Il sogno umano: raggiungere la totalità, la perfezione dell’ideale

Pubblicato il 15 Ottobre 2020 in , , da Giorgio Landoni

La completezza dell’informazione é un modo di dire che esprime un sogno umano: raggiungere la totalità, la perfezione ideale. Quindi, in realtà, non può esistere un’informazione completa, capace di darci la verità. Questa aspirazione  ha un’origine precisa, che  si é manifestata in molti modi nella storia: sogno di conquistare l’immortalità ossia di sottrarsi alla caducità della materia; illusione di poter raggiungere un piacere senza fine, la mitica felicità perfetta;  fantasia di un amore senza limiti di tempo e di spazio, di un potere assoluto, oltre ogni legge, che ci innalzi al di sopra delle miserie della quotidianità e così via.

La vicenda del Dott. Faust nell’opera di Goethe ne é una delle numerose espressioni artistiche, ma la storia dell’umanità trabocca di miti di questo genere, favole ossia concatenazioni di fatti raccontati in modo diverso. Come Goethe fa dire a Mefistofele: “il piccolo dio del mondo é sempre tale e quale e sempre strambo come al primo giorno”.  Tuttavia sogni, illusioni, fantasie, ideali ci aiutano comunque a vivere. 

Dare una forma comprensibile all’insieme caotico della realtà

Come visto, l’informazione influisce sul modo di pensare delle persone, contribuisce a formarne il modo di vedere le cose, dà forma all’opinione pubblica come coscienza comune. Informare é un modo di dare una forma comprensibile all’insieme caotico della realtà in funzione di un risultato da ottenere.  Il primo scopo dichiarato é sempre il bene comune, ma solo le illusioni un poco esistenzialiste della soggettività possono indurci a credere che noi siamo in grado di formarci da soli questa coscienza comune per il semplice fatto di ricevere delle “informazioni”.

Vi é sempre, nel mezzo, il problema della forma che qualsiasi messaggio deve prendere affinché una comunicazione abbia un senso. Se da un lato una forma é necessaria per trasmettere qualsiasi messaggio, dall’altro essa sta in stretta relazione con l’identità di chi vuole trasmettere il messaggio e con i suoi scopi. Abbiamo visto che dietro alla messa in forma di un messaggio affinché esso sia in grado di comunicare qualcosa, vi sono dei percorsi che noi possiamo solo ipotizzare e di cui non potremo mai conoscere il rapporto preciso con quanto ci viene presentato anche se sappiamo che questo rapporto esiste.

Una teoria importante, quella dell’informazione

La teoria dell’informazione é sorta forse anche per superare questo problema. Essa si é data il compito, scientifico, di studiare i messaggi come successione statistica di eventi a ciascuno dei quali é associata una certa quantità di informazione.  La teoria dell’informazione non si occupa quindi di chi costruisce l’informazione poiché ha come oggetto il contenuto della comunicazione e quindi presuppone un’informazione già formata.  In essa i fatti, le idee, sono rappresentati in forma di dati quali lettere (un telegramma), cifre, onde radio, segnali acustici o segni di altro genere (per esempio  diagrammi o tracciati).

Questa teoria ha portato sviluppi rivoluzionari nelle nostre vite, fornendo le basi dell’informatica: noi attualmente ci stiamo parlando, ci stiamo vedendo perché utilizziamo gli oggetti creati in base agli sviluppi tecnici dell’informatica. La possibilità di continuare a frequentarci anche se, come si dice, virtualmente durante il lockdown, é anche il risultato degli sviluppi della teoria dell’informazione.

Essa, come qualsiasi altra teoria in fondo, si incarica di organizzare la materia dell’informazione secondo criteri in grado di spiegare cosa accade e per farlo ha scelto una particolare forma di espressione, il linguaggio matematico che gode di molta considerazione in quanto strumento privilegiato della scienza più avanzata. Il linguaggio matematico sembra poter soddisfare molto da vicino un ideale che potrebbe essere enunciato in questo modo: ricoprire in modo totale la realtà affinché tutto abbia un senso. Naturalmente si tratta solo di un’aspirazione, ma un caso particolare di questo ideale é quello di poter avere un’informazione completa, totale.

Kandinskij

Il fascino della forma

Ecco dunque il problema: la forma assegnata ai dati, ai segni, affinché diventando informazione contribuiscano effettivamente alla conoscenza della realtà esprime una situazione emotiva. Anche nel caso dei segni della matematica, esiste sullo sfondo l’ideale dell’oggettività e questo é un dato ideale ossia emotivo. Tutto questo rinvia a un ulteriore dato molto importante perché la forma esercita un fascino enorme sull’essere umano. Con un gioco di parole si potrebbe dire che la forma ci affascina in tutte le sue forme: visiva, sonora, tattile, olfattiva, gustativa ecc.Le forme della forma ci prendono immediatamente: può affascinarci un oggetto, uno spettacolo naturale o artistico, una persona, un modo di parlare o di ascoltare, ci può prendere il suono di una voce, una musica o un discorso, la consistenza di un oggetto, il calore o il freddo che ne emana quando lo tocchiamo e così via.

