Diecimila bombe sotto i mari. La denuncia del dossier Legambiente

Pubblicato il 29 Febbraio 2012 in da redazione grey-panthers

Un cimitero chimico letale che circonda lo stivale rilasciando sostanze killer dannosissime per la salute di tutti. Sono oltre 30mila gli ordigni inabissati nel sud del mare adriatico, di cui 10mila solo nel porto di Molfetta e di fronte a Torre Gavetone, a nord di Bari. Nel meraviglioso golfo di Napoli, invece, sono 13mila i proiettili e 438 i barili contenenti sostanze tossiche inabissate. Se ci spostiamo lungo i fondali antistanti a Pesaro, scopriamo 4.300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico. Ma non stanno meglio il porto di Monfalcone e la Sardegna.
Numeri che spaventano, registrati dal dossier “Armi chimiche, un’eredita ancora pericolosa”, presentato nei giorni scorsi a Roma e promosso da Legambiente insieme al Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche.

Nel corso del convegno è stata presentata una mappatura dei siti inquinati dai resti della seconda guerra mondiale. Ma non solo. Non mancano migliaia di bomblet, piccoli ordigni derivanti dall’apertura delle bombe a grappolo sganciati dagli aerei Nato durante il conflitto in Kosovo sui fondali marini del basso Adriatico. “Sono cimiteri chimici dannosissimi che rilasciano sostanze killer come arsenico, iprite, lewsite o acido cloro solfonico – spiega il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani. – Il Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche nasce proprio per richiedere la bonifica di questi siti e per denunciare la situazione. Ci aspettiamo un cambio di passo, un segnale di protagonismo da parte delle istituzioni a partire dal ministero della Difesa e dal Parlamento”.
La Convenzione di Parigi prevede che ogni stato si impegni a distruggere e smaltire le armi chimiche sul suo territorio e quelle abbandonate sul territorio di altri paesi. Ma qui entra in gioco un discorso di policy nazionale e la policy del ministero degli Affari Esteri stabilisce che l’Italia gestisca da sé gli ordigni presenti sul suo territorio.
Un’indagine condotta dall’Ispra sulle conseguenze ambientali dell’abbandono delle armi chimiche nel golfo di Manfredonia ha rilevato nei pesci alterazioni del dna e degli enzimi epatici, presenza di arsenico nei muscoli e nel fegato superiori alla norma, ulcere riconducibili al contatto con l’iprite, sui cui contenitori i pesci vivono e fanno la tana.
“Entro l’anno – ha fatto sapere Antonello Massaro, direttore dell’Nbc di Citavecchia dove gli ordigni rinvenuti in Italia vengono demilitarizzati e distrutti – inizieranno i lavori di bonifica del lago di Vico, in provincia di Viterbo, che erano già stati programmati in previsione della dismissione del sito”. I fondi già ci sono e ammontano a 1,2 milioni di euro.