Dad, tasse (e tutto il resto): ecco perché l’università italiana è in coda all’Europa

Pubblicato il 26 Marzo 2021 in , da redazione grey-panthers

Nell’anno del Covid non c’è stato il temuto crollo delle immatricolazioni all’università. Anzi, nell’autunno 2020 gli atenei italiani hanno registrato un aumento di oltre il 5% delle nuove iscrizioni ai corsi triennali: 322.729, contro i circa 307 mila del 2019. Boom a due cifre in diversi atenei tra cui la Statale di Milano (+21,5%), l’Università della Tuscia (+56,3%) e l’Orientale di Napoli (+32,4%). La crescita, sebbene con numeri inferiori, ha riguardato anche gli atenei privati: Luiss +6,4%, Bocconi +3,1%, Cattolica + 2,5%. Tuttavia siamo ancora molto lontani dai numeri degli anni ’90, quando le matricole raggiungevano mediamente ogni anno le 360 mila unità.

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L’estensione della «no tax area» e l’aumento delle iscrizioni

A far tornare attraente tra i giovani la formazione universitaria forse non è solo la sete di sapere. Nel «decreto Rilancio» del governo Conte II sono stati stanziati 165 milioni in più per l’ampliamento della no-tax area (l’esenzione totale) e per la riduzione delle tasse universitarie: nell’anno accademico 2020-21 chi ha un Isee sotto i 20 mila euro non paga le tasse, fino al 2019 il tetto dell’esenzione era di 13 mila euro. Altri 40 milioni sono stati destinati all’incremento del fondo integrativo statale per le borse di studio, passando dai 267 milioni ai 307. Il risultato positivo delle immatricolazioni è dovuto anche al trasferimento di gran parte delle attività online: ciò ha permesso a molti studenti di restare nelle proprie città senza doversi trasferire, evitando i costi da fuorisede.

Gli studenti italiani pagano tasse troppo alte

Eurydice, la rete di informazione sull’istruzione Ue, ha recentemente pubblicato il «National Student Fee and Support Systems in European Higher Education – 2020/21», report che mette a confronto le tasse universitarie e gli aiuti finanziari concessi dagli Stati agli studenti in tutta Europa. L’Italia — rivela lo studio — è uno dei Paesi dell’Unione in cui si pagano le tasse più alte: in media 1.628 euro all’anno. Per la triennale si va dai 200 euro per i redditi più bassi ai 2.721 euro per quelli più alti, per la magistrale si arriva fino a 2.906. Nell’anno accademico 2018/19, almeno il 72,5% degli studenti del primo ciclo e il 74,6% degli studenti del secondo ciclo hanno pagato le tasse. Gli altri sono stati esentati perché avevano un Isee inferiore a 13 mila euro. Gli studenti part-time, ovvero coloro che dimostrano di studiare e lavorare, pagano proporzionalmente meno degli studenti a tempo pieno. Gli studenti universitari provenienti da altri Paesi sono sottoposti allo stesso regime di tasse.

Quanto pagano nel resto d’Europa

In Europa ci sono 5 modelli di tassazione universitaria. Il primo, adottato da parte del Regno Unito e dalla Norvegia, presenta imposte molto alte (oltre 3 mila euro). In Inghilterra le tasse sono fissate dagli atenei, sono pagate da tutti (non ci sono esenzioni per i redditi più bassi) e non possono superare le 9.250 mila sterline all’anno (circa 10.800 euro). Il secondo modello presenta tasse medio-alte (tra mille e 3 mila euro) ed è adottato da Italia, Spagna, Olanda e Irlanda. In Spagna l’importo varia a seconda del campo di studio che si sceglie, del livello (primo o secondo ciclo), dei voti ottenuti agli esami e della Comunidad dove si studia. Si va da un minimo di 700 euro a un massimo di 2.680 euro. I redditi più bassi possono usufruire sia di esenzioni che di riduzioni delle tasse. Nell’anno 2018/19, il 76,5% degli studenti del primo ciclo e l’84,7% degli studenti del secondo hanno pagato le tasse. Il terzo modello presenta tasse medio-basse (da 100 a mille euro), adottato da Francia, Portogallo, Austria e Belgio. In Francia le imposte universitarie sono molto basse: gli studenti del primo ciclo pagano 262 euro, quelli del secondo 335 euro. Nell’anno accademico 2018/19, il 66% ha pagato le tasse. Il quarto modello è adottato da Germania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia. In questi Paesi per frequentare l’università si paga meno di 100 euro. In Germania non ci sono tasse di iscrizione né nel primo né nel secondo ciclo in nessun Land. In otto Länder, le spese variano da 50 a 75 euro e sono a carico di tutti gli studenti. Tuttavia, in almeno sei Länder gli studenti che non rispettano la regolarità degli esami sono tenuti a pagare una sovrattassa di 500 euro a semestre. Infine il quinto modello è seguito da Svezia, Finlandia, Danimarca, Scozia e Grecia: qui gli studenti pagano zero tasse. Per quasi tutti gli Stati (esclusi Francia, Portogallo, Inghilterra e Olanda) le tasse aumentano se lo studente va fuori corso.

