Nuova serie: “Cedric” di Eduardo Squillace

Pubblicato il 29 Novembre 2016 in

Dalla terrazza coperta della sua villa coloniale, Cedric si guarda attorno estatico. La spiaggia, le lavandaie nella loro ora di riposo. Queste con serti di fiori giocano ad addobbarsi, si tuffano nell’acqua limpida e bassa del fiume alla foce proprio davanti a lui. Sollevano schizzi di quell’acqua come armi scherzose. Qualcun’altra, seminuda nel suo costume di teli adattati a piacere sul suo corpo longilineo, arriva portando un cesto sulla spalla o sulla testa.

Aua Maui, la sua compagna tahitiana, gli porta una coppa di frutta e rum, venendo a distendersi sull’amaca a fianco a lui. Spesso Cedric è incredulo. Si capacita a stento di come sia riuscito a trovare questa situazione di nuova esistenza e pace interiore, partendo da quella in cui stava precipitando, a Hinchinghooke Abbey, solo pochi mesi prima.

Sir Cedric Harbon, visconte di Hinchinghooke, aveva fatto una scoperta sconvolgente. Giunto alla soglia dei suoi cinquant’anni si era reso conto di aver raggiunto il livello massimo di sopportazione. Tutto il suo mondo gli si mostrava ogni anno di più in contrasto con il suo carattere. Raramente esprimeva con altri i suoi pensieri. Quelle poche volte in cui aveva avuto l’ardire di manifestarli a qualcuno dei suoi parenti ed amici: «Sei un sognatore» avevano commentato. Avrebbero voluto dire: «Sei un pazzo!»

Tutta la sua educazione, le tradizioni locali e della sua famiglia, da secoli tra i potenti della nazione, volevano da lui comportamenti così diversi dal suo sentire. Da bimbo, allorché giocava coi figli dei fattori, gli avevano detto: «Non sei come loro, usali, ma guai a farteli amici. Devi esigere sempre il rispetto, tieni le distanze».

Non aveva mai capito lui cosa avesse di diverso e di superiore. Si accorse delle mille occasioni di vantaggio di cui godeva, per il solo fatto di essere nato in quella famiglia e non nelle scuderie. Si accorgeva invece che alcuni di quei ragazzi erano più capaci di lui, non tanto nella manualità, ma nell’intelligenza. Soprattutto invidiabili nelle libertà che avevano. Durante la sua gioventù il suo modo di vivere era stato diverso da quello dettato dalla sua spontaneità, gli era stato imposto. Doveva, solo perché il loro rango era pari al suo intrattenersi con ragazzi poco amabili, prepotenti e villani. Non tanto con lui ma coi sottoposti. Anche il suo trasporto affettuoso verso la vecchia governante che l’aveva cresciuto, era parso disdicevole. In pubertà le sue frequentazioni femminili venivano criticate. Il suo accompagnarsi con le figlie del pastore o del maestro di pianoforte gli fu contestato drasticamente. Non così i suoi amori ancillari, scoperti nonostante la sua prudenza e riserbo. Quello era ammesso, forse un retaggio del diritto medievale. Continuavano a fargli incontrare fanciulle delle famiglie che la sua casa frequentava; specie se ciò fosse premessa di crescita dei patrimoni e territori. Volevano fargli praticare la caccia mentre lui era un amante della natura e degli animali. Volevano indirizzarlo alla vita militare, se non come fine della sua vita, almeno come addestramento alle armi e a professioni sempre praticate dai suoi avi. Allorché aveva rifiutato, da un tale che giudicava un imbecille, la sfida a un duello, il consiglio di famiglia si era riunito. Intorno a quel tavolo erano volate parole grosse e alte, con riferimento all’onore familiare. Un suo cugino venne obbligato ad accettare la sfida.

Il suo assoluto disinteresse per la politica, gli valse critiche e reprimende: si sarebbe perso un lobbista di famiglia. Alla camera dei Pari c’era sempre stato un rappresentante del loro casato.

Aveva una sua virilità, ma non per questo si sentiva superiore ai componenti dell’altro sesso. Anzi aveva sempre ammirato le donne capaci di mettersi in evidenza per il loro merito e le loro virtù. Come la Florence Nightingale e quelle nuove combattenti per un diritto che gli pareva giusto: il suffragio di cui si cominciava a parlare. Era intelligente Cedric, voleva evadere da un mondo in cui si sentiva estraneo. Aveva viaggiato per vedere se era soltanto l’Inghilterra a essere così opprimente. Era andato in Francia, per accorgersi che, nonostante la Rivoluzione, i concetti di liberté, égalité, fraternité erano applicati in modo teorico. Erano restate o si erano ricreate classi di privilegio, anche se qualche maggior fermento si vedeva nelle nuove classi lì emerse.

Continuare a vivere così non gli interessava. Ogni giorno una delusione, ogni volta uno scontro. Le sue idee, cui non voleva rinunciare, erano in quel momento un puro ideale, né era certo che fossero futuristiche. Non sapeva se si sarebbe mai potuto allineare al sentire degli altri. Stava progettando una via di dipartita la meno cruenta possibile. Avrebbe amato un dolce addormentarsi.

All’improvviso ricordò di aver letto a Parigi su una gazzetta, il Journal pour tous, come un bretone, un bravo pittore, avesse lasciato il suo paese per andarsene in un’isola dei Caraibi, forse per salute. Continuò a pensarci per giorni. Decise che anche per la famiglia un suo esilio volontario sarebbe stato più giustificabile in società, molto più di un suicidio, sempre imbarazzante.

Chiese lui questa volta un consiglio di famiglia. Volle che lo aiutassero in questo sogno. Non voleva rientrare nei ranghi di una società strutturata per ceti e quella coloniale certo lo era. Gli dessero quanto bastava per una abitazione decente, non era interessato a un castello. Fu felice di constatare che la famiglia non solo sembrò contenta, ma volle aiutarlo subito, affidandolo di gran carriera al console Inglese a Papeete.

Fu veramente risorgere a una nuova vita conquistando la libertà tanto desiderata.


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