L’isolamento termico degli edifici, le strade da percorrere

Pubblicato il 25 Maggio 2023 in , da Giovanna Gabetta
isolamento termico

L’isolamento termico degli edifici viene proposto per diminuire il consumo energetico. Il problema ha molti aspetti diversi, ne mettiamo in luce qualcuno

Ci sono due aspetti principali da considerare: il consumo energetico e le emissioni di CO2. Entrambi devono diminuire per un futuro sostenibile, ma non sempre si muovono nella stessa direzione: non è detto che le azioni che permettono di migliorare l’efficienza energetica si possano ottenere senza un aumento delle emissioni. Possiamo pensare per esempio che se le case fossero isolate meglio, magari ci sentiremmo autorizzati ad aumentare la temperatura invernale e l’uso dei condizionatori in estate. È quello che è avvenuto con le automobili, ed è uno dei problemi dello sviluppo sostenibile, già trattato in questa rubrica.

Bisogna quindi capire bene in che modo si può ottenere il risparmio energetico e/o diminuire le emissioni di CO2; e l’obiettivo della politica, prima di emettere leggi e normative, dovrebbe essere anche quello di capire bene cosa è possibile realizzare con spesa e tempi ragionevoli.

I consumi energetici delle case

I consumi energetici di un edificio dipendono da dove si trova e da come è costruito. La classe energetica degli edifici, che in Italia è stata normata in un Decreto del 2015 (Ministero dello Sviluppo Economico – Decreto 26 giugno 2015 “Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici. Gazzetta Ufficiale n.162 del 15-7-2015 – Suppl. Ordinario n. 39), viene espressa in kiloWattora (kWh) annui per metro quadro di superficie. Anche se per una stima approssimativa si può partire dal consumo per il riscaldamento, la classe energetica deve essere determinata da un tecnico abilitato e dipenderà dalla zona climatica in cui ci si trova, dal modo in cui è costruita la casa, dalle sue dimensioni e dal tipo di impianti esistenti nell’edificio. Le normative europee forniscono dei modelli per il calcolo, ma occorre saperli usare.

Esistono anche pubblicazioni più divulgative: il professor Vaclav Smil nel suo libro “I numeri non mentono”, tradotto in italiano e pubblicato da Einaudi, afferma che negli Stati Uniti e in Europa circa il 40% dell’energia primaria viene consumata dagli edifici residenziali, e spiega come si può dare una valutazione semplice dell’isolamento. Tornando ai consumi di energia primaria, anche se il numero è approssimativo, sembra un po’ strano che non ci sia differenza tra Europa e Stati Uniti, dove le case sono costruite con criteri abbastanza diversi.

Le case americane, fatte in cartongesso e legno con intercapedini nelle pareti, hanno coefficiente di isolamento significativamente maggiore rispetto alle case europee con muri spessi in pietre e mattoni. In America si può migliorare l’isolamento in modo abbastanza semplice, riempiendo le intercapedini con materiale isolante. Negli edifici in mattoni o in pietra invece per l’isolamento termico si può realizzare il cosiddetto cappotto, di cui sentiamo parlare sempre più spesso da un po’ di tempo a questa parte. Il cappotto può essere esterno o interno, ed essere realizzato con materiali ricavati dal petrolio (polistirolo), oppure anche con materiali “naturali”, come il sughero.  Ma la scelta non è così facile e immediata. Il sughero, ad esempio, viene da lontano, quindi ci sono consumi ed emissioni dovute al trasporto. Deve essere trattato in temperatura, anche questo richiede consumo di energia e quindi emissioni. Ci sono moltissimi materiali, sia “naturali” sia derivati dal petrolio, ed è necessario informarsi molto bene prima di fare una scelta.

Occorre aggiungere anche che le case americane in genere durano più o meno per una generazione, mentre in Europa utilizziamo edifici che hanno anche diversi secoli. Il consumo di energia dovrebbe essere calcolato a vita intera: anche la costruzione e la demolizione hanno il loro costo energetico.

Riscaldamento e raffrescamento

Considerando la gestione corrente, per analizzare l’isolamento termico, d’inverno l’energia viene utilizzata soprattutto per il riscaldamento, e in estate per l’aria condizionata. C’è anche l’esperienza personale, che ci ricorda che quando eravamo bambini l’aria condizionata praticamente non esisteva: si aprivano le finestre. La circolazione dell’aria può essere piuttosto efficiente nel rinfrescare le case, e per le automobili e per i treni, il movimento contribuiva ad aumentare il comfort (è un fenomeno fisico ben noto, si chiama raffrescamento passivo).

