Il Gigolò

Pubblicato il 28 Marzo 2016 in

Un racconto di Paola Brovidi – Silvano Di Terlizzi – Marisa Istrino – Eduardo Squillace

Personaggi: Ludovico, Caterina, Don Giuseppe, Giulia, Laura, Wanda, Donna Consilia,  Don Calogero, Pres. Canottieri Olona e altri di contorno

“Pur che tu sia casta come il ghiaccio e pura come la neve, non sfuggirai alla calunnia. Deh, vai in convento, fatti monaca!”

«Ludovico, basta declamare versi di Amleto, ricordati che devi anche studiare, non solo recitare!»

Ludovico da bravo ragazzo, non replica alle parole della madre. Un adolescente modello, un figlio che ogni madre vorrebbe avere: frequenta il liceo con profitto, dimostra una spiccata attitudine nel campo letterario teatrale e studia i classici con passione, rappresenta uno di quei ragazzi cresciuti troppo in fretta per la loro età.

Del resto non avrebbe potuto essere altrimenti. Sua madre, Caterina, lo ha allevato da sola facendo enormi sacrifici e lavorando come aiuto sarta nel retrobottega di un negozio all’ingrosso di abiti, portandosi spesso la sera il lavoro a casa per arrotondare le magre entrate. Ha permesso così a quell’unico figlio, frutto di un amore giovanile, di avere un’educazione e un’istruzione adeguate. Caterina non ha studiato, è una donna intelligente e piacente, ancora molto giovane. A soli trentaquattro anni ha già un figlio di sedici anni; non le mancano i corteggiatori tuttavia il suo senso di responsabilità nei confronti di questo ragazzo ha la meglio.

In questo compito difficile è stata supportata anche da Don Giuseppe, il loro parroco, che ha costituito per Ludovico il riferimento maschile più importante durante la sua infanzia e l’attuale adolescenza.

Ludovico frequenta con assiduità da anni l’oratorio di Don Giuseppe, prete giovane sulla quarantina, molto aperto, dinamico che ha un ottimo rapporto con i ragazzi. È di buon livello culturale e appartiene a una delle migliori famiglie palermitane. Nonostante il suo aspetto mite e di uomo sensibile e altruista, è dotato di carattere e fermezza, doti che ha profuso nell’impegno quotidiano del suo sacerdozio. Ludovico è stato il suo pupillo sin da piccolo. Quest’ultimo frequenta l’oratorio e aiuta i ragazzini più piccoli. Mette tutto l’impegno possibile in questo compito delicato. All’oratorio si confronta anche con le sue coetanee che svolgono le sue stesse mansioni e, benché nascano qualche simpatia e i primi battiti di cuore da parte delle ragazzine nei suoi confronti, quando l’amicizia tenta di sfociare in rapporti di altra natura, Ludovico si ritrae spaventato. Nell’intimo del suo cuore aspira al sacerdozio, vuole emulare Don Giuseppe e mette a tacere le sue pulsioni giovanili.

Una sera, al rientro dall’oratorio, trova sua madre in camera che sta preparando un borsone in fretta e furia e vedendolo entrare gli va incontro, lo abbraccia stretto dicendogli:

«Ludovico, figlio mio, sei ancora un ragazzo però hai la testa sulle spalle, io devo lasciarti da solo per un po’ di tempo, non so per quanto perché la nonna sta molto male! Per fortuna c’è Don Giuseppe, puoi fare riferimento a lui per ogni necessità.»

 

Momentaneamente Ludovico trascorre sempre più tempo all’oratorio.

«Figliolo, sei ancora qui? La Messa è finita da un pezzo.»

«Lo so, Don Giuseppe. Io qui sto bene, è come una seconda casa per me e poi chiedevo aiuto al Signore per la nonna.»

«A proposito, come sta?»

«Un po’ meglio, grazie. Mamma dice che se tutto prosegue come sembra, la settimana prossima potrà tornare a casa.»

«Bene, bene. Ora però vai, devo chiudere la Chiesa. Ricordati che domani mattina inizieranno le prove della nuova commedia. Puntualità, mi raccomando.»

«Ci sarò, non si preoccupi. Buonanotte Don.»

La casa di Ludovico non è molto distante. Basta percorrere il lungo viale alberato lungo il quale è vietato il transito alle automobili. Dieci minuti a passo veloce. Spesso alla sera preferisce allungare la strada per attraversare la piazza principale. Vicenza è una piccola città dove tutti si conoscono e tutti sanno tutto di tutti. A quell’ora le persone si attardano per bere l’aperitivo e ne approfittano per scambiarsi notizie e pettegolezzi prima di rientrare per la cena. Ludovico ha fretta di rientrare a casa. Da diversi giorni continua a pensare alla fotografia che sua madre gli ha mostrato diverso tempo prima,l’immagine con lui in braccio mentre si sorridono felici. Nella fotografia non sono soli, si vede in lontananza tra le piante la figura di un uomo molto sfocata.Quell’immagine gli aveva fatto pensare a suo padre. Chi era? Perché le sue domande non ottenevano risposta? Deve assolutamente ritrovare la fotografia. Vuole capire. Ė sicuro che rivedendola scoprirà qualcosa, un particolare che al momento gli sfugge.

Non ha ancora chiuso la porta di casa che già si precipita in camera della mamma.

«È nel secondo cassetto del comò. Sono sicuro che l’ha messa qui».

Cercando maldestramente, con una calma che non riesce a dominare, appoggia sul letto la biancheria intima che di volta di volta toglie dal cassetto. Il cuore gli batte all’impazzata, sembra uscirgli dal petto, mentre continua sempre più impaziente a cercare. Inutilmente. Non c’è, la fotografia non c’è più. Sa di non essersi sbagliato, aveva visto bene. Rimette la biancheria alla rinfusa nei cassetti, contemporaneamente ode un piccolo rumore, quasi un fruscio. Qualcosa è caduto in terra. È una busta bianca sigillata. Non un’intestazione e neppure un indirizzo.

«Devo aprirla, fermarmi adesso è inutile. Ho il diritto di sapere.»

Con le mani tremanti impaziente lacera la busta. Non c’è data. La gira e rigira fra le mani. Adesso non è più sicuro di voler sapere. Non deve ascoltare il cuore. Inizia a leggere.

Cara Caterina,

la tua giovane età non deve farti pensare che qualsiasi soluzione al problema ti sia permessa. Ci sono situazioni che devono essere portate a termine. Il disegno del Signore non è mai chiaro al suo apparire e non è mai facile. Di fronte a Dio ogni essere umano è debole e ognuno di noi è peccatore, ma il Signore sa dare ai suoi figli più vulnerabili la forza necessaria affinché il disegno si compia. Non sei sola in questo momento e spero ti sarà di conforto sapere che le mie preghiere ti accompagneranno. So anche che c’è bisogno per la creatura che sta crescendo dentro di te di un aiuto concreto per affrontare il mondo nel modo migliore. Permettimi di sostenerti con un vitalizio che userai per le necessità tue e del bambino. Considerami un padre per il piccolo, un padre che non conoscerà mai. Un padre a cui tu potrai chiedere qualsiasi cosa e che si impegna a seguire passo dopo passo, anche se nell’ombra per il ruolo che riveste nella Chiesa, sia te che il bambino fino alla maggiore età. Sarò sempre qui al tuo fianco per sostenerti e tu promettimi che ricorrerai a me ogni volta che ti sentirai fragile e impaurita. Non sei sola in questo mondo, ricordatelo, e che la volontà del Signore si manifesti in tutto il suo volere.

Giuseppe

Mentre legge, la rabbia sale sempre più violenta. Le due persone che ha più amato nella sua vita lo hanno ingannato. Che stronzo, si è sempre bevuto tutto quello che gli veniva detto. I giorni felici, la spensieratezza, tutto cancellato in un momento. Mai più avrebbe creduto a qualcuno, mai più avrebbe amato nella stessa misura. Non riesce a piangere e per che cosa e soprattutto per chi? Deve cambiare città, ricominciare una vita diversa e lontana. Aveva trovato un padre e subito dopo lo ha perso. Ma di un padre così non sa che farsene e neanche di una madre. A caso sistema qualcosa nella valigia. Meglio partire di notte, nessuno deve vederlo. La farà pagare a tutti. Anche a quel Dio a cui aveva affidato una parte della sua vita. Se la riprendeva. Di Lui non gli importava più niente.

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Il diretto da Vicenza si arresta prima delle sette a Lambrate. Una notte sulle poltrone di skai dello scompartimento di seconda classe è quanto è riuscito a permettersi. Lo ha fatto coi pochi spiccioli prelevati dalla scatola di latta sullo scaffale di cucina. L’alba è ormai passata, ma l’aria ha ancora un che di grigio. Un cielo coperto. Ludovico pulisce con la mano i vetri appannati. Dal finestrino vede la piazza sottostante. Il traffico è già fitto. Guarda incuriosito i movimenti a frotte delle persone. Veloci e indaffarate paiono formiche. Le guarda stranito, lo spettacolo non gli è abituale. Percepisce che il mondo che sta affrontando e soprattutto il suo ritmo sono molto diversi da quelli di sempre. A Vicenza la vita inizia verso le 9 non prima, scorre lenta per gustare gli istanti con goduria. Capisce che si troverà meglio che non a casa. Il treno, dopo un piccolo percorso, si arresta definitivamente. Scende in Centrale. Non ha mai messo piede in una città come questa. Subito, appena uscito da quel mausoleo marmoreo, tra le fontane da bocche animalesche, l’occhio gli corre in alto. Un grattacielo altissimo alla sua destra, un altro a centinaia di metri avanti a sé sulla sinistra. I tram gli tagliano la strada, sferragliando. Ha bisogno di una piantina. L’edicolante gli chiede una somma che non possiede. In un ufficio del turismo se ne procura una con un sorriso. Le operatrici turistiche lo guardano molto bendisposte al suo entrare. Alla sua richiesta fanno a gara a offrirgliene una.

È appena mattina, ma deve industriarsi a trovare un luogo dove dormire. Vede sulle panchine o su cartoni, sotto i portici o in piazza, dei barboni ancora avvolti in coperte. Non è la soluzione per lui. Anche se senza un soldo in tasca si industrierà altrimenti. È fortunato.

«Porco d’un can!!»

Un signore anziano con due pesanti valige gli cade davanti ai piedi.

«Lasci la valigia, mi dia la mano, la tiro su io»

Lo solleva mentre quello impreca. Dolente e zoppicante l’altro accetta subito la offerta di Ludovico di aiutarlo a portare una delle sue valige. Incamminandosi gli parla.

«Sto andando da un cliente a presentargli il mio campionario. Meno male che non sono un cristallaio, ma solo un tipografo. La carta non si rompe, ma quanto pesa!»

Viene dalla periferia dove ha bottega.

«Da come parli non sei di qui, tu sei foresto»

La differenza d’età gli fa dare del tu al ragazzo gentile. A sentire che viene da lontano, che è appena arrivato e che vuol provare a guadagnarsi da vivere, si ricorda dei suoi primi passi, molto simili e alquanto ardui.

«Ti dispiace se ci fermiamo in questa latteria? La caviglia mi fa un po’ male. Ci riposiamo un attimo e ci prendiamo qualcosa, offro io, te lo devo.»

Gli paga brioche e caffellatte. Per sé prende un bianchino, che all’altro pare una cosa molto veneta, l’ombra de vin. Il tipografo è un simpatico chiacchierone e continua col suo monologo.

«Son dovuto venire di persona senza l’aiuto del garzone che mi tiene pulita l’officina. Ieri l’ho cacciato via! Una brutta sorpresa, mi sono accorto che quel figlio di buona donna mi fregava carta e inchiostri dal magazzino. Probabilmente li rivendeva, mica poteva mangiarseli! Mi viene un’idea. Vuoi sostituirlo tu? Ti permetterò pure di dormire in bottega, c’è una branda.»

Ludovico gli ha dato l’impressione di un ragazzo onesto e volenteroso. Si fa accompagnare fin davanti all’ufficio del cliente. Lì si lasciano con un appuntamento nel pomeriggio, a ritrovarsi dove si stanno salutando, ringraziandosi a vicenda.

Per qualche mese Ludovico rimane in quel posto. La paga è molto bassa. La situazione è comunque buona per lui perché a sera può scrivere i suoi testi teatrali. Impara a lavorare guardando il suo padrone, evita di usare di notte le macchine stampatrici a suo uso e consumo. Preferisce non farlo.

L’amicizia coi coetanei delle botteghe vicine e col garzone della tipografia gli fa conoscere la città e i suoi quartieri. Vive ora con alcuni ragazzi della sua età in una casa di ringhiera nei pressi dei navigli. Si dividono le spese e si fanno compagnia. Conosce i teatri, quello di Strehler e di Parenti. Va a vedere Dario Fo e Franca Rame. Va sul Naviglio, al Capolinea, a sentire del buon jazz. Gli fanno conoscere il quartiere degli ex bordelli, Brera e Fiorichiari. Trova un ambiente bohémien che lo intriga. Si guadagna da vivere con mille lavoretti.

Fa la maschera alla Scala. Indossa il bel costume nero con la collana d’oro e il pendente sul petto. Belle signore, in mises molto sofisticate, lo guardano con interesse. Fa anche la comparsa o la claque. A Brera lo prendono come modello per la scuola di disegno dal vero e di nudo. Mangia con pittori e scultori e con gli allievi soprattutto, dalle Sorelle Pirovini. Trova un ambiente socievole e aperto. Si mangia in comune su grandi tavoloni di castagno contornati da panche. Si va in cucina a guardare cosa c’è in preparazione e a scegliere, si beve e si dialoga col vicino di tavolo, amico di vecchia data o il conoscente di una sera. Si esce indicando cosa si è preso e pagando. Qualcuno senza soldi salta questa fase finale e esce insalutato ospite. Fa lavoretti privati non all’Accademia ma nell’atelier di qualche artista. Una pittrice lo chiama più insistentemente, poi smette di chiamarlo accorgendosi che non ci sta.

Con una vecchia bici comprata alla Fiera di Senigallia va su e giù per la città. È molto veloce nell’apprendere. Acquisisce le nozioni fondamentali dai ragazzotti che lavorano da elettricista o idraulico o imbianchino. La voce si sparge in un vasto passaparola. Comincia ad avere troppe richieste. La conoscenza si allarga all’elettronica, alla radiotecnica. Pensare che all’inizio era andato anche a scaricare i camion ai mercati generali.

Decide di riservare del tempo per se stesso. Fa parte di una filodrammatica col disgusto di dover frequentare ambienti clericali. I preti infatti usano il teatro per attrarre i ragazzi così come usano il calcio balilla e il ping pong per i più piccoli nell’oratorio. Altra sua grande passione è lo sport. Come Fausto Coppi, la bici è uno strumento di lavoro anche per lui. Con gli amici frequenta le forre nei campi per farsi qualche nuotata nell’acqua gelida. La migliore è la Tri Basei a San Siro. Di domenica si tuffano nel Ticino presso Vigevano. Ora con qualche soldo da spendere, va alla Cozzi, la piscina di Viale Tunisia, a nuotare e imparare a eseguire i tuffi. Nel cortile di casa, con vecchi assali di camion e piatti metallici, lui e gli amici si sono costruiti degli attrezzi di pesistica. Con delle panche trasformano un magazzino abbandonato in una specie di palestra. Dopo un po’ di esercizi si meraviglia nel guardarsi allo specchio. Pettorali, deltoidi, bicipiti, dorsali, addominali scolpiti come tartarughe, fanno mostra di sé sul suo corpo. E non gli dispiace.

