Anche gli USA di Biden nell’Accordo di Parigi a difesa del clima

Pubblicato il 3 Marzo 2021 in , da Margherita Corti

Dall’inizio di gennaio 2021 gli Stati Uniti hanno, come è noto, un nuovo Presidente: Joe Biden, che ha subito definito, tra le sue prime scelte, il rientro ufficiale degli USA, dopo circa tre anni e mezzo, nell’Accordo di Parigi, il più importante trattato internazionale per il contrasto del riscaldamento globale. Sottoscritto dagli Stati Uniti e da altri 195 Paesi (tra cui l’Italia) durante la Conferenza Mondiale sul Clima di Parigi nel dicembre del 2015, l’accordo vanta un obiettivo a lungo termine: contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2° e compiere il massimo degli sforzi per mantenerlo a 1.5°. La strategia necessaria al conseguimento di tale obiettivo corrisponde a limitare l’incremento delle emissioni di gas serra; nella seconda metà del secolo corrente, si punta dunque a raggiungere un livello di produzione di gas serra sufficientemente basso da permettere il loro naturale assorbimento. Ogni 5 anni i Paesi firmatari si incontrano al fine di controllare i propri progressi e, grazie a questo trattato, quasi tutte le nazioni del mondo sono portate a rispettare l’impegno politico a fare il massimo per ridurre le proprie emissioni. All’inizio del mese di febbraio 2021 alla Francia è stata comminata una sanzione (simbolica). Con una sentenza definita ‘storica’, il tribunale amministrativo di Parigi ha dichiarato lo Stato francese colpevole di “danni ecologici” per “non aver intrapreso azioni sufficienti per combattere il cambiamento climatico”, condannandolo al risarcimento simbolico di 1 euro per ciascuna delle quattro organizzazioni ambientaliste che hanno intentato la causa.

 

Il ritorno degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi è un passo fondamentale per l’efficacia dell’Accordo stesso. Sono infatti il Paese che produce la maggior quantità di emissioni, seguiti dalla Cina. Ci si aspetta che il nuovo presidente Biden metta in atto una strategia concreta per arrivare preparato alla prossima riunione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (nota anche come COP26), che si terrà il prossimo novembre a Glasgow. La strategia di Biden prosegue quanto precedentemente impostato da Obama: portare la nazione a una produzione di energia proveniente per il 100% da fonti rinnovabili e raggiungere la carbon neutrality (l’azzeramento delle emissioni nette di CO2) entro il 2050. 

Ma come stiamo procedendo su scala mondiale? Il Climate Action Tracker monitora costantemente i dati relativi alle emissioni inquinanti, aggiornandoli costantemente e traendone analisi estremamente accurate. Il primo aggiornamento sugli obiettivi è previsto per il 2030. Gli obiettivi di ogni singolo Paese rientrano nel “contributo determinato a livello nazionale” (NDC). Per poter essere considerato un progresso, un NDC aggiornato deve descrivere livelli di emissione di CO2 inferiori rispetto all’anno precedente. Purtroppo, con i dati rilevati fino ad oggi, è stato stimato che qualora le riduzioni delle emissioni richieste per il 2030 non venissero soddisfatte, la possibilità di limitare il riscaldamento a 1.5° entro il 2050 sarebbe compromessa. La maggior parte delle emissioni di CO2 è prodotta dai Paesi più ricchi, con una percentuale significativa: è l’1% della popolazione mondiale più ricca a produrre il doppio dei gas a effetto serra rispetto al 50% della popolazione più povera (fonte: Emission Gap Report, pubblicato dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente). Questi dati sono stati pubblicati l’anno scorso, a 5 anni dalla firma dell’Accordo. Secondo quanto riportato dall’UNEP, al fine di rispettare quanto previsto dall’Accordo (limitare il riscaldamento a 1.5 gradi entro la fine del secolo), ogni singolo abitante della Terra entro il 2030 dovrà riuscire a limitare la sua portata media di emissioni a 2.5 tonnellate di CO2. Cosa significa? Fortunatamente internet viene sempre in nostro soccorso. Tanti sono infatti siti che, analizzando il nostro stile di vita in base alle informazioni che gli forniamo, sono in grado di stimare la nostra impronta ecologica (la misura dell’impatto delle nostre azioni sul Pianeta: ne avevamo già parlato qui). Avere un quadro chiaro di quale sia il nostro impatto può essere d’aiuto per capire in che direzione lavorare per aiutare noi stessi e l’intero Pianeta.

Tra i tanti consigli che abbiamo raccolto fino ad ora e che ci aiutano in prima persona a essere cittadini del mondo responsabili, oggi aggiungo che, per chi ha dimestichezza con il computer, è ormai possibile richiedere le bollette online, recapitate direttamente nella nostra casella di posta elettronica. Eliminando la copia cartacea, contribuiamo a ridurre il consumo di carta e dell’energia necessaria per il trasporto della bolletta via posta. Inoltre, sono aumentati sempre di più i fornitori di energia elettrica ‘verde’ certificata prodotta da fonti rinnovabili. Informiamoci se queste società servono la nostra zona, può essere un’idea per rendere ancor più sostenibile il nostro modo di vivere senza però cambiare nessuna abitudine.

Che effetto ha avuto la pandemia di Covid-19 sulle emissioni? Ne avevamo iniziato a parlare verso le fine del primo lockdown. La popolazione mondiale sta passando molto più tempo all’interno delle sue abitazioni. Gli spostamenti, soprattutto quelli aerei che sappiamo essere i più inquinanti, si sono significativamente ridotti, ed effettivamente le emissioni di CO2 sembrano essere calate di circa il 7%. Questo però sembra avere un impatto minimo sull’innalzamento delle temperature a lungo termine, in quanto questa riduzione si tradurrà in un abbassamento di appena 0.01° nel 2050. La strada per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi è ancora lunga e tortuosa e sarà possibile raggiungerla solo con un cambiamento che parta da una riflessione sulle nostre abitudini, tenendo a mente che nella corsa alla riduzione di emissioni ognuno può fare la sua parte.