La Cina salverà l’Italia?

Pubblicato il 18 Marzo 2020 in Wellness Denaro Salute Business

STATI UNITI. È stato un “venerdì 13” nel vero e proprio senso del termine per gli Stati Uniti. Dopo giorni di diniego, il Presidente Donald Trump ha infatti dichiarato lo “stato di emergenza” su tutto il territorio nazionale. Washington si trova ad affrontare quasi 4.000 casi confermati di coronavirus durante la “prima fase” dell’epidemia. Il paese ha iniziato ad adottare misure simili a quelle cinesi e italiane, come aumentare il numero di test, tracciare le interazioni sociali dei malati, incoraggiare i cittadini americani a rimanere a casa e vietare assembramenti. Perfino la campagna elettorale si è spostata online, con l’organizzazione di rally virtuali da parte di tutti i contendenti. Trump si è sottoposto al test ed è risultato negativo. Intanto, anche sul piano economico arriva una risposta delle autorità statunitensi per far fronte all’impatto dell’epidemia di coronavirus. La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha riportato i tassi di interesse a una quota vicino allo zero – la forchetta è tra 0 e 0,25% – riducendo il costo del denaro di un punto, ai livelli della crisi del 2008. La banca, inoltre, ha lanciato un programma di quantitative easing da 700 miliardi di dollari, con 500 miliardi in acquisti di titoli di Stato e altri 200 miliardi in operazioni su titoli ipotecari.

ASIA. Il numero di casi di coronavirus in Corea del Sud comincia a diminuire, nonostante l’approccio “elastico” del governo sudcoreano. Il paese, infatti, contrariamente alla Cina o all’Italia, ha preferito affidarsi alla cooperazione con il pubblico invece che a misure restrittive. Anche per quanto concerne gli spostamenti, Seoul non ha chiuso le frontiere né ristretto la mobilità, optando per “procedure speciali di immigrazione” per gli arrivi da aree altamente infette, Cina compresa. Se l’approccio del presidente Moon Jae-in è stato dapprima fortemente criticato, anche all’interno del paese, sembra ora iniziare a dare i suoi frutti. Singapore, Hong Kong e Taiwan, intanto, sembrano essere riusciti a domare i cluster epidemici: i tre paesi, memori dell’epidemia di SARS del 2003, si sono fatti trovare più preparati  di altri nell’affrontare l’emergenza.

CINA. Durante la visita a Wuhan, epicentro cinese dell’epidemia di coronavirus, di martedì scorso – la prima e unica dall’inizio dell’epidemia – Xi Jinping aveva dichiarato che la “guerra del popolo al coronavirus”  era stata ormai  quasi vinta. Il giorno seguente, Pechino aveva annunciato che un team di sette specialisti avrebbe viaggiato in Italia per mettere le proprie conoscenze a disposizione degli operatori del sistema sanitario nazionale. E il giorno stesso l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava la pandemia. Con i “soli” quasi 10000 casi attivi (di cui la maggior parte ancora nella provincia dello Hubei), la Cina sembra ora tornare lentamente alla normalità. Se, da una parte, le richieste di maggiore trasparenza da parte del Partito (soprattutto riguardo gli errori commessi all’inizio dell’epidemia) hanno già cominciato ad apparire sulla stampa hongkonghese, Pechino teme ora i cosiddetti “casi di ritorno”. Già a inizio marzo, la Cina “aveva importato” sette casi dall’Italia: oggi quindi ci si aspetta un sempre maggiore coinvolgimento cinese nei peggiori cluster nel mondo.

SPAGNA, FRANCIA E…UK. Fino a due settimane fa la Spagna era ancora ben lungi dall’adottare misure stringenti contro il coronavirus che già stava dilagando in Italia, ma il 13 marzo anche Madrid, come Washington, ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza. Sono più di 7000 i casi attivi nel paese, più di 200 i morti e circa 500 i guariti. Intanto, in Francia, dove si contano 5000 casi circa di contagio, domenica si sono svolte elezioni municipali in diversi comuni francesi, tra cui la capitale Parigi. L’astensionismo, a causa dell’epidemia di coronavirus, è stato alto: si stima infatti che solo tra il 44% e il 46,5% degli elettori si sia presentato alle urne, percentuali molto più basse della media. Desta ancora dibattito la risposta del Regno Unito all’epidemia. Discostandosi – almeno per il momento – dalle misure draconiane progressivamente adottate da molti paesi europei per limitare i contagi, Boris Johnson ha annunciato la settimana scorsa l’adozione di una strategia molto diversa, volta a limitare meno le occasioni di contagio (tranne che per le persone più vulnerabili) per produrre una “immunità di gregge” con il rischio tuttavia che nel peggiore degli scenari l’80% della popolazione possa essere contagiata. La strategia ha suscitato numerose e aspre critiche dagli altri paesi e dalla comunità scientifica, e già lunedì mattina diversi media hanno annunciato la possibilità di un cambio di rotta da parte di Downing Street. Intanto, mentre in Italia è al varo nel Consiglio dei Ministri il maxi-decreto “Cura Italia“, la Germania, ha annunciato la chiusura dei propri confini, ad eccezione del traffico commerciale, per limitare il dilagare dell’epidemia.

AFRICA.  Aumenta il numero di stati africani in cui siano stati accertati contagi da coronavirus. Kenya (3), Etiopia (4), Ghana (6) e Rwanda (5), tra gli altri, hanno rilevato i primi casi nel fine settimana. In evoluzione la situazione nel resto del continente. Il numero di contagi cresce soprattutto in Sudafrica, dove sono circa 61 i pazienti affetti da coronavirus, e Senegal, con 24. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato lo stato di “disastro nazionale”, per poter accedere a finanziamenti speciali e adottare misure severe di contenimento dell’epidemia: chiusura di scuole, restrizioni di viaggio, divieto di assembramenti. A Dakar, invece, il capo di stato senegalese, Macky Sall, ha ordinato la chiusura di scuole e università per tre settimane e la cancellazione delle principali manifestazioni religiose in programma per rispondere all’epidemia nel paese. L’Uganda, intanto, si è aggiunta agli stati che hanno già inasprito i protocolli per tutti gli arrivi dall’Europa

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