i suoi valori. Vincitore per 6 volte del Premio Stalin, gli Oscar sovietici. La caduta di Berlino è il suo film più noto anche al di fuori dei confini nazionali.

Il contributo

Il cinema di Stalin e il realismo socialista, di Pierfranco Bianchetti

(da “I Diari di Cineclub”, n. 111 dic 2022)

Negli anni Venti il giovane cinema sovietico impegnato in una colossale e capillare alfabetizzazione della popolazione soprattutto rurale, intuisce che il cinematografo è uno strumento fondamentale e strategico per l’affermazione dello stato socialista. Durante il piano quinquennale del 1928-1932 le sale cinematografiche in tutto il paese sono già ventimila. Il Congresso dei lavoratori del 1928 aveva auspicato la fine del cosiddetto “feticismo tecnico” presente nei grandi film di quegli anni, per imboccare la strada di una espressività più austera, mentre ormai il sonoro è alle porte ed è necessario adeguare al più presto gli impianti tecnici. L’industria cinematografica produce numerose pellicole interamente sovietiche per evitare la continua importazione molto costosa dall’estero di pellicole. Nel 1930 nasce il Souzkino, un organismo creato per controllare e coordinare tutta l’industria filmica, a capo della quale viene nominato Boris Sumjackij, l’uomo che per conto di Stalin deve sviluppare l’organizzazione del cinema sovietico sul modello di Hollywood. La nascita del sonoro però anziché incentivare alla sperimentazione cineasti di valore quali Vertov, Ejzenstejn, Pudovkin, Dovzenko, Kulesov e altri, è usata dal regime per imporre uno stretto e rigoroso controllo dei film prodotti. È l’inizio della lotta al formalismo, a quello stile di cinema considerato troppo sofisticato e principalmente caratterizzato da un montaggio fortemente creativo ed avanguardistico, che rischia di non essere compreso dalle grandi masse di contadini e operai che lo stato sta cercando di alfabetizzare. In questo contesto tra il 1930 e il 1934 il governo si batte per riportare nell’ordine socialista il cinema considerato «L’arte, per noi bolscevichi, socialmente più importante», come diceva Lenin. «Gli anni Trenta – scrive Ugo Casiraghi nel suo articolo “E il cinema sovietico si mise a parlare” (l’Unità, sabato 5 luglio 1980) – sono un periodo controverso nella storia del cinema sovietico. C’è chi li contrappone agli anni venti, rivoluzionari, come se non ci fosse nessuna continuità tra un decennio e l’altro. C’è chi li sottopone all’insegna del realismo socialista, come se tale formula, magicamente, avesse all’improvviso imprigionato i cineasti e impedito la nascita di opere di valore». Il 7 novembre 1934, diciassettesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, arriva nelle sale il film Ciapaiev di Sergei e Giorgi Vasil’ev (omonimi, non parenti). Il film racconta la storia di un capo partigiano durante la guerra civile del 1919 nella lotta contro le truppe bianche e mostra la sua evoluzione da soldato un po’ naif ed anarchico in un disciplinato e preparato combattente dell’Armata Rossa.

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La pellicola, che risente del clima di grande entusiasmo esploso dopo la nascita dello stato socialista, è un’opera didascalica, ma anche profondamente sincera, che ha un’influenza culturale e politica sul cinema sonoro, pari a quella che ebbe La corazzata Potëmkin su quello muto. Ciapaiev, tratto dal romanzo di Dimitri Furmanov, che riscuote un successo senza precedenti tra il pubblico (cinquantadue milioni di spettatori), segna l’inizio ufficiale del realismo socialista, una teoria secondo la quale l’arte riflette la realtà nella sua dinamica dialettica. È il film di Stalin, che vede nell’opera il condensato della sua ideologia e del suo potere personale. L’11 gennaio 1935 a Mosca si festeggia il quindicesimo anniversario della nascita ufficiale del cinema sovietico. «Stalin – scrive Giovanni Buttafava, illustre storico del cinema e grande conoscitore della cinematografica russo-sovietica – manda il suo saluto, la Pravda dedica all’avvenimento l’articolo di fondo, al teatro Bol’soj distribuzione delle prime onorificenze ai cineasti, le prime di una lunga serie, distribuite accuratamente secondo i meriti (cioè più alte ai Vasil’ev, più basse a Ejzenstejn). E il cinema, di rimando, festeggia Stalin. In quello stesso anno viene filmato in presa sonora diretta il suo discorso alla cerimonia ufficiale d’inaugurazione della metropolitana moscovita, che passa alla cronaca come la prima grande ripresa audiovisiva sincronizzata di Stalin e viene proiettata in pompa magna, al teatro Bol’soj (dove, fino a quel momento si sono proiettati solo film tipo Ottobre o La corazzata Potëmkin). Il discorso del compagno Stalin all’assemblea solenne nella Sala delle Colonne della Casa dei Soviet dedicato all’inaugurazione del metrò è il primo di una serie di documentari trionfali, che riprendono Stalin nelle occasioni solenni e lo ripropongono all’adorazione del suo popolo, magari in cinema appositamente inaugurati e dedicati alla cinecronaca d’attualità» (Cinema & Film-la meravigliosa storia dell’arte cinematografica, Armando Curcio Editore, terzo volume).

