Bankitalia contro Monte Paschi: ingannati

Pubblicato il 24 Gennaio 2013 in da redazione grey-panthers

La Repubblica: “Bankitalia: ingannati da Montepaschi. ‘Carte nascoste nello scandalo derivati’. Bufera sulla banca di Siena dopo le dimissioni di Mussari, il titolo vrolla in Borsa. Pdl e Ingroia accusano premier e Pd. La replica: noi estranei”. “La finanza avvelenata” è il titolo del commento di Massimo Giannini. A centro pagina: due notizie : “Cameron: sì al rferendum sulla Ue. Londra attacca. Berlino: un errore”, con commento di Timothy Garton Ash (“La rana inglese”). La seconda notizia riguarda il voto in Israele, con il “parlamento spaccato a metà”.

Il Corriere della Sera: “Le accuse della Banca d’Italia. ‘Scandalo derivati, Monte Paschi ci ha nascosto le carte. Scoppia il caso politico, centrodestra e Ingroia contro il Pd. La replica: noi estranei”. A centro pagina, con foto: “Batte il putno, Hillary è tornata. Il ricordo delle vittime di Bengasi al Congresso”. L’editoriale, firmato da Franco Venturini, è dedicato al discorso di ieri del premier britannico Cameron: “L’impaziente inglese. Il divorzio a tempo di Londra dalla Ue”.

Il Fatto quotidiano: “Mussari, ecco la telefonata che lo ha fatto dimettere. Caso Mps: pubblichiamo il colloquio con la banca Nomura per l’accordo segreto sul derivato. Bankitalia si difende da Tremonti: ci hanno nascosto i documenti. Polemiche contro Bersani per i legami tra il Pd e la banca rossa. Il titolo crolla ancora: meno 8,4 per cento”.

Per Libero è la “bancarotta del Pd”, visto che Mps è “da sempre un feudo rosso”.

Il Giornale: “Abbiamo pagato l’Imu a Monti per salvare la banca del Pd. A dicembre con i Monti bond il governo ha fatto all’istituto un prestito di 3,9 miliardi, la stessa cifra incassata con l’imposta sulla casa. E in un’altra inchiesta su Mussari spunta il nome della Severino”.

Il Foglio: “La montagna incantata di Davos si stringe attorno a Mario Monti. L’Italia è stata ‘vittima di governi passati’ e degli ‘interessi costituiti’. Applausi dai big di business e finanza”.

La Stampa: “Fmi: Europa e Italia ancora giù. Monti al Forum di Davos: ‘Siamo vittime dei governi precedenti’”. “Il Fondo monetario taglia le stime di crescita, ‘nel 2013 o la va o la spacca’. Confindustria: piano sviluppo da 316 miliardi”.

Il Sole 24 Ore: “’Terapia d’urto, crescere si può’. Piano di Confindustria per lo sviluppo: taglio al costo del lavoro dell’8 per cento, sgravi sugli investimenti, 48 miliardi di debiti pagati dalla Pa. Squinzi: un progetto per il Paese, subito una svolta per un Pil oltre il 2 per cento”. Di spalla: “Mps affonda in Borsa. Bankitalia: ‘Ingannati’”.

“’Monti smetta di dare lezioni’” è il titolo di apertura de L’Unità. “Bersani: è lui che ha creato gli esodati”.

Mps

Scrive Il Fatto quotidiano che la telefonata che ha determinato le dimissioni di Mussari dal vertice dell’Abi risale al 7 luglio 2009. In una conference call, da una parte ci sono i vertici della banca giapponese Nomura, che registrano tutto, e dall’altra ci sono Mussari, il direttore generale Vigni, il capo della Finanza Baldassarri e il capo della contabilità Bigi. La sintesi della trascrizione della chiamata è stata trasmessa da Nomura a Mps il 13 dicembre 2012. Il nuovo presidente Profumo l’ha consegnata alla Procura di Siena, e poi alla Consob e alla Banca d’Italia. Il Fatto quotidiano pubblica il testo integrale del documento, che è una sintesi-riassunto della conference call in cui la banca giapponese si offre di comprare un titolo derivato, in cambio della decisione di Mps di entrare in alcune operazioni a 30 anni, e in cui il capo della Nomura per due volte chiede a Mussari se conferma questo accordo.

