I dischi del mese: la nostra selezione di luglio

Pubblicato il 5 Luglio 2015 in , da Ferruccio Nuzzo

Capricci

Musica italiana per chitarra – Da Milano, Scarlatti, Paganini, Regondi – Gabriel Bianco: chitarra – Ad Vitam Records (64’43’’)

D’origine italiana (ma nato a Parigi), il chitarrista Gabriel Bianco ha scelto il filo conduttore del Capriccio – una composizione rapida, libera e brillante – per tracciare questo programma dedicato a compositori-virtuosi italiani delle epoche e dagli stili più diversi, dal liutista Francesco Canova da Milano – detto il Divino – a Giulio Regondi, fanciullo prodigio e gran virtuoso romantico che, una volta affrancatosi dal padre, tiranno e sfruttatore, si trasferì Londra, colà affermandosi anche come virtuoso di concertina (un’antenata della fisarmonica), per la quale compose inoltre molta musica.

I brani più interessanti del disco sono, tuttavia, le tre Sonate di Domenico Scarlatti, in una trascrizione che, nonostante la complessità del compito, non fa rimpiangere il clavicembalo, e la geniale Grande Sonata MS3 di Giacomo Paganini – all’origine scritta per chitarra e violino. «Io sono il signore del violino, ma la chitarra è il mio signore», sembra che dicesse Paganini, che, bambino, aveva scoperto la musica sul mandolino ed a 19 anni aveva interrotto per un certo tempo l’attività concertistica per dedicarsi all’agricoltura ed allo studio di quello strumento di cui fu anche un grande virtuoso.

Gabriel Bianco è interprete intenso ed appassionato: il suo fraseggio agile ed elegante fa svolazzare i passaggi più ardui ed impervii con la naturalezza e la spontaneità di una rondinella al tramonto, per riposarsi poi sul teso filo nostalgico del secondo movimento – Siciliana – della Sonata di Paganini, della Fantasia di me triste di Francesco Da Milano o del lungo lamento iniziale dello Studio n° 6 di Regondi, i momenti più forti del disco.

ascoltate gli estratti del cd


PashchenkoBeethoven

Variations – Olga Pashchenko: fortepiano – Alpha (61’48’’)

Giusto due anni fa, agli inizi di questa rubrica, mi esaltavo all’ascolto di Olga Pashchenko, una giovane fortepianista con una ormai lunga carriera (ha debuttato à New York a nove anni). Il programma del suo primo cd tracciava con molta fantasia, attraverso le composizioni di tre autori fondamentali nella storia e per l’evoluzione del suo strumento – Jan Ladislav Dussek, Ludwig van Beethoven e Felix Mendelssohn Bartholdy -, un itinerario che ne illustrava tutto il fascino con grande vitalità ed in una luce tutt’altro che archeologica (come è, ohimè, troppo spesso il caso per gli interpreti su strumenti originali).

Con questo secondo cd Olga passa alla scuderia Alpha – una forma di promozione – e ad un programma «tutto Beethoven», quindi con un impegno ben diverso: mostrare – attraverso le Variazioni (che danno il titolo al disco) – l’evoluzione del pianismo di Beethoven, che già a 11 anni si cimentava con questo genere, molto popolare all’epoca, componendo le 9 Variazioni in do minore WoO63 su una marcia di E.C. Dressler.

Per tutta la sua lunga carriera egli coltiverà questo genere, pur considerato «minore». A parte le famosissime Variazioni Diabelli op.120 e le Variazioni «Prometeo», op.35 (quest’ultime concludono il programma del cd), circa la metà delle opere strumentali composte da Beethoven dopo il 1800 contengono movimenti analoghi a delle Variazioni, e Variazioni con un ruolo centrale sono integrate alle composizioni più tardive. Olga Pashchenko,  ne traccia un ampio panorama, dalle giovanili Variazioni su un tema originale in do min. WoO 80 alle «Prometeo», passando per le due Sonate facili op.19 e op.20 e la Fantasia op.77.

La scelta di interpretare queste composizioni su un fortepiano piuttosto che su un pianoforte moderno, permette alla solista di creare essa stessa – come Beethoven auspicava in una sua lettera – la sua particolare sonorità «facendo cantare lo strumento dal momento che si è capaci di sentire». Il risultato è seducente,  non irrigidito da alcun arcaismo: il fortepiano di Olga Pashchenko è vivo, racconta, edifica o scalpita (come il cavallo che illustra opportunamente la copertina del cd), e non è soltanto lo splendido strumento di Christopher Clarke – costruito su un modello di Fritz (Vienna, c.a 1818) – né il virtuosismo dell’interprete, ma la sua sensibilità che ricrea attraverso infinite sfumature un universo sonoro che senza pena identifichiamo con quello di Beethoven.

ascoltate gli estratti del cd


Après un rêveAprès un rêve

Karine Deshayes: mezzo-soprano, Ensemble Contraste – Aparté (72’)

Devo confessarvi che la musica vocale francese dell’800 non è mai stata al vertice delle mie passioni musicali.  Fortunatamente, ed anche alla nostra età, ogni tanto qualcosa arriva a rinnovarci le idee, persino quelle che si credevano più radicate. È il caso di questo cd – un’apoteosi del romanticismo vocale francese, anche quando la voce della seducente Karine Deshayes è assente e sono gli strumenti che cantano – forse proprio poiché l’immersione nell’atmosfera voluttuosa ed un decadente di un salon proustiano è così totale e completa che si rinuncia  ad ogni possibilità di evaderne, e si resta prigionieri consenzienti delle inebrianti volute di queste insinuanti lanterne magiche che raffigurano sentimenti di una lontana letteratura, all’epoca considerata disdicevole per le giovinette di buona famiglia non ancora mature per evocazioni così esplicite di sentimenti non consacrati dal matrimonio.

Il merito – e, comunque, la responsabilità – di questa fascinazione, è sopratutto dei giovani interpreti. Il mezzo-soprano Karine Deshayes, che ha già una notevole carriera al suo attivo – dalla Rosina del Barbiere a Carmen – e che «sente» e rappresenta Massenet, Gounod, Fauré e compagnia con la sensibilità dolorosa e raffinata di una eroina di Maupassant. E l’Ensemble Contraste, che accompagna le romanze e canta con l’archetto i brani strumentali: l’immancabile – ma sempre bellissimo – Cigno di Camille Saint-Saëns, ed il suo, meno noto, Allegro appassionato, la Meditazione di Thaïs di Jules Massenet e la Romanza, la Berceuse e l’Andante di Gabriel Fauré.

Ascoltate Après un rêve, di Gabriel Fauré, il brano che dà il titolo al disco.


 

curt seis tardeEmmanuel Curt

A la seis de la tarde – Benetti, Corea, Escaich, Mantovani, Pelegri, Ravel, Tortiller – Emmanuel Curt, François Desforges: percussioni, Stephane Labeyrie: tuba, Nicolas Baldeyrou: clarinetto, Bertrand Chamayou: pianoforte, Thierry Escaich: organo – Indesens (75’)

Un disco veramente originale con un programma che più «nuovo» e interessante non si può. Parafrasando il famosissimo verso – che si ripete, poi, per tutta la durata dell’altrettanto famoso poema di Federico Garcia Lorca – «Alle cinque della sera», Emmanuel Curt sposta di un ora il tragico evento della morte del torero e lo fa divenire quel magico momento che nel sud-ovest della Francia, impregnato di cultura spagnola, anima in estate le feste popolari, quando, dopo la corrida – o l’incruenta course landaise – si svolge, nella strada principale del villaggio, il rituale del paseo, lo struscio, con il suo seguito di canti e musiche.

Il programma è stato concepito da quel formidabile virtuoso di percussioni che è Emmanuel Curt – super-solista (eh sì, in Francia esiste questa suprema qualifica …) dell’Orchestre National de France. Egli è originario dei Paesi baschi, ben conosce, quindi, queste conviviali tradizioni, che nel suo disco sono divenute un’occasione di incontro con gli artisti – compositori e solisti – che hanno marcato la sua giovane carriera.

Si comincia con un esaltante Los Miuras – uno dei paso-dobles più popolari, composto da Fernando Penella in omaggio al famosissimo allevamento di tori da combattimento – nell’interpretazione dell’Ensemble Latitudes, diretto dallo stesso Emmanuel Curt, e si conclude con El vino Griego, un motivo tradizionale che, sempre nel sud-ovest della Francia, conclude la festa. Tra questi due facili, classici pilastri, musiche più impegnative, come le poetiche Latitudes di Didier Benetti e Sasha et les montagnes Rouges, per percussioni e orchestra sinfonica, di Stéphane Pelegri, o l’imprevedibile MusicMagic di Chick Corea, per basso tuba e vibrafono. Ma anche la trascrizione virtuosa per due marimbas di Alborada del gracioso di Maurice Ravel ed il grandioso Ground II per organo e percussioni del francese Thierry Escaich – un protagonista della scena musicale attuale, che accompagna Emmanuel Curt nella registrazione effettuata all’organo di Saint Etienne du Mont, di cui Escaich è titolare.

ascoltate gli estratti del cd