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Meno borse di studio degli aventi diritto

Per quel che riguarda le borse di studio, nonostante negli ultimi anni i finanziamenti siano aumentati, l’Italia è uno dei Paesi che eroga meno sussidi agli studenti. Solo il 14% percepisce una borsa di studio, assegnata tenendo conto principalmente della condizione economica e solo successivamente dei meriti accademici. A stabilire gli importi minimi delle borse, ogni anno, è un decreto del Miur: quello relativo al 2020/21 è di 1.981 euro per gli studenti in sede, 2.898 euro per i pendolari e 5.257 per i fuorisede. Nell’anno 2019/2020 hanno ottenuto la borsa di studio 224.177 studenti su 231.258 che ne avevano diritto. Negli ultimi 3 anni sono stati mediamente 7 mila gli studenti esclusi pur avendone diritto. Il motivo: finiti i fondi.

Le strategie di finanziamento in Europa

L’unico sistema pubblico a non concedere borse di studio agli studenti è quello inglese. Per il resto d’Europa esistono tre principali criteri di assegnazione: universale, per necessità e per merito. Nel primo caso le borse di studio mirano a raggiungere gran parte della popolazione studentesca senza privilegiare alcuna specifica categoria. Questo approccio è seguito in Danimarca, Lussemburgo, a Malta, in Finlandia, Svezia, nella regione del Galles e in Norvegia. Ad esempio in Danimarca nel 2019 il 92% degli studenti del primo ciclo e il 77% degli studenti del secondo ciclo hanno ricevuto una borsa di studio. Il secondo gruppo è formato dai Paesi, come l’Italia, che tengono conto principalmente delle difficoltà economiche degli studenti. Tra questi ci sono anche Spagna e Francia, entrambi riescono a garantire molti più sussidi dell’Italia, rispettivamente al 30% e al 34% degli studenti. Una parte minoritaria di Stati europei non considera la condizione economica, ma offre sovvenzioni basate esclusivamente sul merito: Lettonia e, fuori dalla Ue, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Serbia. In Germania il 12% degli studenti riceve il «BAföG», un finanziamento metà gratuito e metà sotto forma di prestiti senza interessi. L’importo medio assegnato nel 2018 è stato 5.916 euro all’anno, quello massimo arriva a 10.332 euro. In più ci sono diversi tipi di aiuti basati esclusivamente sul merito, che vanno da un minimo di 300 euro al mese fino a 1.161.

universitàPrestiti di Stato e prestiti d’onore

Una delle grandi differenze tra l’Italia e il resto della Ue è il ricorso a prestiti. Nella maggior parte dell’Unione sono gli Stati a garantire il supporto finanziario necessario a mantenersi durante il periodo universitario e che sarà restituito a un tasso fisso sulla busta paga guadagnata dopo la laurea. In Germania il 12% degli studenti ricorre ai prestiti statali, in Danimarca il 19%, nei Paesi Bassi il 54% e in Inghilterra addirittura il 94%. In Italia, invece, gli studenti che usufruiscono dei «prestiti d’onore» sono meno dell’1%, anche perché queste forme di finanziamento sono erogate da banche o finanziarie e la garanzia del Fondo pubblico per il credito ai giovani è del 70%.

Conseguenze: pochi laureati e troppi abbandoni

Per numero di laureati l’Italia resta in coda tra i Paesi dell’Unione europea. Secondo gli ultimi dati Eurostat solo il 27,6% dei giovani italiani tra i 30 e i 34 anni ha completato gli studi universitari, contro il 40,3% della media Ue. In testa alla classifica ci sono Cipro (58,8%), Lituania (57,8%), Lussemburgo (56,2%), Irlanda (55,4%), Svezia (52,5%) e Paesi Bassi (51,4%). Peggio di noi fa solo la Romania (25,8%). In tutti gli Stati la percentuale di donne che hanno completato l’università è superiore a quella degli uomini. Per quanto riguarda gli addii precoci, cioè coloro che si iscrivono ma poi lasciano, i dati più recenti (2016) dimostrano che in Europa sono in testa i francesi (circa 1,1 milioni di abbandoni), seguono italiani (523 mila), inglesi (404 mila), polacchi (201 mila), spagnoli (174 mila) e tedeschi (165 mila).

Investimenti bassi e distribuzione dei redditi ineguale

Nel 2019 la spesa pubblica nell’università italiana raggiungeva appena lo 0,4% del Pil, molto più bassa non solo rispetto a Francia (1,1%), Germania (1%), Spagna (0,8%), ma anche alla media Ue (0,9%). Il fatto che l’istruzione sia poco considerata è dimostrato anche dagli stipendi: in Italia un laureato fra i 25 e i 34 anni percepisce una busta paga solo del 19% più consistente rispetto ai coetanei non laureati. Nell’area Ocse la differenza è del 38%. In conclusione allargare la no-tax area e aumentare le borse di studio per i meno abbienti sono iniziative positive, ma non incidono. Sulla questione è intervenuta anche la Corte dei Conti: in un report dedicato al finanziamento delle borse di studio ha evidenziato come «l’elevata tassazione, oltre a costituire un fattore di discriminazione e di disuguaglianza anche di genere, potrebbe essere letta come una delle ragioni del basso livello di laureati in Italia rispetto alla Ue con effetti anche sui tassi occupazionali». Per allinearsi alla media Ocse serve anche una riforma più ampia dell’istruzione universitaria, con la messa in campo di strategie simili a quelle degli altri Paesi Ue, che premiano il merito accademico con fondi specifici e incentivano i prestiti erogati dallo Stato, non solo per chi si trova in situazioni disagiate. Una situazione che invece impera in tutta Europa è il fatto che le donne continuano ad essere pagate meno degli uomini, in media il 25%. In Italia addirittura il 30%. Una storia intollerabile nel XXI secolo!

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di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Fonte: Dataroom, Corriere della Sera 23 marzo 2021