Storie vere di gente perbene, raccolte da Olga Orlandi

Pubblicato il 11 Luglio 2016 in

Tutti gli amici grey-panther sono autorizzati,  a raccontare la propria storia di amore e di sesso, replicando in calce a questo articolo pubblicheremo volentieri. Noi abbiamo raccolto alcune testimonianze di grey-panther a noi noti.

MATRIMONIO TARDIVO

Bianca S.: un voluminoso caschetto cenerino ne incornicia il volto, la frangia folta e un po’ lunga infastidisce gli enormi occhi blu e lei la scaccia di lato con un colpo della mano. A tratti, raccontando, s’illumina, e mostra un sorriso grande, che rivela i segni d’espressione di un viso da sempre in confidenza con l’allegria. Ha già conquistato i cinquanta, Bianca, li ha vissuti quasi tutti da nubile poi, senza che lo cercasse, ha incontrato l’uomo che valeva la pena di sposare.

“Essere single tanto a lungo non è stata una scelta, ma nemmeno una presa di posizione. Sono stata una ragazza vagabonda, ho studiato lontano da casa e, presa la laurea, non ci sono tornata comunque. Ho trovato il mio approdo a Bologna, la città che ha conquistato il mio cuore e dove ho dato una dimensione originale alla mia vita; inizialmente sono stata sedotta dall’atmosfera culturale e politica, entusiasmata dal tourbillon di amicizie, poi, negli anni, mi sono sempre più impegnata nell’insegnamento, e ho cominciato a godere del piacere di una serena routine, pur sempre punteggiata d’eccezioni spensierate: cene imbandite anche all’ultimo minuto, inviti dati e ricevuti con entusiasmo e iniziative colte al volo senza mai sentirmi stanca… infine, tra un rogito ed una gita fuori porta, ero diventata grande!”

“Non avere un compagno fisso tanto a lungo aveva fatto di me una donna emancipata, ma, oggi lo posso dire, anche un’individualista, mal disposta verso la condivisione e l’adattamento, a meno che non si trattasse di occasioni orchestrate da me. Insomma, m’avviavo a essere un’eterna signorina e bastavo a me stessa, o meglio, mi concedevo le avventure sentimentali che m’attraevano, ma senza la brama di mettere a segno una conquista decisiva. Per questo, forse, non ho avuto grandi indecisioni quando ho conosciuto Aroldo: non l’aspettavo e, nello stesso tempo, poco dopo il nostro primo incontro, non avrei mai rinunciato alla sua vicinanza per difendere la mia libertà”.

“Ed è stato così che mi sono innamorata di un artista. Un uomo poco loquace, ma sincero, ruvido ma generoso, intellettuale ed operaio insieme: contadino e scultore, falegname e pittore, manovale e scrittore. Per lui, ma soprattutto, con lui, ho sorpreso amici e parenti: mi sono sposata. E’ stato in una radiosa mattina di giugno, nel piccolo municipio di un paesino dell’alta Toscana, una cerimonia semplice semplice, seguita da una piccola folla di parenti e dagli amici più intimi. Non si è trattato di un evento emozionante allo stesso modo di un matrimonio giovanile: noi sposi eravamo felici, ma sereni, gli invitati curiosi e allegri. Tra gli adulti sgambettavano non i nipoti ma i figli dei nipoti, mentre le due mamme seguivano attente la lettura degli articoli, puntellate sui bastoni, più sollevate che commosse, non senza un pizzico di gelosia, ma consapevoli che non era più tempo di raccomandazioni”.

“Lo scambio degli anelli non è stato un coronamento, bensì l’inizio di un’avventura ben più grande, di cui l’impresa più straordinaria è stata la ‘Casa del Vento’: un rudere abbarbicato oltre i boschi, sulla vetta rocciosa di un colle della Lunigiana, che è diventato, con tanto duro lavoro, la nostra favolosa dimora. Aroldo ha lavorato senza posa per riordinare quello che a chiunque altro sarebbe sembrato un irrecuperabile ammasso di mattoni sconnessi e, cosa che non avrei mai creduto, anch’io mi sono rimboccata le maniche. Senza mai scoraggiarci, abbiamo rattoppato il tetto, scrostato i pavimenti di graniglia, issato travi e costruito mobili, e quando c’è stato quel minimo d’ordine che lo consentiva, abbiamo traslocato le suppellettili e i ricordi di due esistenze e li abbiamo fatti incontrare, e niente è parso stonare con nient’altro: un interessante caos, più artistico che raffazzonato, ha cominciato ad animare stanze e scale e ripostigli e a ri-diventare familiare. Quindi sono venuti l’orto e le galline, la gatta e, poco dopo, la nidiata, i quadri e le sculture, ed anche la linea del telefono! Infine gli amici, ai quali sapevamo, visto l’isolamento volontario, di dover essere pronti a rinunciare, hanno bussato alla porta e, uno dopo l’altro, sono venuti ad inaugurare la ‘Casa del Vento’ e poi sono tornati ancora, a sedersi sotto la veranda in cortile e ad assaggiare le fave appena colte, o a raccogliersi intorno al camino sbocconcellando la farinata appena sfornata…”