Uno dei suoi amici frequenta la Canottieri Milano, la più antica delle associazioni sportive in città. Un giorno lo porta con sé al Cimento Invernale. I più coraggiosi si tuffano nel Naviglio ghiacciato. Poi lo invita negli spogliatoi a farsi una doccia calda. Una brutta sorpresa che Ludovico trasforma in una sua grande opportunità. L’impianto, proprio in un momento così critico, dà forfait. I soci nudi e infreddoliti cominciano a imprecare contro la ditta di manutenzione.

«Uè, chi l’è quel bamba che fa la manutension! Portemel chi, ghe fo un…»

Ludovico, si fa avanti.

«Ghe pensi mi» dice arrischiandosi con le prime frasi di meneghino. Forte delle sue conoscenze di impianti idraulici riesce a far ripartire la caldaia. Viene applaudito da tutti. Il vicepresidente, uno degli infreddoliti temerari,gli fa una proposta.

«Una tessera gratis, contro il controllo dei servizi.»

Ludovico accetta con entusiasmo. Inizia a conoscere il circolo in ogni angolo e a frequentarlo con entusiasmo. Nuota in piscina e l’allenatore lo nota, gli cronometra qualche vasca e lo mette subito in squadra. La palestra è fornita dimacchinari fantastici. Pratica anche tuffi e pallanuoto In questo presto sbalordisce l’allenatore. Lo spediscono in trasferta a Como, a Lecco, e anche in Riviera, a Recco e Bogliasco. Ne torna con ori e argenti, raramente con bronzi, mai a mani vuote. Il suo nome appare sempre più spesso sul palmarès esposto nel corridoio degli spogliatoi e in sala giochi. Ci sono anche le sue foto sul podio con un fisico sempre più armonioso e forte che spicca nel costume olimpionico, lo slip nero con i colori del Club. Molte signore lo vogliono compagno di tavolo al bridge o allo scopone, ma lui le schiva. Altre signore che conosce in palestra gli chiedono compagnia. Ma le medaglie non fanno mangiare. I soci, che conoscono le sue abilità, gli chiedono lavori privati a casa loro. Lui cede sia per il guadagno, sia per coltivare amicizie. Entra in contatto con Laura, una donna problematica. Aveva fatto il ’68, le occupazioni scolastiche, portato gli eskimo, le gonne lunghe e larghe, i fiori nei capelli. Aveva vissuto qualche mese in una comune, con trip psichedelici su miseri giacigli. Aveva partecipato alle manifestazioni femministe. Aveva avuto molti corteggiatori ma aveva deciso che lei era speciale, doveva sfruttare quel suo fascino e farsi una posizione, sentiva di meritarla.

La sua estrazione piccolo borghese le andava stretta, non era adatta a quella Laura che sentiva di essere. Divenne un puntiglio, un’ambizione, una nota di orgoglio, doveva vincere sugli altri. L’occasione l’ebbe nell’incontrare Alfredo, il cummenda come lo chiamavano e si lasciava chiamare. Andò a prendere in ufficio una sua vecchia amica, era la segretaria di Alfredo che, come tante altre, aveva ceduto alle sue avances per il posto e per la paga molto buona. Era per lui una tra le tante e come tutte anche lei lo disprezzava. A differenza della sua amica e delle altre, Laura era appariscente e disinteressata. Alfredo se la fece presentare, l’invitò un paio di volte, ma Laura era diversa, non gli cedette. Quando diventò la Signora del Cummenda non ebbe una vita sessuale soddisfacente. A lei non interessava, non aveva mai messo in conto questo aspetto.

Come moglie di Alfredo era divenuta la Presidentessa del club di cui lui era il massimo responsabile, la Canottieri Milano. Assisteva suo marito. Quando fu convocato il Campionato Nazionale di Canottaggio, arrivarono gli armi da tutta Italia. Nello specchio d’acqua dell’Idroscalo si facevano ottime gare e tempi eccezionali. Alle competizioni Laura aveva dovuto assistere dal palco d’onore col Vice sindaco e l’Assessore allo Sport. Ne aveva approfittato per analizzare tutti gli equipaggi in particolare quelli dell’Otto con. Gli occhi di Laura non riuscivano a staccarsi dalle spalle e dalle cosce del capovoga dell’armo del suo Club. Quanto erano armoniosi e affusolati quei muscoli avrebbe detto eleganti col suo senso estetico. Si diceva che la canottiera bianca del giovane, col simbolo ovale nero e rosso, griffe del suo Club, non era altrettanto bella, ma quanto miglior contenuto tratteneva! Si contenne e respinse il desiderio di guardare più in giù. Ludovico, il capovoga, vinse anche quella volta, trainando col suo esempio, e il suo serrate finale il suo armo. Perciò salì con gli altri sul podio per farsi premiare. Quella medaglia d’oro fu galeotta. Laura, dopo avergli dedicato attenzione durante la gara, si trovò davanti il giovane a pochi centimetri Gli mise una mano sulla spalla per arrivare alla sua altezza, sentì la tensione dei suoi bicipiti e voleva accarezzarglieli. Si trattenne. Potè invece sentire bene i suoi pettorali nell’adagiargli sopra la medaglia e nel sistemargli e distendere il nastrino che si stava attorcigliando. Quel tocco generò una vibrazione anche in Ludovico.

Laura si disse che quel ragazzo meritava un premio più interessante dal Club. Ci avrebbe pensato lei.

Dopo di allora Ludovico se la trovò spesso vicina nel suo girovagare nel Circolo: accanto al bordo della piscina quando lui si allenava, o sotto al trampolino, addirittura negli impianti che lui accudiva. Il costume olimpionico femminile con lo stemma del circolo la inguainava con bell’effetto. Per caso si trovava a passare di lì chissà perché. Gli diceva che s’era persa. In palestra la sua tuta aderente pareva una seconda pelle, la sua maglietta bianca con lo stemma non nascondeva, né forse voleva farlo, l’assenza del reggiseno e la provocatoria protuberanza dei suoi grossi capezzoli.

Poi Laura prese l’iniziativa. In un weekend in cui Alfredo si era inventato un impegno lontano da Milano, fece in modo di portarsi Ludovico a casa. Gli chiese, vista la sua notoria abilità di meccanico, se volesse dare un’occhiata alla cyclette domestica che non funzionava più. Aveva infatti chiesto al suo domestico filippino di sfilare la cinghia di trasmissione nascosta sotto il carter. Con uno sguardo autoritario aveva spento ogni domanda dell’altro sulla strana manovra.

Ludovico passò di sera secondo le sue indicazioni. Alla servitù Laura aveva dato libertà per quella sera. Presto furono soli.

Al risveglio del mattino non ci furono parole superflue tra loro. Né sarebbe stato facile o di buon gusto parlarne. Per entrambi l’esperienza passata avrebbe avuto un solo aggettivo per descriverla: indicibile. Entrambi ne fecero un bilancio nel proprio intimo.

Ludovico aveva scoperto un lato dell’esistenza da cui si era voluto tener lontano. Prima, da ragazzo, spinto dalla vocazione mistica, più tardi semplicemente per il senso del peccato. Anche se si era allontanato dalla chiesa non aveva rotto completamente con tutti quei vincoli. Fino ad allora fornicazione e adulterio li aveva esecrati.

Ora tutto pareva svanito con l’alba di quella mattina. Nello specchio vide un altro Ludovico. Si sentiva cambiato, superiore a quei giudizi, a quei dettami. Altro che morale. Seguirla ancora gli avrebbe tolto una metà dell’esistenza, forse una delle più importanti da vivere. La comunione dei corpi gli era apparsa tutt’altro che esecrabile. Che folle che era stato finora. Si sentiva destinatario di un dono dal Creatore. Un corpo che mai gli era parso così dotato, votato al piacere fisico e al dono di sé all’altra metà del mondo.

