Il sistema salute in Italia è ad alta complessità: per questo servono coordinamento e multi-professionalità

Pubblicato il 3 Novembre 2022 in da redazione grey-panthers
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“Siamo all’inizio di una nuova legislatura, con un nuovo Parlamento e un nuovo Governo. Auspico e chiedo che ci sia un approccio umile al sistema sociosanitario. Umile, inteso come umiltà intellettuale e professionale: non possiamo permetterci di continuare a parlare di ricette semplicistiche per affrontare e risolvere i problemi, perché il sistema è ormai complesso e comprende sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e sociale.” così si esprime Barbara Mangiacavalli , Presidente di FNOPI, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche che rappresenta oltre 460mila infermieri e infermieri pediatrici iscritti all’Albo in Italia.

“Per questo, come rappresentante di un ente sussidiario dello Stato, chiedo ci sia un approccio al sistema salute, al sistema sociosanitario, umile, e che non si continui a dire e a parlare di ricette semplicistiche che nessuno, in questo momento, può proporre per rispondere ai problemi complessi del Paese, del nostro sistema salute e dei professionisti che quotidianamente lo vivono.

Servono analisi e strumenti di complessità. Non possiamo pensare di ridurre i problemi del sistema salute, a una componente professionale: non è più e non può essere un problema di una sola professione, ma di un sistema multiprofessionale che richiama a un’analisi e a strumenti di complessità. Ormai la multi-professionalità è scritta ovunque, è agìta ovunque.

Noi, come operatori del sistema, siamo quelli che “mettono a terra” le azioni necessarie alla salute dei cittadini, tentano di tradurre le linee politiche istituzionali dentro l’operatività, nei percorsi di presa in cura e di assistenza, di continuità, ma senza la multi-professionalità non possiamo lavorare, nessuno di noi potrebbe farlo.

Un’altra riflessione da fare è sulla digitalizzazione che chiamerei sanità digitale perché definirla telemedicina è riduttivo. Non è solo telemedicina, infatti, è tele monitoraggio, tele consulto, tele visita, teleassistenza, riabilitazione e così via. È sicuramente più utile, quindi, parlare o di connected care o sanità digitale, che ha due filoni importanti al suo interno, descritti nella missione 1 del PNRR: l’informatizzazione digitale del sistema salute e i presidi e gli strumenti.

  1. Per quanto riguarda l’informatizzazione non vorrei pensassimo che per informatizzare e rendere digitale il nostro Paese basta prendere la cartella clinica cartacea e trasformarla in un pdf, in un excel, o in altro supporto informatico. Non si può trasformare la carta in digitale e affermare di aver digitalizzato il sistema, perché questo non consentirà mai di estrarre e utilizzare dati non solo per fare ricerche, ma nemmeno per fare, ad esempio, analisi di governance, del rischio clinico, del rischio sanitario. A cosa servono quei dati ex cartacei diventati digitali, se non consentono né di fare interconnessioni tra professioni e professionisti, tra i setting assistenziali ospedale, territorio, domicilio, tra i setting istituzionali, salute, sistema sociale, comuni, rete del terzo settore con le associazioni dei pazienti? A cosa serve un dato che alla fine non si può utilizzare perché non evidenzia quante persone, ad esempio, sono passate dai PUA, qual era il bisogno che è stato registrato, amministrativo, socioassistenziale, sanitario, sociosanitario, sociale?

È necessario quindi nella digitalizzazione costruire a monte il quadro di riferimento.

Le professioni che rappresento, infermieri e infermieri pediatrici, hanno, in questo senso, metodi e strumenti di stratificazione del bisogno assistenziale, della complessità assistenziale, dei livelli di intensità assistenziale, degli strumenti e dei metodi di valutazione dei bisogni dei pazienti dal rischio cadute, del rischio infezioni, della capacità di orientarsi.

Gli strumenti vanno scelti con criterio, certo, ma occorre definire bene l’architettura organizzativa del sistema. Poi si potranno utilizzare questi dati, altrimenti continueremo a lavorare tanto e male perché riempiremo file di dati che poi non siamo in grado di utilizzare per analizzarne le ricadute sul sistema salute.

         2. La seconda parte della digitalizzazione riguarda dispositivi e presìdi.

Credo che l’esperienza di questi ultimi due anni debba essere sfruttata appieno. Se il domicilio è primo luogo di cura e la prossimità è l’elemento che dobbiamo preservare, è necessario comprendere come tenere “agganciato” e dentro un circuito di continuità di presa in carico assistenziale il cittadino al suo domicilio.

Oggi esistono dispositivi, ad esempio, indossabili, i wearable device, che registrano e trasmettono la frequenza cardiaca, respiratoria, la saturazione. Abbiamo bisogno di implementare questo tipo di digitalizzazione nel nostro Paese, perché consente di rendere equa e appropriata l’assistenza sanitaria, dalle aree interne alle zone più disagiate, al cittadino anche giovane, ma non autosufficiente, che può restare nei suoi luoghi di vita quotidiana e nella sua prossimità dove c’è anche una rete sociale, formale o informale che sia, che lo aiuta, lo supporta, lo sostiene. Può restare in questo ambito, ma monitorato.

Allo stesso modo possiamo pensare al follow up dei pazienti oncologici e a quelli di tante patologie croniche. E in questo senso il ruolo dell’infermiere è strategico perché si posiziona come la “cerniera” di congiunzione tra sanitario e sociale, tra ospedale e territorio, tra ospedale e domicilio.

C’è poi il tema delle risorse, trasversale per l’accesso alle cure, ma che non deve continuare a essere un alibi. Possiamo lavorare sui modelli organizzativi, sul ruolo del management e delle direzioni strategiche con tutte le sue articolazioni direzionali, comprese le direzioni infermieristiche, perché comunque, anche in presenza di una carenza – e la mia professione soffre di una carenza stratosferica in questo momento –, possiamo innovare e lavorare su modelli più performanti, più appropriati e che magari in qualche modo possono evitare ridondanze e rendere più trasversale, appunto, l’accesso alle cure.

Sulla carenza in particolare, non ho bisogno di dire che mancano infermieri e siamo stanchi di ripeterlo ciclicamente. Abbiamo chiesto a tutte le forze politiche di mettere nelle loro agende anche istituzionali la questione infermieristica.

Il problema non è nel tema dei numeri, dei posti messi a bando dall’Università, né nel numero chiuso o aperto che si voglia: i numeri sono stati anche aumentati. Il problema è che i giovani non si iscrivono al corso di laurea infermieristica. Le radici sono più profonde e su queste dobbiamo lavorare e vorremmo farlo con le istituzioni, perché le nostre professioni, infermiere, infermiere pediatrico, non sono attrattive in Italia, perché l’Italia non è, e così rischia di non essere più nel futuro, un Paese per infermieri.

In questo modo però, deve essere chiaro, non si garantisce equità, accesso, trasversalità, percorsi di presa in carico. Non si garantiscono i livelli essenziali di assistenza e la risposta ai bisogni di salute dei cittadini.

Tutte queste cose sono scritte nel PNRR, che può anche avere bisogno di essere rivisitato, attualizzato, puntualizzato, ma tenendo presente anzitutto che oggi è scritto in modo tale che difficilmente le missioni parlano fra di loro.

Abbiamo fatto riferimenti contemporaneamente alla missione 1 con il sistema digitale, alla missione. 4 su formazione, Università e Ricerca, alla missione 5 con le aree interno e la coesione sociale, alla missione 6 per la salute, ma possiamo tradurle concretamente in atti operativi, organizzativi, coerenti e trasversali solo se le missioni sono interconnesse tra loro.

A livello di Presidenza del Consiglio dei ministri è stata prevista per il PNRR una cabina di regìa che può essere un primo elemento importante e deve diventare un luogo privilegiato di confronto e costruzione di una cultura nuova. Siamo un Paese che produce tante norme, poi però il monitoraggio sulla loro applicazione è appannaggio di pochi, marginale. Forse sarebbe il caso di prevedere un po’ meno norme, ma provare a dare concretezza a quelle che abbiamo e verificarne davvero l’attuazione.

La cabina di regia può essere rivisitata e tradotta in un luogo elettivo di discussione e di analisi, perché dobbiamo costruire una nuova cultura e al di là del problema del finanziamento c’è un dato oggettivo: una parte delle risorse che abbiamo ricevuto e riceveremo sono in conto capitale; quindi, sono debiti che lasciamo ai nostri figli, ai nostri nipoti.

Credo questo debba essere sufficiente per responsabilizzare tutti, la politica, le istituzioni, gli enti sussidiari, perché non si concretizzi il fatto che, oltre a essere, appunto, un debito da restituire per i nostri figli e nipoti, tutto questo rappresenta la perdita da parte nostra di un’occasione straordinaria di provare a cambiare, oltre che i setting, i muri e le etichette, anche la cultura del nostro sistema salute”.

(di Barbara Mangiacavalli , Presidente di FNOPI, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche)