Storia del cinema italiano a Milano /15: Dall’Hotel Diana a piazza Fontana: gli anni di piombo tra il rosso e il nero

Pubblicato il 4 Marzo 2016 in

Marzo 1921. Milano sta vivendo giorni drammatici. Il fascismo, che non ha ancora preso il potere, sta dilagando ovunque. Squadracce con la camicia nera attaccano le sedi dei partiti, dei sindacati, dei giornali democratici, dei circoli. Il 24 marzo al teatro Diana di Porta Venezia va in scena l’operetta di Franz Lehar Mazurca blu. La compagnia di attori alloggiata nell’adiacente hotel Diana è attraversata da tensioni e rivalità non accorgendosi di quanto sta per accadere fuori nel mondo reale sconvolto da avvenimenti destinati a cambiare la storia della nazione.

Un gruppo di anarchici individualisti sta organizzando un assurdo attentato al questore di Milano Serra che alloggia proprio in un appartamento dello stabile per provocare l’attenzione nell’opinione pubblica sulle condizioni di salute del loro capo carismatico Malatesta detenuto nelle carceri di San Vittore. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, alle 23, esplode nella sala una bomba ad alto potenziale che causa quindici morti e numerosi feriti. Il botto, intensissimo, è udito in buona parte della città. I fascisti usciti allo scoperto assumono la direzione dei funerali delle vittime. Mussolini sta per arrivare al potere.

A questo tragico episodio è dedicato il film L’ultima mazurca (1988) diretto da Gianfranco Bettettini, scritto da Luigi Funari e interpretato da Senta Berger, Erland Josephson, Paolo Bonacelli e Mario Scaccia. Dopo il ventennio fascista, la Seconda guerra mondiale e la ricostruzione del Paese, gli anni Sessanta sono caratterizzati da grandi aspettative, ma anche da tensioni sociali e dal desiderio di un cambiamento radicale.

Il 12 dicembre 1969, un venerdì, alla Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana una violenta esplosione uccide diciassette persone e ne ferisce molte altre. Le indagini vengono subito orientate verso i gruppi milanesi anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa. Giuseppe Pinelli, che morirà cadendo da una finestra della Questura di Milano, e Pietro Valpreda, sono fermati e interrogati. È l’inizio della “strategia della tensione”, un periodo terribile creato ad arte per fare precipitare il paese nel caos creando così il terreno fertile per l’instaurazione di una dittatura di destra. Quale ruolo avranno i servizi segreti probabilmente guidati da un intelligence straniera e con la complicità di alcuni politici di casa nostra? Sono questi gli interrogativi che si pone Marco Tullio Giordana nel suo ben documentato Romanzo di una strage (2012) con Pierfrancesco Favino (Tullio Pinelli), Valerio Mastrandrea (il commissario Luigi Calabresi), Fabrizio Gifuni (Aldo Moro) e Luigi Lo Cascio (il giudice Paolillo). Benché contestato da alcuni critici per le conclusioni finali, il film è comunque spettacolare fino dalla prima sequenza della bomba in piazza Fontana.

Il 12 dicembre 1969 è indicato da molti storici come la data della “perdita dell’innocenza” che lascerà spazio ai fautori della lotta armata per difendersi dal fascismo. Nel 1974 Luciano Ercoli con La polizia ha le mani legate se ne ricorda. Nella hall di un albergo milanese devastato da un’esplosione il commissario di polizia Matteo Rolandi (Claudio Cassinelli) presente sul posto per sorvegliare un trafficante di droga assiste sgomento alla strage. Un suo collega e amico di nome Luigi Balsamo (Franco Fabrizi) per poco non riesce a catturare il responsabile del crimine, ma l’indomani un misterioso killer lo uccide. Il poliziotto allora inizia un’indagine personale che lo porterà a scoprire una trama eversiva.

Nel 1982 Gianni Amelio firma l’inquietante Colpire al cuore centrato sul complicato rapporto tra il padre Dario (Jean-Louis Trintignant), docente universitario con simpatie nei confronti del terrorismo rosso, e suo figlio Emilio (Fausto Rossi), studente liceale anche troppo serio e studioso per la sua età. Il film ambientato a Milano e a Bergamo nell’aprile 1982, ben scritto da Vincenzo Cerami, è una coraggiosa testimonianza sui nostri anni di piombo che hanno lacerato anche i rapporti familiari.

Carlo Lizzani, regista di casa a Milano, nel 1976 realizza San Babila ore 20: un delitto inutile, straordinario ritratto dell’estrema destra che in quegli anni si ritrova abitualmente in un bar di piazza San Babila in una sorta di territorio privato dal quale devono stare alla larga tutti i democratici per evitare di essere malmenati. La pellicola, ispirata a un vero fatto di sangue messo in opera dagli estremisti di destra, si svolge nel corso di una giornata balorda vissuta tra pestaggi, stupri e violenze e l’uccisione a sangue freddo di un giovane antifascista passato di lì per caso. Grazie alla testimonianza di una delle vittime, i quattro saranno finalmente arrestati.

Ancora il clima degli anni di piombo, è protagonista del film di Vittorio Sindoni Una fredda mattina di maggio (1990), ricostruzione tra cronaca e fantasia dell’omicidio di Walter Tobagi avvenuto il 28 maggio 1980. Esponente sindacale di categoria, il giornalista del Corsera cerca di capire attraverso i suoi articoli i motivi delle violenze, degli attentati, delle intimidazioni e delle aggressioni operate da un gruppo di estremisti. Sarà ucciso con sei colpi di pistola davanti a casa e la sua morte desterà profonda indignazione.

L’anno prima, il 29 gennaio 1979, in una fredda e plumbea giornata invernale i milanesi vanno al lavoro in auto, in tram, in metropolitana, come sempre. Così fa anche il giudice Emilio Alessandrini sostituto procuratore della Repubblica in passato impegnato nelle indagini sulla strage di Piazza Fontana indirizzate verso le responsabilità dei fascisti con le coperture dell’intelligence e ora titolare dell’inchiesta sulle organizzazioni armate della sinistra. Il magistrato lascia suo figlio davanti alle scuole elementari di Via Colletta e mentre si avvia in auto verso il Palazzo di Giustizia è ucciso da un commando di terroristi del gruppo di Prima Linea guidato da Sergio Segio.

Tratto dal libro Miccia corta scritto dallo stesso ex terrorista, La prima linea (2009) diretto da Renato De Maria ripercorre con uno stile asciutto la follia di una generazione di giovani che vede nella lotta armata l’anticamera della rivoluzione.

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