Il battito del cuore materno é una forma sonora che ogni neonato riconosce fra tutte, senza sbagliare e che é in grado di calmare qualunque sua angoscia, qualsiasi timore. Il volto della madre é la prima forma visiva alla quale il neonato invia un segno di riconoscimento: il sorriso. Il fascino che la forma esercita su di noi pare indicare che rispetto alla realtà delle cose, a ciò che esse sono, noi siamo sempre attratti dall’ideale, da come dovrebbero essere le cose, una specie di nostalgia di qualcosa che cerchiamo, ma che sempre pare sfuggirci. Si tratta della forma perfetta, quella che porta l’appagamento assoluto, il volto materno. 

Questo ideale ci pare a volte di trovarlo in quella determinata forma e solo in essa, non in altre e per questo motivo quella particolare forma eserciterà su di noi un’attrazione speciale: ciascuno di noi avverte il fascino particolare di una determinata forma e meno di altre. Quella particolare forma, un viso, un panorama, un suono sarà per questa persona la “forma”, quella che ha un senso particolare perché in grado di dare senso, a volte, a tutta la realtà di una vita.

Sono un fervente ammiratore della creazione artistica, come forse si capisce, e credo, come credeva Freud l’inventore della psicoanalisi, che gli artisti conoscano veramente più e prima degli altri individui. Sklovskij, importante scrittore e critico letterario di San Pietroburgo, che si è molto occupato di forma nell’arte, sostiene che tutti i contenuti artistici si dissolvono nella forma, dandoci l’impressione di vedere per la prima volta oggetti abituali, forme note. Secondo lui, la capacità dell’artista consiste in questo.

Forma e corpo

La forma per eccellenza, quella che dà senso alla forma come ideale é quella del corpo umano e in essa il volto ha un ruolo centrale. Lo avevano capito i Greci i quali, a partire dalla forma del corpo umano, hanno stabilito dei canoni della bellezza che, anche se contestati, valgono in gran parte tuttora. In base a essi si costituì una branca della filosofia, l’estetica, letteralmente “dottrina della conoscenza sensibile” la quale, in particolare a partire dal ‘700, é diventata la dottrina del bello, naturale o artistico, ossia l’esperienza della produzione e dei prodotti dell’arte. Già prima dei Greci però la tendenza a ricercare la forma, a inserire la realtà entro un limite che la circoscriva per mettervi un ordine, si era esercitata per esempio nell’attribuire una forma alla distribuzione casuale, caotica delle stelle nel cielo.  Conosciamo le costellazioni, un modo di dare forma al caos, al disordine, spesso attribuendo a gruppi di stelle una figura umana, almeno all’origine.  Il termine estetica é anche passato nel linguaggio comune per indicare l’aspetto e i caratteri esterni, di persone, oggetti, prodotti e operazioni suscettibili di essere considerati come aventi valore in relazione anche alla forma accattivante con cui si presentano.

Noi inseguiamo la forma che ci insegue senza tregua. Vediamo un volto nel cumulo delle nubi nel cielo, oppure un ci appare un qualsiasi oggetto o animale nei vortici della corrente di un fiume, le spirali del fumo ci sembrano assumere questo o quell’aspetto e così l’onda o la fiamma o l’ombra. Tentiamo di dare realtà alle nostre fantasie, spesso in un gioco che ci dà piacere, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. I cosiddetti gusti personali, sui quali non mette conto discutere, ne forniscono un esempio. 

Il senso e l’origine della forma

Noi consideriamo la forma come qualcosa di naturale, di spontaneo, qualcosa che fa parte di noi come gli arti o la testa. In realtà si tratta di una categoria del nostro pensiero che siamo molto abituati a usare perché comoda e rassicurante. In fondo, non solo abbiamo bisogno di comodità e di rassicurazione, ma abbiamo anche qualche diritto ad averne. Per la psicoanalisi, comodità e rassicurazione hanno un senso e un’origine precisi ed evidenti. 

Mi ripeto: all’origine vi é la forma per eccellenza, quella del corpo umano la cui impronta é tuttora presente persino in certe “forme” del linguaggio matematico. Per esempio certe unità di misura si chiamano ancora: pollice, piede, braccio, palmo, cubito. Su questo punto torneremo in modo diverso nel nostro terzo incontro (e relativo articolo). Il senso della forma consiste nell’intervenire sul disordine, quel caos che noi saremmo, e a volte siamo,  se non ci costringessimo dentro limiti che ci diano una forma secondo la logica. In modo molto sommario possiamo dire che la logica consiste semplicemente di quelle “relazioni necessarie” che si impongono mettendoci delle regole, negando la nostra pretesa, sempre presente in un angolo della nostra speranza, che tutto sia possibile.

Tutto e anche il suo contrario nello stesso tempo, come pretendiamo da bambini. Dare un senso, piegare a una forma e solo a quella é quindi opera di rinuncia alla affermazione caotica delle proprie tendenze più soggettive, più disparate e contraddittorie. La presenza della forma esprime dunque la necessità della regola, di una legge come principio generale che, imponendo dei limiti al caos, rende possibili le relazioni con se stessi e con gli altri, le relazioni sociali che presuppongono esseri sociali ossia capaci di accettare di avere una forma costante e quindi riconoscibile. Non a caso si dice di molte regole del vivere sociale che esse sono formali e lo stesso si dice di persone che a queste regole sembrano sottostare in modo talvolta eccessivo.

Come già detto, l’origine é il volto della madre.  Si tratta di un’espressione molto suggestiva che non corrisponde necessariamente alla realtà biologica. Forse sarebbe meglio dire che é la prima visione che, persistendo e presentandosi con continuità allo sguardo del neonato, gli offre il senso di una linea conclusa, un contorno stabile e quindi riconoscibile che, limitandola, delinea un’immagine, il volto ossia la prima forma alla quale ci si identifica. Quel volto fa da quadro costituendosi come nucleo di un’identificazione su cui poggerà il senso della propria identità personale, della propria esistenza. 

“Io sono quella cosa lì” si dice più o meno il neonato che poco alla volta impara a riconoscere quella forma che gli si presenta costantemente e le sorride. Vuol dire: ci sono. Il volto materno é la prima opera d’arte che noi incontriamo nella vita.

Piccolo inciso: é evidente che successivamente, in modo più o meno graduale, questa meravigliosa opera d’arte si appannerà e si rivelerà essere solo “la faccia” di X o Y, nostra madre, sempre ben diversa da quella prima forma ideale che chiamiamo invece mamma, la quale comunque resterà per sempre in noi facendo sentire gli effetti della sua presenza. Molti noi peraltro hanno vissuto l’esperienza opposta: da modelli ideali per figli piccoli a oggetti banali della quotidianità per figli più grandi.

Si potrebbe osservare che un’altra forma precede forse quella del volto materno: quella del seno che ci nutre. 

Verissimo: non a caso infatti il fascino del seno, della sua forma, é consegnato all’arte nel tempo, però si tratta di un discorso leggermente diverso, che riprenderemo più avanti.

Se per qualsiasi motivo questa forma stabile non si é costituita all’origine, se manca alla base una forma capace di dare un sentimento di stabilità, di concretezza, si manifesteranno facilmente problemi di identità, in primo luogo con l’impressione di una vita caotica.  Un segno importante di questo genere di problema é il disordine, fino alla dissipazione della vita stessa.  Questo genere di esistenze di cui probabilmente abbiamo qualche esempio, ci interroga: é possibile che qualcosa che non ha forma abbia un senso? Alcuni sostengono di sì e che anzi il senso più profondo della vita stia nel caos. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensino persone che hanno una certa esperienza della vita e delle sue vicende. Può anche darsi che le cose stiano in questo modo, ma affinché la vita non si disperda in una miriade di azioni staccate fra di loro, la forma appare una necessità, quella di un limite che permetta un minimo di organizzazione individuale e sociale.

Modi di organizzare questa realtà si esprimono poi nei diversi volti della cultura: arte, religione, scienza, politica. La psicoanalisi le considera come manifestazioni di una capacità particolare dell’individuo,  di staccarsi  dall’ideale ossia di non subirne il fascino, ma di usarlo per creare i propri valori salvaguardando la propria originalità. Il linguaggio specialistico la chiama sublimazione, una tendenza verso l’alto, verso il sublime, un modo di esprimere il proprio genio personale di cui ciascuno porta la responsabilità. Capita purtroppo a volte che la forma spinga troppo oltre la sua presenza, che ci si deformi eccessivamente e che il genio si attenui fino a spegnersi. Le strutture sociali sono per forza di cose schematiche e quindi agiscono sempre anche in questo senso.

Accadono allora ogni tanto quei fenomeni che chiamiamo rivolte o rivoluzioni, per esempio rivolte giovanili. Osservandole, vedremo che in esse, uno a fianco dell’altro, nella protesta e nella rivolta, stanno da un lato il genio personale ribelle alla costrizione di una forma a volte soffocante, e dall’altro la violenza convulsa, primitiva e informale del caos, che si ripresenta quando la forma, queste forme, si frantumano.