Il Sole 24 Ore racconta che “la storia di Mps è più o meno sintetizzabile immaginando un giocatore d’azzardo che, per colmare le perdite delle giocate precedenti, va al Casinò ipotecando la casa e alla fine perde tutto”. “Le perdite iniziali di Mps derivano da Santorini e da Alexandria”, due prodotti derivati, “le prime scommesse andate male. Quando nel 2009 entrambe le operazioni iniziano a creare ingenti perdite, Mps non vuole però evidenziarle a bilancio. Così commette il secondo errore: compra Btp trentennali da Deustsche Bank e Nomura per spostare le perdite di Alexandria e Santorini su contratti di proti/termine creati sugli stessi Btp trentennali. Questo permette a Mps di spostare contabilmente la perdita sui titoli più ‘consoni’ con l’attività di una banca e soprattutto di non mostrarla in conto economico perché ascrivibile a contratti di pronti/termine. Il dente cariato resta, il dolore anche, ma nessuno lo vede”. Per il quotidiano “il vero passo falso” Mps lo fa dopo: nel 2009-2010, quando trasforma quasi tutto il suo portafoglio di Btp a tasso fisso in titoli a tasso variabile. Il risultato è che Mps ha in mano titoli di stato italiani, ma non incassa le cedole, ha il rischio Stato italiano ma non i relativi rendimenti. In questo modo tutti i Btp in pancia a Mps (25 miliardi di euro) oggi non rendono quasi nulla. Nei primi nove mesi del 2012 Mps ha incassato interessi per soli 65 milioni di euro.

Il Corriere della Sera si occupa del versante controlli e della presa di posizione di Bankitalia: “La vera natura di alcune operazioni del Monte dei Paschi di Siena è emersa solo di recente – recita una nota dell’Istituto – a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’autorità di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigente di Mps”. Spiega il Corriere: “La Banca d’Italia dunque non era a conoscenza non certo dell’esistenza di contratti di derivati, ma di quel documento segreto che ne alteravano la distribuzione dei rischi, trovato dall’Amministratore delegato di Mps Viola, e quindi della complessa operazione strutturata, messa in piedi dalla precedente gestione Mussari-Vigni, in grado di determinare perdite non emerse e un potenziale impatto sul patrimonio. Fatti che, se vengono tenuti nascosti, fanno sapere in Bankitalia, possono configurare il reato di ostacolo alla vigilanza, peraltro già segnalato alla Procura di Siena, che ha aperto un secondo filone di indagine, accanto a quello principale sulla operazione, causa di tutti i mali di Mps, dell’acquisto dell’Antonveneta effettuato nel 2008. Il Corriere ricorda che il MontePaschi finì sotto il costante controllo della Vigilanza fin dal 2010, ma nel rispetto dei poteri concessi dalla legge, che non consente agli ispettori di via Nazionale di trasformarsi in poliziotti e sequestrare i documenti.

Politica

La Repubblica, in un retroscena, descrive un segretario Pd “angosciato” dalle prospettive sui conti pubblici, e riassume il suo pensiero così: “se continua così è molto probabile una manovra correttiva in primavera. Questi ci lasciano un buco da miliardi di euro da coprire”. E questi, secondo quanto racconta il titolo, sarebbe riferito ai “tecnici”: Qualche giorno fa Bersani aveva parlato di “polvere sotto il tappeto”, e il presunto buco nel bilancio sarebbe riferito al 2013: una voragine da almeno una decina di miliardi di euro, prodotta dalla recessione e dalla necessità di rifinanziare con otto milioni di euro la cassa integrazione che scatterà a maggio.

Sullo stesso quotidiano, in evidenza anche le dichiarazioni considerate di “attacco” a Monti: “Non mi faccia le pulci chi ha creato gli esodati”. Insomma, secondo La Repubblica, Bersani ha lanciato il primo vero affondo contro il Professore, accusandolo di insensibilità verso chi vive in sofferenza e di aver creato una disoccupazione record. “Non credo che né dal miliardario né dal tecnico ci possa essere grande attenzione per la questione sociale”.

Dal World Economic Forum di Davos il Professore ha evitato di contrattaccare, giocando, secondo Repubblica, di fioretto, quando dice: “Sono salito in politica per tutelare le vittime di governi spesso deboli contro l’evasione fiscale, la corruzione, gli interessi particolari; sono in campo per riparare gli errori dei governi precedenti, che hanno aggravato la crisi, di cui soffrono molto i giovani”.

Il quotidiano scrive anche che a dare manforte a Bersani contro Monti è stato Matteo Renzi: “Il Professore poteva fare il Ciampi, e invece ha fatto Dini. Poteva farlo, ma doveva dirlo”.