Laura, molto più esperta del ragazzo in quel campo, aveva trovato in quella notte qualcosa cui mirava da tempo. Una soddisfazione mai provata, completa, di quella sua innata sensualità. Si sentiva languida e spossata in quell’alba in cui giaceva con a fianco un corpo ancora desiderabile. Di solito dopo non vedeva l’ora di allontanarsi. Stavolta no. Era perciò preoccupata. E molto. Sarebbe stato troppo facile indulgere in questa comunione sentimentale oltre che fisica, con quell’essere che le giaceva accanto. Vedeva profilarsi un percorso che aveva visto o sentito narrare dalle mille amiche con cui si confidava. Donne che avevano tutto, avevano deciso di lasciare questo “tutto” per una passione improvvisa.

No, Laura. Non a te! Ciò non deve e non può capitare. Doveva assolutamente evitare le conseguenze classiche di un innamoramento. Esclusività e gelosia mai!

Avrebbe potuto continuare a ripetere esperienze estatiche come quella, solo se riusciva a vincersi.

Si, questo Ludovico pareva speciale, lo guardava addormentato e rilassato. Bello come un dio o come l’uomo michelangiolesco cui il Dio vero, col tocco di un dito, infonde la vita.

Lo avrebbe conservato per sé solo se lo avesse donato ad altre. Sarebbe stato il progetto da perseguire.

Avrebbe cominciato con Wanda la sua amica di sempre. Era certa che quando avesse provato a raccontarle “l’indicibile”, con tutti i particolari che sarebbe riuscita ad evocare di quella notte d’amore, anche non volendo, sarebbe stato difficile impedirle qualcosa.

Lo avrebbe curato, vezzeggiato, per averlo a sua disposizione. Gli avrebbe anche chiarito che il loro sarebbe stato un rapporto di grande amicizia, senza complicazioni del cuore. Quasi un rapporto d’affari, che dura solo se entrambi i soci hanno la loro convenienza.

 

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Intanto in Sicilia…

La serata si è conclusa meglio di come pensava. Aveva capito che Fabio era un tipo che ci sapeva fare. E lei di uomini se ne intendeva. Il sesso lo aveva scoperto al liceo, non ancora maggiorenne. Aveva perso la verginità con un suo compagno di scuola, complice una festa di compleanno a casa di un altro ragazzo i cui genitori, per quella sera, avevano lasciato la casa. Era completamente ubriaca ma sapeva fin dal primo momento che ci sarebbe andata a letto e che finalmente si sarebbe tolta quell’inutile fardello, l’importante era non rimanere incinta.

Giulia è al corrente che i ragazzi che frequenta, prima di arrivare a far parte della cerchia dei suoi amici, sono stati selezionati da suo padre. Fingeperò di non sapere.

” In fondo papà non chiede molto. È tutto più facile, non c’è bisogno di cercare lontano”.

Quasi un gioco tra lei e suo padre. Entrambi sanno che l’altro sa. Crede di essere furbo Don Calogero Spatuzza e di avere messo un freno a quella figlia tanto amata. Ricco imprenditore agricolo, è l’uomo più rispettato e temuto di tutta la Sicilia, ma non da sua figlia. Ha capito ormai da tempo, che la ragazza non passa inosservata. Bisognerebbe chiudere gli occhi a tutti. Bella è bella, anche troppo. Fa venire i brividi, così li chiama, brividi. Non vuole ammettere neppure con se stesso che di cattivi pensieri, quando passa per le strade di Palermo, quella ragazza ne fa venire tanti.

 

È arrivato il momento di chiudere la porta e di salutare. Dopo l’amore c’è il bisogno di lasciarsi andare, di passare alle confidenze. Intimità da innamorati. La parte che Giulia nonamava, il dopo. Si riveste lentamente per sentire lo sguardo di Fabio che la segue nel suo andare avanti e indietro dal bagno. Le piace essere al centro dell’attenzione, le dà un senso di godimento completo e sa che in quei momenti può permettersi tutto quello che vuole. Si muove in modo provocatorio mettendo in mostra il suo corpo mentre Fabio, in un ultimo tentativo pertrattenerla, la stringe delicatamente per la vita

«Dimmi almeno quando ci rivedremo.»

«Non lo so, non me lo chiedere.»

E intanto pensa che a casa deve affrontare il padre. Non è preoccupata, sa benissimo che come al solito riuscirà a ottenere tutto quello che vuole.

Quando raggiunge l’automobile parcheggiata sotto l’abitazione di Fabio, sta per iniziare un nuovo giorno. Avrebbe fatto colazione col papà. Lui al mattino esce presto ma, non vedendola tornare, probabilmente la starà aspettando.

Le piace guidare a quest’ora. Quando le strade sono ancora deserte. Poche le persone che circolano. La mente intanto divaga senza preoccuparsi dell’assillo del traffico.

È una bella giornata come ce ne sono spesso a Palermo. Si scorge il sole che sta spuntando all’orizzonte. Tra qualche ora sarà giorno pieno.

«Devo chiudere questa fase della mia vita e affrontarne una nuova. Cambiare città, anche se è difficile da ottenere. Se resto a Palermo devo frequentare le persone che ho frequentato finora, vivere ancora in casa con i miei genitori, non poter contare solo su me stessa. Tutto questo mi pesa. Il mio domani non è a Palermo ma in qualchealtra parte del mondo. Devo andare al nord, il più distante possibile. Scrivere mi piace, ma non quei raccontini su cui mi sono cimentata fino ad ora. Qualcosa di importante, qualcosa che mi permetta di essere conosciuta per quella che sono, non come la figlia di Don Calogero.

Intanto è arrivata e come aveva immaginato la luce è accesa.

«Papà sono qui, sono rientrata!»

«Ciao Giulia.»

«Mamma ma cosa fai qui, è successo qualcosa?»

«No niente, papà è andato nella tenuta in campagna, ti aspetta là. Sai come è tuo padre. Si è alzato con la voglia di fare una cavalcata e non ha saputo resistere e aspettarti.»

«Mi faccio una doccia e mi rimetto in macchina, meno male che la tenuta non è molto distante. Vieni anche tu?»

«No, io cosa faccio con voi, non so cavalcare e poi è meglio che gli parli da sola. Tu e lui, come quando eri bambina.»

Dieci minuti dopo Giulia esce dalla porta della sua abitazione. Va incontro al suo futuro.

Nella tenuta degli Spatuzza la giornata è già iniziata con il solito fermento.

«Alfio, Alfio figlio mio svegliati, sta arrivando Don Calogero e, se non trova pronto il suo cavallo, a schifio finisce.»

Come una fionda Alfio, il figlio del massaro della tenuta, si alza dal letto e rapidamente si reca nelle scuderie. Con la solita energia striglia, con la brusca di saggina, il manto morello del cavallo. Lo barda con la più bella sella che il padrone ha a disposizione nelle stalle, quella che lo fa sentire onnipotente. Il cavallo è pronto proprio mentre Don Calogero appare sull’entrata avvolto dal sole che inizia a fare capolino, sono le sei circa di un mattino d’estate. Lo vede avanzare nel corridoio verso la postazione e, stranamente, l’incedere non è imperioso e determinato ma lento, molto lento.

«Alfio, prepara anche il cavallo di mia figghia Giulia, arriva fra poco, abbiamo voglia di fare una cavalcata insieme questa mattina, mi hai capito? E fallo in fretta, non vogliamo prendere il sole quando è caldo.»

«Certamente, provvedo subito Don Calogero.»

 

La cavalcata dura alcuni chilometri, intervallati da brevi soste a vari ruscelli di acqua fresca e limpida in mezzo a distese di praterie immense e nello stesso tempo brulle, ormai bruciate dal sole cocente.

