Cinema, teatro, architettura e scultura tra ‘500 e ‘900 – Addio fratello crudele di Giuseppe Patroni Griffi, 1970

Pubblicato il 4 Marzo 2024 in Outdoor Cinema
Addio fratello crudele

Soggetto tratto da un dramma del teatro elisabettiano. Ambientazione in alcune delle più significative architetture rinascimentali italiane. Scenografie postmoderne dovute allo scultore Mario Ceroli, a lungo collaboratore anche di Luca Ronconi e del Teatro Stabile di Torino. Fotografia di uno dei grandi maestri della luce cinematografica: Vittorio Storaro. Musica (non particolarmente memorabile) di Ennio Morricone. Lo stesso regista è stato di gran lunga più attivo nel teatro di prosa e in quello lirico che al cinema. Tutto ciò per dire che questa trasposizione cinematografica di Peccato che sia una sgualdrina di John Ford (1586-1640) non è un film storico in senso stretto, ma un’interessante contaminazione tra modernità novecentesca e tardo rinascimento grazie a un mezzo, il cinema, il cui linguaggio consente queste escursioni spazio-temporali impensabili in qualsiasi altra arte.

Addio fratello crudele

Un dramma a tinte fosche

Di ritorno in famiglia dopo lunghi anni, il giovane, nobile Giovanni, si innamora, corrisposto, della sorella Annabella. Quando il loro amore segreto sfocia in una gravidanza, per nascondere lo scandalo la ragazza accetta di sposare Soranzo. Scoperto l’inganno, quest’ultimo decide di offrire un banchetto alla famiglia della sposa con l’intenzione di sterminarla. Questa, per sommi capi, la trama del dramma e del film anche se tra le due versioni (teatro e cinema) esistono sostanziali differenze.
Il regista ha scelto di portare avanti il racconto mediante l’uso di metafore visive e il film ne risulta perciò denso, dall’inizio alla fine. Come le corde tese tra le colone del portico della cascina/convento che rimandano ai limiti, ai vincoli messi dall’amico frate (ossia dalla Chiesa e, più in generale dalla società) sul cammino di Giovanni verso la sua passione incestuosa. Al pari del camino, molto realistico e risalente a quel gusto dell’eccentrico e del mostruoso caratteristico del tardo rinascimento, che si propone come patente metafora della bocca dell’inferno. E, sempre in tema di “discesa agli inferi”, si può leggere il pozzo in cui il giovane precipita, in preda a una sorta di lucida follia, in una postura e con un’illuminazione che rimandano iconograficamente al Cristo crocifisso. Altra patente metafora è la voliera piena di uccelletti in una stanza della villa. Nel senso che la gabbia rimanda, ovviamente, a una prigione (in questo caso dei sentimenti), ovvero a una coercizione delle convenzioni sulla libera scelta dell’individuo. Anche la scena della morte di Giovanni avviene in una stanza le cui pareti sono rivestite di bugne di legno piramidali a somiglianza della facciata di Palazzo del Diamanti di Ferrara, capolavoro del rinascimento.

Addio fratello crudele

Location padane

E qui il discorso si sposta sulla scelta delle ambientazioni per le varie sequenze del film. La ricca dimora di famiglia di Giovanni e Annabella è Villa della Torre Allegrini di Fumane (Vr), una ventina di km dalla città scaligera, attualmente attrezzata a relais di lusso. Il banchetto (e la strage) finale hanno luogo nella Galleria degli Antichi, suggestivo luogo di Sabbioneta, la “piccola Atene” dei Gonzaga, nelle campagne di Mantova, città ideale del rinascimento il cui progetto è dovuto in gran parte a Vincenzo Scamozzi, allievo di Andrea Palladio, e al mecenatismo di Vespasiano Gonzaga (1531-1591) che ne fece la capitale del suo feudo. Le brevi sequenze veneziane sono girate a Ca’ Rezzonico (tardo seicentesca) mentre altre sono ambientate nel medievale Castello Scaligero di Sirmione, sul Lago di Garda. Insomma, un insieme di luoghi che contrassegnano quel paesaggio italiano che, anche al di fuori delle mete più rinomate del “Grand Tour”, caratterizza il nostro paese e lo rende così unico. A tale proposito anche una semplice lingua di sabbia sulle rive del Po, “vestita” dallo scenografo con una selva di aste di bandiere rappresenta una suggestione visiva che collega le altre e più rinomate location.

Addio fratello crudele
La strage finale, nella Galleria degli Antichi a Sabbioneta, la “piccola Atene” dei Gonzaga, nelle campagne di Mantova

Per quanto riguarda gli interni, girati talvolta (ma non sempre) in studio, emerge prepotentemente la vena creativa di Ceroli e delle sue sculture in legno. In parte originali, in parte ispirate a capolavori del rinascimento (per es. La nascita di Venere e La primavera di Botticelli) reinterpretate a scopo scenico, ma anche come autonome creazioni artistiche, disseminate qua e là sul set e persino addosso ai personaggi. Come la “gabbia ortopedica” che imprigiona Soranzo dopo la sua vendetta, altra metafora di una ben più immateriale coercizione. Ultima, piccola chiosa, a riprova delle perversioni del doppiaggio, l’italiano Fabio Testi è doppiato da Corrado Pani.

Il regista

Giuseppe Patroni Griffi (1921-2005) ha percorso una lunga carriera principalmente nell’ambito teatrale  nelle più diverse mansioni: da regista a sceneggiatore, drammaturgo e direttore artistico. Chilometrico l’elenco delle sue regie di prosa e operistiche. Al cinema ha firmato sei film tra glianni ‘60 e gli ‘80 tra cui Metti una sera a cena (1969), dal proprio testo teatrale, Divina creatura (1975), con Laura Antonell e Marcello Mastroianni, e La gabbia (1985) con le sex symbol Laura Antonelli e Florinda Bolkan. Si è ancheoccupato di televisione con la miniserie La romana (1988) da Moravia e due produzioni televisive da opere liriche: Tosca nei luoghi e nelle ore di Tosca (1992) e La Traviata à Paris (2000).

 

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