Su La Stampa: “Bersani e Renzi all’attacco di Monti”. E di spalla, un retroscena ipotizza che se non bastassero i seggi di Monti, il Pd chiederà di rivotare al Senato. Se, pur avendo una forte maggioranza alla Camera, il centrosinistra non ha i voti al Senato per governare nemmeno con i voti dei centristi (nel caso i loro voti si rivelassero insufficienti), il Pd potrebbe chiedere di sciogliere uno dei due rami del Parlamento e tornare a votare per il Senato. A tirar fuori l’ipotesi pare sia stato nei giorni scorsi il politologo D’Alimonte. Questa opzione si realizzò nel 1953 e nel 1958, quando la Costituzione ancora non prevedeva la stessa durata per le due Camere (nel 1963 si approvò la riforma che portava a cinque anni la durata della legislatura anche a Palazzo Madama).

Su L’Unità: “Monti usa la platea di Davos: ‘Solo con me c’è l’innovazione’”. Il quotidiano parla di un “attacco indifferenziato” al Pdl e al centrosinistra, entrambi dipinti come fautori dello status quo. La Repubblica si occupa estesamente del Forum di Davos e delle dichiarazioni di Monti, ma soltanto alle pagine dell’economia. Su Monti, che con il suo discorso ha inaugurato il vertice, titola: “Monti: ‘Economia vittima dei governi passati’”. E di fianco: “L’Italia a Davos da protagonista, ‘non più figli di un dio minore’”. Il quotidiano parla di una forte presenza di Francia, Russia e Giappone, e scrive che in epoca berlusconiana non c’era quasi nessuna presenza sul palco del WEF, era “quasi nascosta”, con poche presenze tra i partecipanti.

Il Sole 24 Ore sintetizza così, nel titolo, le dichiarazioni di Monti: “Ripresa da metà anno”, “’Concentrarsi su crescita e lavoro, ridurre il debito non più con le tasse’”. E riferisce le sue parole: “Abbiamo messo regole severe affinché l’Italia in futuro non cambi percorso, con il pareggio di bilancio in Costituzione e il rispetto del fiscal compact”, “Abbiamo un sistema pensionistico tra i più sostenibili, abbiamo tagliato la spesa pubblica con due sessioni di spending review risparmiando 11 miliardi, abbiamo un programma per vendere asset pubblici e quote di società quotate perché il debito non è un fardello da affrontare solo con la tassazione”.

Internazionale

Un’intera pagina de Il Sole 24 Ore è dedicata al discorso sui rapporti con l’Ue tenuto ieri dal premier britannico Dvaid Cameron. Un “referendum secco, dentro o fuori”, secondo il quotidiano, sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione europea, è stato offerto agli elettori nel 2017, sulla base di un nuovo accordo che il premier ha annunciato di voler negoziare entro il 2015. Cameron spera quindi nella revisione dei trattati dell’Unione e in quella sede imporrà il proprio assenso alla fuga in avanti verso cooperazioni rafforzate nell’eurozona. “La Ue è un mezzo, non un fine”, ha detto.

La Stampa riassume così il messaggio lanciato da Cameron: se volete che restiamo, riformate il baraccone di Bruxelles come diciamo noi. Perché per Londra l’Europa deve essere soprattutto un grande mercato unico regolato il meno possibile. “Flessibile” è stata la parola-chiave, visto che è stata pronunciata sei volte, in riferimento a quel che dovrebbe essere l’Ue. “La gente è frustrata -ha detto Cameron- dal fatto che decisioni prese sempre più lontano da casa colpiscano i loro standard di vita attraverso austerità forzate o che soldi delle tasse siano usati per soccorrere governi dall’latra parte del continente”. Se l’è presa anche con la Corte europea dei diritti umani ed ha invocato un’Ue che sia una flessibile associazione economica: “Abbiamo bisogno di una struttura che tenga conto della diversità dei suoi membri: nord, sud, est, ovest, piccoli, grandi, vecchi e nuovi. Alcuni dei quali pensano a più strette forme di integrazione politica ed economica. Molti altri, invece, compresi i britannici, non condivideranno mai questo obiettivo”.

Il Corriere della Sera intervista l’editorialista del Financial Times Martin Wolf, secondo cui quella di Cameron è una “mossa tattica” e in realtà ogni decisione è rimandata. Parte dalle date: il governo inglese intende rinegoziare la partnership con l’Europa entro il 2015 e celebrare il referendum nel 2017. Le elezioni politiche si terranno nel 2015. Dunque, “mi pare che Cameron abbia voluto rinviare ogni decisione. Con il suo discorso ha sgomberato il campo di questa legislatura, puntando a raggiungere almeno tre obiettivi politici. Primo: evitare che il parito conservatore si spacchi definitivamente sull’Europa. Secondo: avviare negoziati che possano compiacere l’elettorato più isolazionista, spuntando la polemica dell’Uk independence party. Terzo: mettere in difficoltà i laburisti, che non hanno una vera proposta alternativa”. Secondo Wolf “Cameron non vuole lasciare l’Unione europea e anche questa rinegoziazione rimane materia piuttosto oscura. Su che cosa si dovrebbe trattare? La Gran Bretagna è quasi sempre stato un Paese semi-distaccato dalla Ue”.