“Un aneddoto ben descrive questo mio innamoramento tardivo. Prima di sposarmi ero insofferente al freddo e affrontavo gli inverni intabarrata e comunque sempre tremante; quando, con Aroldo, ci siamo trasferiti in montagna, per mesi, aspettando di avere un impianto di riscaldamento moderno, abbiamo utilizzato la vecchia, laboriosissima, caldaia a legna: pur rinfocolando di continuo la fornace, il gelo s’insinuava da ogni spiffero, tuttavia non posso dire di aver mai battuto i denti. Domandandomi stupita cosa m’avesse infuso questa nuova tempra, ho finalmente compreso cosa significasse che i sentimenti autentici scaldano il cuore”.

…IN TRE

Rita. Quando dichiara i sui ottant’anni viene il dubbio che sia una bugia per aggiudicarsi un complimento: la capigliatura imbiancata non impedisce di percepire che è un tipo bruno e, infatti, le dona il la tinta amaranto della camicia. Le gambe snelle sono infilate in un pantalone dal taglio maschile, adatto a passeggiare comoda. Perché Rita ha sempre da fare e cammina ogni giorno per sbrigare i suoi impegni. Camminando, racconta, seria ma per nulla affranta, la storia del suo matrimonio, in equilibrioda trent’anni , nonostante “l’altra”.

“In quanto a longevità il mio matrimonio ha un’età invidiabile, le chiamano ‘nozze di smeraldo’: cinquantacinque anni dal ‘sì’… eppure ha smesso da un pezzo di essere un’unione convenzionale, da quando, pur già cinquantenne, mio marito si è innamorato di un’altra donna”.

“Al di là dei soliti arrovellamenti sul perché sia stata vittima di un tradimento credo che sia molto più interessante raccontare come e perché ho deciso di accettarlo ciò nondimeno ostinandomi ad imporre delle condizioni. Mio marito ed io ci siamo amati in modo autentico, abbiamo vissuto il momento romantico dell’infatuazione, l’idillio delle coppie giovani e speranzose nel futuro, siamo stati affiatati nella passione per i viaggi e affini nelle velleità intellettuali; nel crescere i nostri figli abbiamo messo tutta la saggezza possibile, ma anche una buona dose d’anticonformismo. Negli anni sessanta, pur essendo già genitori, ci siamo sentiti coinvolti dal clima rivoluzionario: io, come insegnante, ho abbracciato l’idea della “scuola democratica” e, come coppia, abbiamo voluto dirigere la famiglia nella stessa direzione”.

“Siamo stati fortunati, perché la rivoluzione culturale di quegli anni non ci ha travolti, le nostre origini affondavano in un epoca di ‘saldi principi’ e, dell’ondata sovversiva abbiamo potuto respirare l’aria di rinnovamento senza perdere la bussola. Insomma, la nostra unione era solida, ispirata e fertile (in tutti i sensi!)”.

“La vita, però, ci mette inesorabilmente alla prova, ed è così che la nostra primogenita Anna, all’indomani dell’adolescenza, ha cominciato a cedere alla sua indole border-line e, per tutti noi, è iniziata una lunga stagione dolorosa. A mio marito, in quegli anni, il destino ha voluto elargire un’occasione di salvezza: gli è stato proposto di lavorare in un’altra città e lui ha deciso di accettare; non senza il dispiacere di separasi dalla famiglia ma, credo, anche con sollievo all’idea di potersi allontanare dalle mattane logoranti di una figlia tanto complicata. Col passare dei mesi, e poi degli anni, la trasferta ha certamente alleggerito la sua coscienza e, alla fine, gli ha permesso anche di distarsi da noi, d’innamorarsi nuovamente di un’altra donna”.