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La bandiera rossa sul Reichstag _ foto del 2 maggio ’45

Nel frattempo la situazione è ormai matura per una svolta decisiva nella cultura e nelle arti sovietiche. Così al congresso degli scrittori, che si tiene nell’agosto di quell’anno, si decide di mettere fine ai raggruppamenti artistici in cui si dividono i “lavoratori delle arti”, per incanalarsi verso questo processo storico (il realismo comunista) nel quale si riconoscono pienamente il partito bolscevico e lo stato. Nel 1935 tocca ai cineasti autocriticarsi nel corso di un convegno. Ejzenstejn diventa il bersaglio principale contro il formalismo della cinematografia. Questa forte imposizione alla creatività artistica porta alla realizzazione di film quali Lenin in ottobre (1937), Lenin nel 1918 (1939) di Michail Il’ic Romm, mentre Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg disegnano il profilo di un classico combattente bolscevico nella trilogia La giovinezza di Massimo (1934), Il ritorno di Massimo (1937), Il quartiere di Viborg (1939). Questo personaggio raggiunge una popolarità pari a quella di Nick Carter in Occidente. Incoraggiate dal regime escono sugli schermi le grandi biografie come Scors di Aleksandr Petrovic Dovzenko (1939) e Sverdlov di Sergej Jutkevic (1940), mentre il tema dell’industrializzazione e della fabbrica diventa molto ambito dai registi che non vogliono inimicarsi il potere in film quali Uomini e lavori di Sergej Iosifovic Jutkevic, I trattoristi (1939) di Aleksandrovic Pyriev, Terre dissodate (1940) di Julij Jakovlecic Raizman, dedicato alla collettivizzazione forzata delle campagne. Il cinema di Stalin però non vuole fare mancare al suo pubblico anche la commedia brillante di grande popolarità, necessaria a regalare momenti di evasione e di serenità in un periodo difficile per superare un’esistenza sottoposta a non pochi sacrifici materiali e morali. In questo genere si mettono in luce Volga-Volga di Grigorij Aleksandrov (1938) e i tre film di Sergej Gerasimov: I sette coraggiosi (1936), Komsomolsk (1938), che inneggiano la gioventù sovietica, e Il maestro (1939), dedicato agli insegnanti che operano nei villaggi agricoli. Il mito di Stalin, ormai in quel periodo nel suo pieno fulgore, è presente in La grande aurora (1938) di Michail Ciaureli. Sul finire degli anni Trenta è il cinema epico ad affacciarsi prepotentemente alla ribalta con Pietro il grande: orizzonti di gloria (1937-1939) di Piotr Perji e il celebre Aleksandr Nevskij (1938) col ritorno alla regia di Sergej Michajlovic Ejzenstejn, costretto ad instaurare un modus vivendi con le autorità (dovrà ripudiare pubblicamente il formalismo per abbracciare il realismo socialista subendo una delle esperienze più amare della sua vita). Il film ottiene un clamoroso successo, ma viene ritirato a sorpresa dai cinema in seguito al patto di non aggressione tra l’Urss e la Germania e poi nuovamente rimesso in circolazione dopo l’invasione tedesca nel 1941. In quell’anno a causa dell’arrivo sul sacro suolo della patria delle truppe di Hitler, tutto il cinema sovietico è costretto alla mobilitazione, prima spostando gli studi di Leningrado e Mosca ad Alma-Ata in Kazakistan e poi appoggiando il conflitto con film patriottici, tra i quali I due combattenti (1943) di Leonid Lukov, Compagno P. (1943) di Fridrich Ermler e con numerosi documentari quali Stalingrado (1943) di Leonid Varlamov, C’era una volta una bimba (1944) di Viktor Eisimont e Gli indomiti (1945) di Mark Donskoij. Infine grande clamore in Urss e anche all’estero suscita il mitico Ivan il terribile, girato negli studi di Alma-Ata da Ejzenstejn, un’opera in due parti realizzata tra il 1944 e il 1946. La seconda parte intitolata La congiura dei Boiardi, contenente alcuni riferimenti espliciti alle epurazioni messe in atto da Stalin tra il 1936 e il 1938, causa al grande regista russo un ostracismo, che durerà fino alla sua morte avvenuta l’11 febbraio 1948. Il cinema sovietico di quegli anni, che già nelle prime edizioni della Mostra del Cinema di Venezia tra il 1932 e il 1934, si fa ammirare dai critici italiani e non solo con film come Ivan di Aleksandr Dovženko e L’Uragano di Vladimir Petrov, è utilizzato con scaltrezza da Stalin che attraverso la biografia romanzata di diversi ritratti storici della Russia, ha costruito “il culto della personalità”, teso a rappresentare il suo socialismo come la meta finale di un processo nazionale e sociale iniziato ancora prima della Rivoluzione d’Ottobre.

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