Giulia, mentre cavalca a fianco di suo padre, pensa a quello che ha deciso di riferirgli, cercando le parole per ferirlo il meno possibile. Si, perché lei ama suo padre e lo stima come nessun altro, è il suo idolo senza nessun paragone. Compie una rapida carrellata della sua vita e nello specifico ripensa alle sue avventure amorose spesso durate una sola notte, tanto per non annoiarsi.

Forse proprio la frustrazione la porta a giustificare i suoi momenti di follia amorosa fatta solo ed esclusivamente di sesso sfrenato senza inibizioni e riguardo per nessuno, con sfrontatezza e senza veli di sorta.

Ripensarci non le reca alcun fastidio, anzi le sembra di liberarsi mentre al vento della cavalcata avanza verso il mare, quel mare che anche lei, come suo padre, ama tantissimo. Già pregusta la sosta sulla loro spiaggia privata, sotto il portico del capanno che suo padre aveva fatto costruire alcuni anni prima, attrezzandolo di tutto punto. Già, suo padre che le cavalca a fianco senza pronunciare alcuna parola, la guarda di straforo, immedesimandosi nei pensieri della figlia, la conosce molto bene per non capire cosa la tormenta. Anche quel giorno ha capito benissimo che la sua Giulia gli avrebbe aperto il suo cuore, lo aveva intuito quando la sera prima gli aveva chiesto di accompagnarlo nella galoppata mattutina. Ė in attesa, sa che il momento giungerà presto, probabilmente sotto il portico seduti sulla veranda.

Un ultimo sforzo dei cavalli ed eccoli a destinazione.

Giulia, dopo essersi accomodata nella poltrona, guarda suo padre cercando di coglierne l’umore: sembra disponibile ad ascoltarla.

«Papà, ho bisogno di parlarti molto francamente quello che ho da dirti non credo ti farà piacere, prima di arrabbiarti, cerca di ascoltarmi e comprendere le mie ragioni, dopo potrai dirmi le tue. Ho deciso di lasciare la tenuta e l’isola, vado nel continente e precisamente vorrei andare a Milano. Qui io mi sento soffocare. Voglio vivere la vita che ho sognato e che vorrei toccare con mano, senza rimpianti. In cuor mio voglio vedere se riesco, solo ed esclusivamente con le mie capacità, a realizzare qualcosa di tangibile, di cui possa essere fiera e orgogliosa. Qui purtroppo è tutta aria fritta, qualsiasi cosa è già stabilita, anche le amicizie che tu sapientemente ti industri a procurarmi, gente selezionata e di rispetto secondo te ma che a me non dice nulla,che anzi mi dà un fastidio immenso. Ho la necessità di volare libera, in cerca di cosa non lo so ancora ma certamente, con le mie intuizioni, troverò un’ancora di salvezza, uno scoglio, come quello che domina nella rada, semimmerso nell’acqua e coperto dalle alghe che colle alte maree si moltiplicano abbarbicandosi verso la sommità.

Ti chiedo di concedermi questa opportunità senza interferenze, sperando in una tua benedizione di padre benevolo e comprensivo.»

Don Calogero l’ascolta senza battere ciglio e con un gesto della mano fa intendere di volere un attimo di tempo per assorbirela tremenda rivelazione della sua amata Giulia. Ė una batosta che sinceramente non si aspettava, è la prima volta in vita sua che le sue intuizioni si sono rivelate sbagliate.

“Ma come, mia figghia che lascia il suo regno dorato per andare chissà dove e per giunta non lo sa nemmeno lei cosa andrà a fare. Ma in che mondo viviamo, questo significa sputare nel piatto in cui si mangia, la mia figghia che ci lascia per inseguire i sogni ma non ha ancora capito che nella vita i sogni non saziano, arrecano solo danni agli uomini e alle cose. Non è possibile, non può essere che ci abbandona.”

La sua parte intransigente prende forma sul viso di lui, divenuto rugoso e imperscrutabile, tanto da sembrare una maschera grottesca.

Ma è solo un attimo.

Subito dopo Don Calogero si rasserena, giungendo alla conclusione che in fin dei conti Giulia è maggiorenne e responsabile. Non sarà lui a ostacolare i suoi sacrosanti sogni, no, non l’avrebbe mai fatto, anche se tutto va a cozzare contro quanto aveva ormai predisposto per sua figlia. Il suo sogno è vederla sposata col figlio di un proprietario terriero che, guarda caso confina, con i suoi sterminati possedimenti. Sarebbe stato il colpo del secolo, probabilmente avrebbe creato la più grande tenuta della Sicilia. Con rincrescimento accantona il progetto, avrebbe provveduto in altro modo. Con un sorriso inizialmente forzoso finalmente le risponde.

«Cara Giulia, i miei sentimenti di padre non dovrebbero permetterti di allontanarti nemmeno di un centimetro da casa, lo sai che io e tua madre ti adoriamo e per giunta sei la nostra unica figghia. Ma se tentiamo di ostacolarti sappiamo già che troverai altre alternative fino a quando saremo costretti a lasciarti andare. Testarda come sei non ci vuole tanto a capirlo. A malincuore devo purtroppo acconsentire ma a patto che tu ci metta al corrente giorno dopo giorno di quel che farai, vogliamo starti vicino.»

Giulia, sorpresa, abbraccia suo padre felice al pensiero di non aver creato un conflitto familiare insanabile.

 

Parcheggia la Mercedes lungo il Naviglio. Meno maleche era l’altro naviglio, non quello con l’alzaia della Canottieri, poco dopo San Cristoforo. Bravo Ludovico, la scelta della sua casa di ringhiera è stata oculata. Entra nel cortile. Si era fatta spiegare da un Ludovico, poco loquace a dire il vero, dove abitasse. Vuole fargli una sorpresa. Entra nell’ampio cortile, vede i tre piani col ballatoio a ringhiera, il bugigattolo del camerino comune, lì nel fondo, a ogni piano. Imbocca la scala e sale al terzo piano. Controlla le etichette molto fai-da-te con i nomi degli occupanti. Tra i vari cognomi trova quello di Ludovico Astesani. Bussa. Un ragazzotto, aperta la porta, rimane con tanto d’occhi, un po’ sbavando.

«Vorrei parlare con Ludovico, ho da chiedergli un favore.»

«Purtroppo al momento non c’è ma non dovrebbe mancare per molto. Prego signora, si accomodi. Sono un suo amico. Posso fare qualcosa con lei? Pardon, volevo dire per lei. Le offro una birra?»

«No grazie, ma mi seggo un momento, aspetto cinque minuti, poi vado. Ho una certa urgenza.»

Il ragazzo intanto si dà da fare per liberare un posto sul divano letto.

Il tavolo non è ancorastato sparecchiato dall’ultimo pasto. Altre brande alquanto in disordine si trovano contro le pareti.

Laura guarda e si meraviglia.

 

Si rividero presto. Non nella casa sul Naviglio. In via Cerva, in centro, dove Laura gli aveva acquistato addirittura un monolocale, un pied à terre.

La situazione sul piano fisico non cambiò, se non forse in meglio per la conoscenza reciproca che tolse quegli imbarazzi della prima volta, a dire il vero non fastidiosi, che avevano accentuato il gusto della scoperta.

Ma parlarono, questa volta. Laura fece capire che l’averlo conosciuto le aveva fatto un gran bene. Ma non era innamorata di lui, né voleva che lui potesse cadere in un viluppo di tipo sentimentale.

Ludovico ne fu contento. Aveva provato un gran piacere, una gioia a rivederla. Ma non voleva cambiare troppo la sua vita, gli piaceva com’era, le disse.

«Sarò felice di farti da amico, quando avrai bisogno di compagnia chiamami. Mi renderò libero.»

La loro storia continuò ma con qualche variazione. Lei lo portò dal miglior sarto di Milano, lo aiutò a scegliere abiti eleganti, il suo gusto era eccellente. E poi da Bardelli acquistò per lui pulloverini di cachemire, foulard di seta, un blazer. E scarpe di Ferragamo o Testoni. Così poteva usarlo da accompagnatore fuori dal Circolo, per qualche tè da Cova o per qualche film appena uscito, oppure per una cenetta. Diventarono una coppia di amici, bella a vedersi. Poi lo presentò ad alcune sue amiche.

Quando queste lo invitarono a loro volta e Laura si accorse che Ludovico faceva il misterioso, gli sbottò contro:

«Non farmi l’Alfredo, non ne hai bisogno. Sei solo un amico, un caro amico, hai tutta la libertà che vuoi. Non sono gelosa di te, al più orgogliosa di averti scoperto.»

Non gli disse che lo considerava una gran bella bestia, un animale da monta e da letto. Queste erano cose che diceva a se stessa, non appena le pareva di attaccarsi troppo a lui. Per l’età avrebbe potuto fargli da madre. Si disse che pensare ciò poteva accentuarle, col fascino del proibito,quel piacere un tantinello edipico.

 

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Ludovico presto dovette imparare un mestiere tutto nuovo, che gli toglieva il tempo per altri tanti lavori a cui si era preparato per vivere. Ma quanto più piacevole questo.

Aveva messo a nudo un lato nascosto di se stesso. Solo ora stava scoprendo questa sua straordinaria capacità. Divenne un’abitudine, quasi una dipendenza. Se Laura o altre non lo chiamavano, si sentiva a disagio. E il fatto di essere dotato e portato per fare l’amore, era uno dei complimenti più frequenti che riceveva. Glielo facevano capire le più reticenti, col chiamarlo mille volte.

All’inizio dava tutto se stesso, godeva insieme alla partner. Ma i rapporti in una notte potevano essere tanti.Così infatti esigevano le sue accompagnatrici che gli richiedevano numerose prestazioni perché pareva loro dovuto. Al mattino gli lasciavano un regalino sul comodino dell’albergo.

Come in altre materie, si preparò. Andò alla Sormani.

«Scusi» aveva detto alla funzionaria alle consegne «ho saputo che sono arrivati saggi in fisiologia sessuale.»

Lei gli consigliò i testi di Kinsey e poi di Masters & Johnson, “Sexual response in the human male” e “Sexual response in the human female”,che mettevano finalmente in piazza segreti mai noti in campo sessuale. Con i test fisici su molte coppie registrate e monitorate nei vari elementi corporei durante l’atto sessuale, una fisiologia sconosciuta venne alla luce. Il perbenismo italiano non aveva permesso ancora la pubblicazione e traduzione di questi testi, ma lui conosceva l’inglese a meraviglia.

Non solo a tavolino Ludovico si documentava. Le donne con cui si accompagnava erano diventate una moltitudine, grazie al passaparola. Spesso, oltre al rapporto, volevano un ascoltatore. Principalmente delle loro confidenze sulle difficoltà esistenziali e della vera solitudine intellettuale in cui vivevano. Malo apprezzavano anche per le sensazioni che lui era capace di procurare, con dettagli e indicazioni.

Ebbe una strana e non comune opportunità. Una delle sue compagne di una sera,”potremmo chiamarle clienti, no?” volle provare una cosa perversa. Si portò dietro Danielle una entreneuse lesbica che aveva conosciuto in uno strano locale.

Fu un rapporto a tre cui Ludovico non si sottrasse. E scoprì in Danielle una vera maestra.

Solo una donna poteva conoscere a fondo i punti nevralgici dell’erotismo femminile. Quella conoscenza costituì per lui la base della mezz’ora di preliminari, necessario antefatto di ogni buon rapporto.

In più, da solo, aveva imparato le metodiche di ritardo programmato. Erano tecniche che doveva applicare a sua difesa e per una cottura a fuoco lento della partner. Era divenuto uno squillo di lusso.

Divenne ricco. Pur non chiedendo quasi mai una mercede, erano le donne a proporla. Notava la differenza tra le manager, le ricche, le giovani contro le casalinghe, le più anziane, le commesse o impiegatucce. Conobbe come pochi l’elemento femminile nella sua varietà. Sentiva di doverlo a Laura che lo aveva iniziato. Non le praticò mai sconti, ma, nell’incontro,le donava il massimo di sé.

Ludovico era già soddisfatto del suo tenore di vita dal punto di vista economico e non immaginava certo di dover ampliare il suo raggio di azione, ma la migliore amica di Laura, Wanda, a seguito di un improvviso tracollo finanziario del marito, gli offrì nuove opportunità,sollevandolo dagli aspetti venali di quel mestiere.

Finora Wanda, nei suoi rapporti con Ludovico, aveva pensato solo alla sua soddisfazione personale. Ora invece, non potendosi più permettere la vita agiata di prima e i regali costosi per lui, le venne un’idea geniale e concluse un incontro dicendogli «Caro Ludovico, io penso che tu debba sfruttare al meglio le tue competenze amatoriali, in un contesto diverso e non solo alla Canottieri Milano. Tu puoi ottenere molto, ma molto di più! Io ho ancora un giro di amiche molto ricche che non ti conoscono. Ti posso fissare io gli appuntamenti, fidati di me, ti metterò a disposizione una casa confortevole e lussuosa.»

Ludovico, sgranando gli occhi per lo stupore, esclamò:

«Ma io sono contento così.»

E di rimando Wanda:

«Non ti sottovalutare, devi esser più ambizioso, lascia fare a me, fidati e basta.»

Il ragazzo accettò.

Per Ludovico si aprì un mondo nuovo. Agli incontri occasionali conle amiche delle amiche, un passa parola, quasi il Bel Ami descritto da Guy de Maupassant, ora subentrò una vera e propria professione, quella del Gigolò. Wanda passò invece da signora della buona borghesia a maitresse.

 

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Dopo la partenza di Giulia per Milano la vita nella tenuta è ripresa, anche se lentamente e con fatica. Il motto in latino, che troneggia sulla enorme cancellata della tenuta, “Facta non verba” (“Fatti non parole”) è stato comunque soddisfatto. Senza la presenza della figlia, il morale di Donna Consilia è però pericolosamente alla deriva, con il pensiero costantemente rivolto a Milano nel tentativo di indovinare quale vita realmentela ragazza potesse condurre.

Don Calogero cerca di stare vicino alla moglie, creando artificialmente problemi tanto per tenerla occupata nella gestione aziendale. Presto però si accorge che i suoi sforzi sono vani, non producono alcuna emozione nella donna se non un ulteriore fastidio e apatia.

L’unica soluzione è di parlare con Giulia costantemente anche con diverse chiamate al giorno.

A Giulia non rimane che assecondare la sua famiglia raccontando tutto quello che le succede, è rassegnata e consapevole di aver creato una situazione difficile. I primi mesi riferisce loro la normalità degli avvenimenti, fin quando si decide di metterli al corrente dell’inizio di una relazione con un giovane, col quale diceva di stare molto bene: avrebbe inviato, appena possibile, una foto di entrambi abbracciati.

Racconta loro l’incontro avuto con Ludovico fin nei minimi particolari, ricostruendo passo dopo passo gli avvenimenti successi.

 

«Buongiorno Signora Flora, ho controllato l’impaginazione del testo, non mi convince molto. Vorrei una copertina con caratteri più evidenti, parliamone subito per favore, non ho molto tempo!»

«Oh, signor Ludovico, ma te se semper ciapà ma perché te ghè semper sta pressa? Cià su ndemm, famm vedé la robba li!»

La Signora Flora, titolare della piccola copisteria lungo la Ripa di Porta Ticinese a Milano, prende stizzita i fogli che Ludovico le porge e li fa passare uno a uno. Controllano insieme i caratteri di stampa, l’impaginazione, la prima di copertina in cui appare il nome di Ludovico tra gli autori del testo teatrale.