Secondo La Stampa è ipotizzabile una prima vittoria di Londra sul capitolo del bilancio Ue 2014-2020: tra il 7 e l’8 febbraio i capi di Stato e di governo dovranno stabilire quanti soldi indirizzare nelle casse comuni. E la proposta del Presidente del consiglio Van Rompuy e della Commissione (che prevede una decurtazione di 80 miliardi) viene considerata troppo generosa da inglesi e nordici. E’ prevedibile che Francia e Italia cercheranno di recuperare fondi, le richieste del fronte britannico e nord potrebbero essere quelle di tagliare tutto sui progetti infrastrutturali connecting Europe e sulla funzione pubblica comunitaria. Una fonte interna al Consiglio spiega al cronista del quotidiano che “la Germania sta facendo ogni sforzo per tenere Londra nella Ue”, e il sottocomitato affari europei del governo britannico è stato tre volte a Berlino in poche settimane. In ansia è la Francia, da cui sono arrivate dure critiche, per bocca del ministro degli esteri Fabius: “Non è possibile avere una Europa à la carte. E il presidente Hollande: “L’Europa non è negoziabile”.

John Lloyd, su La Repubblica, ammette che, per quanto molto di ciò che ha detto Camere susciti irritazione, il suo discorso non è stato insensato e neppure euroscettico. Il cuore del suo discorso è tutto in tre affermazioni: la prima è che la Ue sta cambiando rapidamente sotto la pressione della crisi, e nessuno sa come andrà a finire; la seconda è che l’Europa non è competitiva nei confronti degli altri Paesi, e dovrebbe esserlo di più; la terza “e la più importante delle affermazioni è che l’Europa è profondamente antidemocratica. Ha sì un grande potere, ma la gente non sa come far sì che questo potere risponda del proprio operato”. Al discorso di Cameron su La Repubblica è dedicata anche una lunga analisi di Timothy Garton Ash, che non è mai stato contrario alla indizione di un referendum sui rapporti con la Ue da tenersi nel corso della prossima legislatura: “Anche se le espressioni usate sono palesemente finalizzate a compiacere gli euroscettici, c’è da dire che alcune delle critiche rivolte alla Unione europea odierna sono giustificate”. “La perorazione del discorso, scrive Garton Ash, è stata innanzitutto una illustrazione delle ragioni di interesse nazionale contenute nella prospettiva del partito conservatore. Ora sarà difficile per gli altri partiti rifiutarsi di lasciare al popolo britannico la possibilità di scegliere. Come dicono efficacemente i polacchi: dobbiamo ingoiare questa rana”.

Poi Ash sceglie la prospettiva del rapporto con l’India, dove si sente parlare di un apprezzamento per Londra come posto dove vivere e fare affari: “Ma non c’è la minima eco della idea neo-tory che un rapporto strategico speciale tra la Gran Bretagna e l’India, tra la Gran Bretagna e tutti i Paesi del Commonwealth possa sostituire il posto della GB in Europa e il rapporto dell’India con l’Europa in generale”.

Ieri l’audizione di Hillary Clinton alla Commissione esteri di Senato e Camera: l’ultimo atto pubblico come Segretario di Stato, e la diretta tv l’ha trasformata in evento nazionale, come scrive La Stampa. Oggetto della audizione era la uccisione a Bengasi, lo scorso 11 settembre, dell’ambasciatore Usa Stevens e di altri tre americani. Sulle carenze della sicurezza che consentirono ai jihadisti di distruggere il consolato, ha detto: “Me ne assumo la responsabilità, perché spetta a me garantire la sicurezza di 70 mila dipendenti”. Ma le ammissioni sono finite qui perché sullo scivolone di Susan Rice, che parlò di manifestazioni spontanee, la Clinton dice: Non sono stata io a scrivere il tesso che lesse l’ambasciatrice americana all’Onu. La cronaca dell’audizione parla di commozione della Clinton, ricordando l’ambasciatore Stevens, e della sua rabbia (con tanto di pugni battuti sul tavolo) in reazione al rimprovero dei Repubblicani di non aver adottato contromisure: “Basta, quattro americani sono morti!”. Il tono era invece da “comandante in capo”, secondo La Stampa, quando si è trattato di parlare di Al Qaeda che, secondo la Clinton, nel Maghreb islamico non ha attaccato l’America ma potrebbe farlo, ha la roccaforte nel nord Mali e il comando Africa del Pentagono avrà molto da fare, oltre 20 sedi diplomatiche rischiano attentati.

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini