SPAZI E TEMPI: Emma

Pubblicato il 15 Febbraio 2017 in

Di ritorno a casa un medaglione ovale è scivolato dalla borsa ed è caduto sul tappeto della carrozza. La stanchezza e il rullare delle ruote non stimolavano lo sforzo necessario per piegarsi a raccoglierlo. E mi sono soffermato soltanto a guardarlo. Il ritratto di una gentile signora in abito severo mi fissava. Quegli occhi neri incorniciati da folte ciglia mi avevano colpito non so bene se per il malizioso sguardo o per il loro candido ardire. Tra le stampe e i ritratti disposti sui banchi del negozietto di Ponte Vecchio era l’oggetto che subito aveva attirato la mia attenzione. Così ho deciso che quello sarebbe stato il ricordo del mio viaggio a Firenze.

«Chi sei? Su, dimmi chi sei» Ho chiesto a quella donna misteriosa.

La sua bocca è sembrata distendersi in un sorriso e dopo qualche istante ha cominciato a parlarmi.

«Il mio nome è Emma. Ora tu vedi una donna matura, ma fui fanciulla piena d’amore. Cercai di capire ciò che precisamente significassero nella vita le parole ‘felicità, passione, ebbrezza’, che tanto belle mi erano parse nei libri. Al chiaro di luna recitai tutti i versi più appassionati che sapevo a memoria e li ripetei sospirando malinconica a mio marito. Ma dopo aver tanto battuto il ferro sul cuore senza che da quello sprizzasse neppure una scintilla, dato che quell’uomo era incapace di capire ciò che non poteva intendere, mi accorsi che il mio affetto era diventato un’espressione metodica accettata come un dolce qualsiasi alla fine di un pranzo abituale. Per me la vita divenne fredda come una soffitta esposta a settentrione mentre il silenzioso ragno della noia filava la sua tela nell’ombra in tutti i cantucci del mio cuore. Fu così che accettai le attenzioni del giovane Leone. Amore impossibile, smarrito di fronte alle difficoltà del senso comune, lacerato dal rimpianto, soffocato dall’abitudine e dall’assopimento della mia coscienza. E poi quel gaglioffo di Rodolfo che sosteneva: “Di morale ce ne sono due. Quella piccola, convenzionale degli uomini, che varia senza posa e strepita tanto, si agita in basso, terra terra. Ma l’altra, l’eterna, quella è tutt’attorno a noi e al di sopra, come il paesaggio che ci circonda e il cielo azzurro che ci illumina”. Come non credere a quelle dolci parole? Non posso certo nascondere o dimenticare che quando Rodolfo mi era vicino, la sua semplice presenza mi penetrava come granelli di sabbia spinti da una raffica di vento. Diceva di portare questo mio ritratto sempre con sé, come un talismano, ma poi lo lasciò dentro una lettera di addio. Per curare le ferite della mia anima cercai rifugio nella preghiera, nell’ascesi e nella purezza. Volevo diventare santa e mi rifugiai nell’inginocchiatoio, rivolgendo a Dio quelle stesse parole che un tempo avevo sussurrato a mio marito e al mio amante. Ma ancora una volta, quando ricomparve il giovane Leone, fu la passione a prevalere. Da allora mi trascinai nell’illusione di una felicità fatta di inganni e menzogne per coprire l’adulterio e tutte le meschinità di un matrimonio da tempo fallito. Sono stata raggirata da un perfido usuraio, ho dovuto resistere alle avances di un vecchio bavoso. Sono finita nel baratro della disperazione e ho cercato la consolazione della morte. Solo lei non mi ha ingannata e non mi ha respinta».

Quando la carrozza si è fermata di fronte al portone di casa, il vetturino si è affrettato ad aprirmi la portiera. Allora ho raccolto il medaglione ovale, il libro di Flaubert e la borsa da viaggio posati sul sedile, e sono sceso dalla carrozza.

 

 

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