Gravi danni alla barriera corallina, dopo l’incidente all’isola Mauritius di questa estate

Pubblicato il 1 Settembre 2020 in , da Margherita Corti
barriera corallina mauritius

Il 25 luglio, durante la sua rotta dalla Cina al Brasile, a causa del maltempo, la nave mercantile giapponese MV Wakashio si è incagliata nell’Oceano Indiano, a circa 2 km a sud-est dell’isola di Mauritius. Pur viaggiando senza carico, la nave stava comunque trasportando circa 4000 tonnellate di carburante

L’equipaggio è stato prontamente tratto in salvo e inizialmente è stata esclusa la possibilità di perdite. Ciononostante, queste hanno iniziato a verificarsi a distanza di pochi giorni, principalmente a causa del mare mosso: dal 6 agosto la MV Wakashio ha infatti iniziato a riversare carburante in mare. La situazione metereologica ha reso vano ogni tentativo di stabilizzare la nave così come quello di pompare il carburante al suo esterno. Per la prima volta l’isola di Mauritius si è trovata a fronteggiare un disastro ambientale le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche. E’ infatti nota per ospitare barriere coralline fra le più belle del mondo, da cui l’Isola dipende economicamente per pesca e turismo. A causa di questo incidente, secondo l’associazione ambientalista Greenpeace-Africa, “migliaia di specie nelle lagune incontaminate dell’isola rischiano di annegare nelle acque inquinate, con terribili conseguenze per l’economia, la sicurezza alimentare e la salute di Mauritius”.

Non è un caso che il 7 agosto il Primo Ministro Pravind Jugnauth abbia dichiarato lo stato d’emergenza, sottolineando su Twitter la sua grande preoccupazione per l’assenza di mezzi sufficienti a fronteggiarla. Volontari locali si sono messi al lavoro coi mezzi rudimentali più disparati per ripulire le acque della loro splendida isola. C’è chi ha cercato di rimuovere l’acqua inquinata utilizzando dei secchi, chi si è mosso per contenere il flusso continuo di carburante con sacchi di stoffa e paglia, chi ha creato barriere galleggiati con bottiglie di plastica per arginarlo. Il 13 agosto le squadre di salvataggio pensavano di essere riuscite a pompare quasi completamente il carburante ancora presente nei serbatoi della nave. Si stimava fossero presenti al suo interno ancora “solo” 90 tonnellate. Tre giorni dopo però il timore più grande di cittadini ed ecologisti si è avverato: la nave si è spezzata in due.

È risultato così sempre più difficile programmare una rimozione delle due parti senza perdita di carburante, che continua dunque a macchiare di nero l’azzurro incontaminato del mare dell’isola, soprattutto a causa delle previsioni secondo cui il mare sarà sempre più mosso (si stima che le onde saranno alte anche 4.5 metri!).

L’ambiente della barriera corallina infatti è unico e delicato

Ancora non è noto perché la MV Wakashio navigasse così vicino alla costa. La guardia costiera mauriziana ha infatti più volte cercato di avvertirla della pericolosità della rotta intrapresa senza ricevere risposta dal capitano della nave. Nonostante le indagini siano ancora in corso, resta la consapevolezza che anche l’individuazione del colpevole non sarà utile a riparare il grande disastro ambientale venutosi a creare. La preoccupazione degli ambientalisti infatti cresce di giorno in giorno.  Tipico delle acque tropicali, questo ambiente è tra i più ricchi di biodiversità al mondo, fondamentale per la pesca nonché per la difesa naturale delle coste da tempeste ed inondazioni.

La barriera corallina è principalmente formata da rocce costituite o accresciute dal deposito degli scheletri calcarei dei coralli, che offrono riparo e protezione perfetti agli organismi marini più disparati: dai pesci ai crostacei, dai molluschi agli echinodermi. Un disastro come quello della MV Wakashio non si limita a minacciare la distruzione di questo paradiso.

Le onde hanno infatti formato aerosol che stanno trasportando gli inquinanti fino a terra, disturbando la riproduzione di tartarughe e altri animali che popolano le coste dell’isola. L’inquinamento dell’acqua potrebbe poi portare allo sbiancamento della barriera corallina. Tale fenomeno è purtroppo sempre più diffuso, e le sue conseguenze sempre più dannose. Per chi non lo sapesse, il colore tipico di ogni specie di corallo è infatti determinato dalla simbiosi tra un’alga unicellulare fotosintetizzante (le zooxantelle) e un polipo (il corallo) sottostante. Maggiore è la quantità di microorganismi, maggiore sarà la vividezza del colore.

Da questa simbiosi trae giovamento sia il polipo del corallo, che grazie alla fotosintesi attuata dall’alga ottiene nutrimento, che l’alga stessa, che grazie al polipo mantiene una posizione fissa sul fondale. A causa dell’inquinamento (ma anche dell’innalzamento delle temperature!) questa solida struttura simbiontica si ammala: i microorganismi non sono più in grado di produrre nutrimento e pertanto dopo poco tempo il polipo del corallo li espelle, assumendo una colorazione più pallida o addirittura bianca nel peggiore dei casi (per questo si parla di sbiancamento). Ovviamente, in assenza di chi gli fornisce cibo, i polipi del corallo sono destinati a morire.

Venendo meno queste “strutture” le barriere coralline piano piano si spopolano e l’intero ecosistema va pian piano sparendo, provocando enormi danni a tutto l’ambiente marino e costiero circostante.

Seppure di fronte alla portata di tali disastri noi singoli siamo inermi, nel caso della protezione delle barriere coralline, oltre che continuare a mantenere gli eco-comportamenti che ogni mese suggeriamo di mettere in atto all’interno della nostra rubrica, c’è qualcosa di più specifico che vorrei consigliarvi.

Tra i grandi nemici della barriera corallina, oltre il riscaldamento e l’acidificazione delle acque (per chi ne volesse sapere di più, può leggere qui un nostro articolo di qualche mese fa) troviamo anche le creme solari. Molte di esse infatti sono composte da sostanze chimiche come il benzofenone o l’ossibenzone che, finendo in acqua, vengono assorbiti dai coralli compromettendone la capacità di riproduzione e la crescita, o favorendo lo sviluppo di loro virus che attaccandoli contribuiscono a causarne lo sbiancamento. Leggiamo quindi sempre l’INCI (l’elenco degli ingredienti in etichetta) dei prodotti che compriamo al fine di usare creme solari “amiche” delle barriere coralline.

Non è un caso che alle Hawaii e in molte isole caraibiche dal 2021 non sarà più possibile acquistare o utilizzare creme solari. Se non ci abbiamo fatto caso finora, facciamo sì che questi ultimi giorni di mare siano all’insegna della responsabilità ambientale!