Il marketing del terrore

Pubblicato il 2 Marzo 2016 in , da redazione grey-panthers

copertina_mondadoriDa Raqqa a Parigi, da Mosul a Londra oggi la comunicazione jihadista struttura il proprio racconto con i social media, i video, le riviste digitali e la radio. ISIS si è dimostrato capace di adattare la sua strategia di comunicazione per rafforzare il suo potere locale, reclutare nuovi combattenti o influenzare le opinioni pubbliche degli stati occidentali e arabi. Non soltanto immagini di guerra ed esecuzioni sommarie, ma anche una propaganda costante per dimostrare di controllare il territorio ed essere in grado di provvedere ai bisogni dei cittadini. Una comunicazione che vorrebbe generare terrore.

In questo saggio, curato da Monica Maggioni e Paolo Magri, nove esperti di comunicazione e di Medio Oriente analizzano la strategia di propaganda e consenso dell’lSIS, una prospettiva fondamentale per comprendere le radici del califfato che minaccia l’ordine mondiale.

Da Mosul a Raqqa, in Siria, gli “hudud” (ovvero le punizioni fissate dalla sharia per reati come il furto, la fornicazione, l’adulterio, l’apostasia) e le esecuzioni pubbliche sono ormai una pratica comune. Servono a terrorizzare la popolazione e a costruire un modello sociale di stretta obbedienza alle regole del califfo. Ma soprattutto mirano ad allargare il consenso del gruppo anche in Occidente. Per secoli, del resto, le esecuzioni pubbliche sono state usate come unalezione di vita, o in altri casi come un momento di leggero intrattenimento. La storia delle decapitazioni ci dice qualcosa.

Lo Stato Islamico è uscito allo scoperto tagliando la gola ad alcuni reporter occidentali e distribuendo i rispettivi video online, nel chiaro tentativo di massimizzare lo choc e rendersi visibile alla comunità internazionale, perché sapeva che in rete ci sarebbe stato un pubblico disposto a guardare. Con sdegno o meno non importa, questo è ciò che ci insegna la storia: da Maria Antonietta d’Asburgo all’ex criminale tedesco Eugen Weidmann, l’ultimo ghigliottinato a Versailles nel ’39, centinaia di boia hanno tagliato centinaia di teste nel corso degli anni con la consapevolezza di trovarsi in faccia a una platea di spettatori pronta ad assistere all’evento.

Dietro le decollazioni di James Foley e dei suoi ostaggi, l’Is(is) ha provato a costruire una sorta di dramma seriale e come in una fiction, al termine di ogni singolo episodio, è scoccata l’attesa per la prossima puntata. Oggi la rete ha aumentato il rischio che questo processo di degenerazione umana possa crescere fino a divenire irreparabile. Internet, che piaccia oppure no, ci offre sempre dei posti in prima fila. Boicottare questi terribili atti, insomma limitare la diffusione di immagini di propaganda, come appunto l’uccisione di cittadini omosessuali lanciati giù da un edificio o la distribuzione di video choc sulla cui origine non vi è alcuna certezza o attendibilità, nonostante la tecnologia oggi offra un buon rifugio per continuare a guardare, è il solo modo per iniziare a combattere realmente lo Stato Islamico.Questo non vuol dire ignorare quanto sta accadendo in Iraq e Siria o le minacce rivolte all’Occidente, al contrario, significa prenderne maggiore consapevolezza. (Augusto Rubei).

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