Avendo ormai esperienza nel trattare questi giovani talenti, Flora esclama:

«Dai Ludovico, qui ingrandiamo il carattere del titolo e subito sotto a destra il nome degli autori, sennò a te ti viene lo scciùpun, se non ti vedi subito bell’ingrande! Lo so come siete voi giovani, tutti uguali, volete essere considerati subito dei geni!»

«Ma che cosa dice Signora Flora, è che sono affezionato a quello che scrivo e mi piace far bella figura, anche perché devo portarli sulla scena questi testi!»

Flora e Ludovico controllano il testo tra battibecchi, battute in dialetto e repliche del ragazzo, concordano finalmente il prezzo finale della stampa e la tiratura del numero di copie.

Ludovico con fare scherzoso, quasi con affetto, si sporge oltre il bancone della copisteria e stampa un grosso bacio sulla guancia destra della Signora Flora e senza neanche darle il tempo di dire qualcosa, si fionda verso l’uscita.

Investe, con forza, quasi travolgendola, una ragazza che sta entrando in quel momento. Lei perde l’equilibrio e urta con il braccio destro lo spigolo della porta procurandosi una abrasione con ematoma.

«Ma insomma che modi, che maleducato! Quasi mi frattura un braccio!»

Ludovico, prendendola dietro le spalle per aiutarla a stare in equilibrio:

«Sono mortificato davvero, signorina, posso vedere il braccio, l’accompagno alla Guardia Medica, è qui vicino. Non so proprio come farmi perdonare! Mi presento, sono Ludovico Astesani, a sua disposizione.»

«Io sono Giulia Spatuzza, da poco tempo a Milano, ho notato che qui avete tutti premura, ma dove correte sempre così?»

Sorridendo Ludovico osserva attentamente la ragazza, è bellissima, uno splendore: bionda con sfumature tendenti al rosso, occhi verdi, alta quasi 1,70 con la pelle chiara e qualche lentiggine sul viso. Discenderà dai Normanni pensa tra sé Ludovico! Si sente frastornato ed emozionato allo stesso tempo, per la prima volta ha provato un fremito diverso quando le ha cinto le spalle per aiutarla ad alzarsi, quasi un desiderio irrefrenabile di stringerla a sé.

Proprio lui che usa le donne per condurre una vita agiata, che passa da un talamo all’altro con assoluta indifferenza, ha provato questa sensazione nuova. Decide che non deve farsela scappare e dice tra il sornione e il serio

«Diamoci del tu, ti aspetto. Quando termini in copisteria ti accompagno fino a casa, non vorrei che tu ti sentissi male dopo l’infortunio.»

Giulia accetta di buon grado, ricambia il tu confidenziale. Anche lei ha notato lo splendido ragazzo che ha di fronte, atletico, pettorali scolpiti, spalle ben proporzionate: il colpo di fulmine tra i due è scoccato!

Ludovico l’accompagna fino al portone, una casa della vecchia Milano lungo i Navigli, Vicolo dei Lavandai, molto romantico e bohemien, la lascia sotto casa e le chiede se può venire a trovarla il giorno dopo per vedere se ha bisogno di qualcosa.

Giulia acconsente. Il gioco della seduzione tra i due è cominciato. Con la scusa del braccio si vedono, si parlano, si raccontano parzialmente le loro vite di adolescenti nelle città di origine.

Ludovico non accenna minimamente ai trascorsi tra sua madre e don Giuseppe e Giulia tralascia di raccontare troppo della sua famiglia siciliana e soprattutto delle sue esperienze amorose con ragazzi da una serata e via.

Lei sente che con Ludovico è un’altra cosa, incominciano a frequentarsi sempre di più, Ludovico accenna a qualche abbraccio, qualche bacio sulla guancia, ma nulla di più. Proprio per lui, che è un “amante di professione”, sembra quasi che questo rapporto debba rimanere platonico.

 

Giulia non dice nulla, anzi apprezza e si lega sempre di più a Ludovico. Scrive lunghe lettere a sua madre in Sicilia parlandole di lui, le invia la foto di quel bel ragazzo di cui si è innamorata e le chiede consigli su come comportarsi con lui.

L’attenzione di Donna Consilia punta immediatamente sul ragazzo, vuole sapere al più presto chi è quel bel giovane sorridente e incollato a sua figlia, che la fissa con occhi sereni e forse languidi. In poco tempo viene a sapere lasua città di origine, Vicenza. Un tuffo al cuore le arriva quasi violento, Vicenza è la sede della parrocchia di suo cognato, Don Giuseppe. Si precipita da suo marito che rimane altrettanto stupito. Don Calogero però vuole vederci chiaro. Un esperto investigatore privato fa al caso suo.

L’apprensione non si placa fino all’arrivo delle notizie che non risparmiano alcun dettaglio sulla vita milanese del pretendente della figlia. Per Don Calogero tutto sommato queste potevano essere considerate positive, specialmente dal punto di vista sessuale. In fin dei conti i suoi trascorsi potevano essere sovrapposti a quelli del giovane ritratto con sua figlia. Infatti lui, da giovane, non aveva tralasciato nulla, aveva arraffato tutto quello che poteva essergli utile. Gli vengono in mente gli avvenimenti più importanti e tutte le avventure avute, le fughe precipitose per non essere beccato e anche quei momenti in cui, per mancanza di soldi, era costretto a chiederli alle sue amanti. Non si vergogna a ripensare a questi avvenimenti, specialmentea quando dovette tornare nelle sue terre. Sì, perché quelle avventure le aveva vissute al nord, in prevalenza nelle Langhe piemontesi dove, tra una avventura e l’altra, era riuscito a carpire i segreti di una vinificazione molto particolare.

Tornato, era riuscito a inserirsi nella tenuta attualmente di sua proprietà, che a quei tempi era di un signore molto anziano, senza discendenti e che aveva visto in lui la sua continuità. Era stato fortunato, si era trovato al momento giusto al posto giusto.

«Calogero, a cosa stai pensando?»

Ė sua moglie a svegliarlo dal suo torpore.

«A nulla cara, ho rivissuto la mia gioventù, scusa mi sono fatto prendere dai vecchi ricordi. Adesso cerchiamo di mettere a punto la situazione. Forse ci rimane solo una cosa da fare, andare a Vicenza da mio fratello. Sai, i preti hanno forse informazioni più ricche. Domani prenderò un aereo per Verona.»

Detto fatto. Il giorno successivo si trovò al cospetto del fratello prete che, ignaro dell’argomento, gliene chiese meravigliato il motivo, avendo intuito che l’arrivo era voluto e non casuale.

«Sono venuto personalmente per mostrarti la foto di un giovane attualmente legato a Giulia, forse è tuo parrocchiano, vorrei sapere se riesci a dirmi qualcosa in più, ecco ora te la mostro.»

Estratta la foto dalla busta che ha in mano, la porge a suo fratello.

Don Giuseppe sbianca in viso. Diavolo, è Ludovico, il suo amato pupillo. Che situazione tremenda si stava creando, il destino stava tramando contro ogni logica. Deve trovare al più presto una soluzione che possa risolvere quella situazione ormai ingarbugliata e in apparenza senza alternative. Un sudore freddo avvolge Don Giuseppe fino a farlo stare male. Calogero si avvede del malore del fratello, lo porta fuori della parrocchia al sole del mattino. Ė un intervallo benefico. Don Giuseppe si riprende rapidamente e, ancora aggrappato al braccio di Calogero, si dirige verso i giardinetti nella piazzetta prospicente la parrocchia.

«Don Giuseppe, ma lei sta male, vuole che l’aiuti?»

Ė la voce che il prete conosce, è Caterina, la madre di Ludovico.

