FILM IN DVD: “Lo chiamavano Jeeg Robot”, di Gabriele Mainetti

Pubblicato il 14 Novembre 2016 in

sceneggiatura Nicola Guaglianone cast Claudio Santamaria (Enzo Ceccotti) Ilenia Pastorelli (Alessia) Luca Marinelli (Fabio Cannizzaro, lo Zingaro) Stefano Ambrogi (Sergio) Maurizio Tesei (il Biondo) Antonia Truppo (Nunzia Lo Cosimo) Salvatore Esposito (Vincenzo) Daniele Trombetti (Tazzina) genere commedia durata 118′

Alla fine è una questione di riferimenti. Quando Visconti, Antonioni, Pasolini e persino Fellini si mettevano alla macchina da presa avevano in mente Thomas Mann, Proust, Gramsi o Petronio Arbitro per quanto riguarda la letteratura, Turner, Guttuso, Giotto o Mantegna per la pittura. A cosa possono invece pensare Mainetti e Guaglianone quando elaborano il soggetto o disegnano lo story board (non chiamiamola sceneggiatura) di un film come questo? Ai fumetti della Marvel, ai Manga giapponesi, alle serie tv per ragazzi. D’altra parte anche il pubblico cinematografico delle sale, negli ultimi decenni ha conosciuto una mutazione genetica. Da platea di adulti responsabili e consapevoli che al cinema chiedevano un confronto di idee siamo passati a una folla di teenager con bidoni di coca-cola e tinozze di popcorn che al cinema chiedono solo due ore di evasione. Sia chiaro: accanto ai film eversivi, anche in passato esistevano film evasivi, c’erano i Franchi&cicci, i Linibanfi, le Edwigifenech, ma a salvare la baracca c’erano appunto i Visconti, gli Antonioni, i Pasolini, i Fellini. E uno sceglieva. Oggi non più e i risultati, purtroppo, si vedono.

Al di là del bislacchissimo (e abusatissimo) pretesto narrativo, a fare difetto in Jeeg Robot sono proprio le soluzioni sceniche, gli snodi drammaturgici. Culminanti nelle sequenze al centro commerciale. Qui, nella nuova piazza della città postmoderna o, se si vuole, nel tempio dove si adora il vitello d’oro del consumismo, si tocca l’apice di quello che non deve essere il cinema. Passi l’abito nuovo, passi l’amore nel camerino (anche se qui una persona seria comincia a dare segni di insofferenza sulla poltrona), ma quel palloncino che vola via… Se volevano trovare una metafora banale e bolsa ci sono riusciti in pieno! Per non parlare del duello finale (che tanto finale non è) allo stadio Olimpico, altro tempio di riti e miti postmoderni.

Infine bisogna segnalare la preoccupante tendenza di un bravo attore come Luca Marinelli a relegarsi in ruoli come quello dello Zingaro (clone del Cesare di Non essere cattivo, 2015) mentre si può arrivare a una stiracchiata sufficienza per Claudio Santamaria, in un ruolo inverosimile. Imbarazzante la prova di Ilenia Pastorelli, generosamente (e inspiegabilmente) premiata con il David come miglior protagonista (non osiamo immaginare le altre). Meglio per lei tornare alle passerelle o agli studi televisivi. Un conto è Il grande fratello, un altro paio di maniche il cinema, anche quello trash. Una bella spanna sopra tutti gli altri Stefano Ambrogi, non a caso nel ruolo più “umano” del film. E infatti esce di scena dopo venti minuti.

 

E allora perché vederlo?

Per un doveroso confronto tra realtà e immaginazione

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