Ovviamente l’aria condizionata, che ci permette di impostare la temperatura e l’umidità all’interno di casa nostra, funziona molto meglio. Ma non soltanto richiede molta energia: per raffreddare l’interno, riscalda l’esterno, contribuendo a innalzare la temperatura delle città e creando le “Isole di calore”. Ce ne possiamo accorgere tutte le volte che in una calda giornata estiva, passiamo accanto a una automobile con l’aria condizionata accesa.

Schema dell’isola di calore in una città

Il professor Vaclav Smil suggerisce anche di cominciare da qualcosa di più semplice per aiutare l’isolamento termico degli edifici: le finestre. I doppi e tripli vetri, con intercapedine riempita di gas, sono molto efficienti e aiutano l’isolamento delle case. Poi, suggerisce anche di accontentarsi di appartamenti più piccoli, cosa che noi europei tendiamo a fare, se non altro per ragioni economiche. Come caso limite vengono in mente gli igloo degli eschimesi, fatti di ghiaccio, molto piccoli e senza riscaldamento: l’isolamento termico è talmente efficace da permettere agli abitanti di restare nudi all’interno.

È anche interessante vedere come è distribuito geograficamente il consumo. Le persone che vivono in zone fredde d’inverno, e hanno necessità di riscaldare le proprie case, sono circa un miliardo sul pianeta; e negli ultimi decenni gli impianti di riscaldamento sono diventati sempre più efficienti. Ma gli altri 7 miliardi di abitanti della Terra? Vivono in maggioranza in climi temperati o caldi, e possono fare a meno del riscaldamento. E fino a qualche decennio fa invece di avere l’aria condizionata si accontentavano di far muovere l’aria, usando gli accorgimenti del raffrescamento passivo. Tra le principali soluzioni ci sono i sistemi di ombreggiamento, l’inserimento di elementi d’acqua, un uso studiato della vegetazione, le torri del vento, oltre alla costruzione di murature con un’elevata inerzia termica. In alcuni corsi universitari si insegnano le tecniche di progettazione per ottenerlo. Per chi volesse approfondire, ci sono libri a livello universitario che trattano l’argomento.

Come comportarsi con le emissioni?

E per le emissioni? Vaclav Smil dice che nel 2021 il funzionamento degli edifici ha rappresentato il 27% delle emissioni di CO2 totali nel settore energetico, ma precisa che l’8% è costituito da emissioni dirette negli edifici e il 19% da emissioni indirette derivanti dalla produzione di elettricità e calore utilizzati negli edifici. La figura che segue invece si riferisce al 2016 e proviene dal sito  https://ourworldindata.org/. A quanto pare nel ’16 le emissioni degli edifici erano soltanto il 17,5% del totale, quindi negli ultimi anni sono aumentate, non solo in valore.

isolamento termico

Nel sito Our world in data si afferma anche che i dati di questo tipo non sono quasi mai a distribuzione libera, e che la mancanza di dati accessibili liberamente può favorire la diffusione di opinioni sbagliate. E sono proprio i diversi aspetti contraddittori che possono essere responsabili di decisioni poco accorte o addirittura sbagliate, come avviene in generale quando si parla di energia. Va notato che sia il consumo di energia che le emissioni nel 2021 sono rimbalzati sopra i valori del 2019, dopo il calo nel 2020 dovuto alle restrizioni del Covid-19.

Quindi è sicuramente molto importante utilizzare tecnologie energetiche più efficienti e rinnovabili negli edifici. Quello che sembra problematico è  considerare che basti allinearsi allo scenario Net Zero Emissions, e farlo entro il 2050. Il problema non è soltanto quello dei costi, ma il rischio di fare molto lavoro e molte spese con risultati non risolutivi. Entro il  prossimo decennio tutti i nuovi edifici e il 20% del parco edilizio esistente devono pronti a zero emissioni di carbonio, ma forse sarebbe più sensato accontentarsi di diminuire il consumo di energia. Nessuno garantisce che in così pochi anni potremo veramente portare le emissioni a zero, e che l’energia necessaria per realizzare tutto questo non ci porterà ad aumentare le emissioni anziché eliminarle.