Un ulteriore tuffo al cuore sopraggiunge al povero Don Giuseppe: ci voleva proprio quest’altra circostanza fortuita, pensa. Ormai gli avvenimenti stavano prendendo una piega contro la quale non poteva far nulla.

Quando quel signore che accompagna Don Giuseppe si è voltato verso di lei, lo riconosce: è Calogero, il padre di suo figlio. Caterina ha un attimo di sbandamento, è assalita da molteplici impulsi, uno su tutti quello di riempirlo di improperi, ma riesce a soffocare quella maledetta voglia di distruggerlo, imponendosi un atteggiamento dignitoso, come è stata la sua vita trascorsa dopo i circa venti anni dall’abbandono e rivolgendosi verso di lui:

«Tu sei Calogero, ti riconosco, cosa sei venuto a fare da queste parti, a raccogliere i cocci seminati da giovane? Pensi di poterli raccattare e rimetterli insieme? Puoi anche tornare da dove sei venuto, qui non hai più nulla da prendere o da rivendicare, nemmeno il figlio che probabilmente non sai nemmeno di avere.»

Calogero fatica a connettere e focalizzare, gli pare di riconoscerla. Quando capisce che la donna lo sta accusando di essere il padre di suo figlio, si rivolge a lei dicendo di non ricordare il suo nome.

«Signora, non capisco di cosa sta parlando, io non sono a conoscenza di nulla, per favore sia più chiara e precisa.»

Una risata isterica esce dalla bocca della donna che continua il suo sermone.

«Non mi riconosci nemmeno, io sono Caterina. Mi hai usata e gettata nella spazzatura. Ma stai tranquillo, con l’aiuto di Don Giuseppe sono riuscita a riemergere e sopravvivere. Senza il suo aiuto forse Ludovico, tuo figlio, non sarebbe sopravvissuto.»

Una pugnalata al cuore arriva improvvisa al povero Calogero. Finalmente ha realizzato: Ludovico,il fidanzato di Giulia, è suo figlio.

Don Calogero, scosso come non mai, guarda suo fratello chiedendogli con gli occhi di aiutarlo o almenodi confermare quanto quella donna gli sta raccontando. Ha la conferma dal silenzio assordante di Don Giuseppe che, impacciato, cerca di trovare immediatamente una via di uscita.

«Per favore venite in sagrestia e cerchiamo di ragionare.»

L’invito di Don Giuseppe è accolto, entrambi seguono Don Giuseppe nella sacrestia.

«Noi dobbiamo trovare una soluzione, lo dovete ai due giovani e a voi stessi. Tu Calogero, come pensi di comportarti o di risolvere questa intricata situazione? Saresti disposto a riconoscere Ludovico come tuo figlio e, se sì, come conti di farglielo sapere?»

Don Calogero, abituato nella vita a prendere decisioni repentine, risponde.

«Prima di tutto voglio chiedere scusa, non era nelle mie intenzioni fare del male a nessuno, a quei tempi ho trascorso un periodo turbolento, senza curarmi dei sentimenti del mio prossimo, calpestandone forse la dignità. Ora voglio riparare. Sono disposto a riconoscere tutti i diritti a Ludovico e adaiutare Caterina, se lo vorrà.

Caterina, con le lacrime che cerca di trattenere e che ormai scendono copiose, ha il capo chino tra le mani scarne, non riuscendo a proferire parole.

Don Giuseppe anticipa un eventuale intervento della donna offrendosi come interlocutore con i due fratellastri. Èdisposto ad andare a Milano a comunicare la notizia a Giulia e Ludovico.

Ha come risposta l’assenso di entrambi col capo.

Don Giuseppe non perde tempo.Dopo la partenza del fratello, si reca a Milano dove incontra i due giovani. Espone loro con molta cautela e solo come sa fare lui tutta la vicenda per filo e per segno. I due giovani sono tesi mentre Don Giuseppe parla, fino ad assumere una espressione di incredulità quando dice loro che sono fratellastri. Il loro mondo, fatto di sogni romantici ancora da realizzare, crolla. Ora Ludovico e Giulia sanno tutto quello che riguarda le loro vicende familiari, il quadro è completo e non più nebuloso e fatto di misteri e segreti inconfessati.

Ludovico sente liberare la sua anima dal macigno enorme che lo aveva portato a lasciare sua madre e, in particolare, proprio Don Giuseppe. Guarda Giulia, sua sorella, negli occhi trasmettendole tutto l’amore di fratello che inconsciamente le aveva riservato sin dalle prime battute del loro incontro e, prendendole le mani, gliele stringe in segno d’intesa e forse rassegnazione. Non gli rimane che abbracciare Don Giuseppe, il suo angelo custode, la sua guida spirituale, ripudiato con la decisione di allontanarsi da tutto e tutti.

Gli avvenimenti si susseguono non più incalzanti: ogni protagonista deve trovare le giuste soluzioni e una sola dimensione.

Infatti Don Calogero, una volta tornato nella sua tenuta, informa immediatamente Donna Consiglia di tutto. Ora hanno due figli e questo è per loro la cosa più importante.

Si attivano per supportare Ludovico e specialmente Giulia, che in quel periodo habisogno di sentire la propria famiglia accanto, costantemente. Per alimentare questa vicinanza a Don Calogero balena l’idea di fornire loro, chiavi in mano, una stamperia nuova di zecca. Infatti in poco tempo realizza quella che normalmente si suole definire un’azienda tecnologicamente avanzata. La collaborazione dei fratelli è immediata e si tuffano nella nuova avventura con entusiasmo, in modo particolare Giulia.

Dopo un inizio senza incertezze, liberato dalla vita vissuta recentemente, in Ludovico pian piano riaffiorano i pensieri dell’adolescenza. Inizia a ripensare allavita spirituale, fin quando riaffiora dal suo essere il desiderio irrefrenabile di dedicarsi alle cose del Signore. Sente imperiosa la chiamata divina, quella voce che guida verso una vita dedicata al prossimo e alla preghiera. La sua decisione, divenuta irrevocabile, la comunicaai suoi genitori e a Don Giuseppe.

A Giulia la riferisce il giorno stesso della sua folgorazione, lo fa per riguardo verso chi molto probabilmente, se non ci fossero stati intoppi di sorta, avrebbe sposato.

Dopo averle riferito la sua intenzione di entrare in un convento di frati francescani, le prende le mani e guardandola le dice:

«Quando ti sposerai, voglio essere io a celebrare le nozze.»

 

Paolo, finito di declamare, si rivolge verso Francesca dicendo

«Non so cosa pensi tu, mi sembra una vicenda un po’ assurda, figurati uno che ne combina di cotte e di crude che alla fine si fa frate.No, il tutto è poco credibile, l’impianto non sta in piedi. Io avrei dato un taglio diverso al finale, per esempio avrei fatto eseguire la verifica del DNA, e quindi appurare che Don Calogero non era il padre di Ludovico, mettendo in cattiva luce Caterina che evidentemente aveva contemporaneamente due partner.»

«No Paolo, penso invece che il finale sia appropriato,che anzi esprima il travaglio di un giovane che, trascinato dagli eventi e dai sentimenti di rivalsa esplosi con prepotenza in lui, vive attimi di buio totale giungendo all’abbruttimento sia fisico che morale, recuperando alla fine la sua identità. Per cui trovo corretto il finale.»

«Si, forse hai ragione, Ludovico deve espiare le sue colpe con una vita monastica, non gli rimane altro.»

Paolo chiude lo spartito e volgendosi a Francesca azzarda una battuta.

«Posso offrirti una pizza?»

«Grazie, accetto volentieri.»

Lo dice sorridendo e mostrando un vivo interesse verso il giovane. Forse un altro libro galeotto entrerà nella storia, questa volta di due giovani attori, omonimi dei due più famosi protagonisti del sommo Poeta.

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