“Non posso dire che sia stato un tradimento del tutto abbietto, forse perché, per carattere sono poco idealista ed anche perchè la distanza, in qualche modo, aveva sopito anche i miei sentimenti. Quando il ‘fatto’ mi è stato rivelato non si è trattato di una deflagrazione, piuttosto ha preso l’avvio una ‘partita’ giocata onestamente. Non ho saputo da subito che fare: tentare una riconquista, provare una terapia di coppia o accettare il divorzio”.

“Dopo moti ripensamenti ho deciso: mio marito aveva smesso di amarmi e a questa evidenza mi sarei arresa, ma restava il padre dei mie figli e non ho voluto affrancarlo dai suoi oneri. Almeno non ufficialmente. Quindi ho accettato la sua nuova compagna (ovviamente senza nessuna curiosità di conoscerla), ed anche la separazione, pur pretendendo che fosse sempre disponibile per i ragazzi, ma ho fermamente rifiutato una rottura formale. Il nostro menage non si è del tutto perduto: feste comandate e vacanze hanno continuato a riunirci tutti, e, per ogni evenienza, ha potuto conservare una copia di chiavi e trovare ospitalità in quella che, infondo, è ancora ‘casa sua’.”

“Non so se la decisione di non cedere al divorzio sia stata esclusivamente dettata dalla ragione, probabilmente anche dalla resistenza ad uno smacco doloroso, ma so che non interrompere il nostro ‘contratto’ ha mantenuto insieme il nucleo familiare impedendo che il suo ruolo di padre e di marito divenisse ambiguo, impedendo l’eventualità che i desideri della nuova compagna l’allontanassero irrimediabilmente da noi.”

“Non credo che la mia storia sia un esempio infallibile, ma ha funzionato per noi. Evidentemente, mezzo secolo fa, quello con mio marito non fu un incontro casuale, eravamo davvero due anime affini, tant’è che, al palesarsi della crisi, ci siamo ritrovati, convenendo ognuno sulle condizioni dell’altro. Ammetto che la mia non è una storia comune, piuttosto un caso raro, nel mezzo tra i divorzi drammatici ed i matrimoni di facciata, dunque so che è inutile suggerire il mio modello come una garanzia, piuttosto come la testimonianza, al di fuori delle convenzioni, che anche per un’unione fallita esiste la via per un epilogo civile e dignitoso”.

BASTA CHE FUNZIONI

Che è un uomo di potere ce l’ha scritto in faccia, Guido. Elegante, perfettamente rasato, un’andatura svelta, un fisico compatto, solo un po’ piegato a destra, il lato dal quale regge la borsa di cuoio. Puntuale, ma non un minuto in anticipo, prima di cominciare la conversazione dà un’ultima occhiata allo smart phone, poi lo ficca nel taschino.

La stretta di mano decisa, la gestualità asciutta, lo sguardo alto: Guido è un boss, anche fuori dall’ufficio. Si tradisce solo per un attimo, quando, appena accomodato, si torce a destra e poi a sinistra e si assicura di essere tra sconosciuti, quindi, sottovoce, pretende l’anonimato. Poi, ogni ombra pudica svanisce e “il nostro” si concentra per rastrellare tra i ricordi tutti i particolari della sua impresa irresistibilmente detestabile.

“So già che il racconto delle mie vicende amorose scatenerà reazioni indignate, o, tutt’al più, indulgenti, che molti si improvviseranno psicologi dei sentimenti e che qualcuno sarà pietoso. Comunque, solo due saranno i responsi: ‘bastardo’ o ‘abbandonico’. A me sta bene, è lo scotto per una scelta terribilmente megalomane. E, infatti, dichiaro: sono felicemente sposato e sono un amante felice.

Non sono sempre stato così sicuro di me, così sfacciato e funambolico; carriera e sentimenti si sono evoluti di pari passo: successi professionali e conquiste amorose mi hanno, a turno, incoraggiato nell’ardire in una o l’altra direzione. Un raro caso di circolo vizioso e virtuoso insieme!

Non mi vergogno a rivelare che, in gioventù, sono stato un umile sgobbone e un corteggiatore impacciato. Tuttavia mi sostenevano tenacia e determinazione incrollabili e, resistere, mi ha ben ripagato, in senso figurato e letterale!”

“Dopo aver faticato con metodo ed abnegazione per qualche anno, ho cominciato a firmare contratti sempre più ‘sostanziosi’ finché ho intuito che ero pronto per essere a mia volta imprenditore. Allora non mi sono congedato con una leale stretta di mano: ho lavorato segretamente per fondare una società rivale di quella in cui ero assunto e, superate le trafile burocratiche, mi sono licenziato senza preavviso! “

“Da quel momento non ho avuto più esitazioni, anche perché, evidentemente, avevo una vocazione per il mio mestiere e, in poco tempo, ho letteralmente sbaragliato la concorrenza. Esattamente com’è accaduto nel corteggiamento di mia moglie”.

“Quando l’ho conosciuta, Emma era molto giovane e, benché fosse attraente ed apparisse sicura di sè, sebbene s’accompagnasse a un altro spasimante, si è lasciata conquistare senza pretendere una sfida a singolar tenzone. Era decisamente il genere di donna che volevo accanto per la vita: bella, ma non vanitosa, sensata, ma non caparbia, istruita, ma assennatamente conformista. Il mio desiderio era anche il suo: sposarsi e avere dei figli. E così è stato”.

“Dal momento in cui si sono spente le luci sui festeggiamenti nuziali, ha preso il via un’amabile routine che, ancora oggi, quando la sera rincaso, libera la mia mente dal turbinio dell’ufficio e dalle spericolatezze della mia altra vita, quella non domestica delle strenue contrattazioni, degli investimenti rischiosi, degli affari vincenti e, da una decina d’anni circa, della mia relazione clandestina”.

“In effetti, chi non prova non può saperlo: avere un’amante è assai macchinoso. Mettendo da parte il discorso dei sensi di colpa che, per qualcuno può non essere un così grande ostacolo, a complicarsi infinitamente è… l’agenda. Inizialmente la brama di frequentare l’altra è grande e ti rende spericolato, ti ottunde, ti distrae da ogni appuntamento; la sguaiataggine delle avance iniziali può svergognarti al primo passo falso; così sei rovinato: la famiglia ti ripudia e la società ti ostracizza”.

“Io ho presto intuito che non potevo e non volevo prendere un crinale disastroso e, per questo, ho escogitato una trama perfettamente pianificata perché i due menage fossero del tutto complementari. Addirittura, e questa è davvero l’apoteosi del mio ordito, ho fatto in modo di intrecciarli insieme”.

“Non posso negare di avere incontrato la complice perfetta per il mio misfatto passionale… Giovanna: furba, sguaiata, avvenente. Un fisico smagliante, procace; uno stile appariscente. Eppure vigile, scaltra, bugiarda in modo magistrale. Anche Giovanna è sposata, e madre, e non ha mai avuto intenzione di abbandonare la sua famiglia o di perdere la sua rispettabilità e le sue consuetudini casalinghe. E’ stato dunque semplice intenderci sulla posta in gioco”.

“Forti della nostra intesa abbiamo architettato un vero capolavoro fedifrago. Innanzi tutto, Giovanna, è diventata la mia segretaria. Quindi abbiamo davvero reso simbiotico il nostro rapporto professionale, in modo che né le frequentissime telefonate, né l’attardarsi in ufficio oltre l’orario impiegatizio destassero sospetto. Effettivamente, essere al vertice dell’organigramma aziendale mi ha avvantaggiato nell’ottenere discrezione dai dipendenti e complicità goliardica dai soci in affari, ma questo è pur sempre merito della mia abilità! E di quella di Giovanna”.

“Ma ecco che, sopiti gli istinti bollenti, appagato il desiderio ‘farabutto’, affinate le tecniche teatrali, messi a punto linguaggi cifrati e segreti cenni d’intesa, ci siamo resi conto che, complice anche l’età matura, eravamo ‘al di sopra di ogni sospetto’; così siamo voluti andare oltre: abbiamo trasformato il nostro tête à tête in un festoso banchetto tra ignari parenti acquisiti!”

“Per rompere il ghiaccio abbiamo organizzato un incontro casuale, fingendo grande sorpresa tra un tempo e l’altro di una proiezione serale e proponendo, alla fine dello spettacolo, un ‘doppia coppia’ in un buon posticino nei dintorni. La trovata è stata un successo assoluto: non eravamo al dolce che già i rispettivi coniugi si davano appuntamento per una ‘seconda edizione’!”

“Da quella sera, l’infallibile formula ‘cinemino e cenetta’ (avevamo ormai un lessico bi-famigliare!) è diventata una costante del nostro tempo libero e, dopo poco, si sono aggiunti inviti e contro inviti. Infine, come nelle migliori amicizie, abbiamo pianificato la nostra prima vacanza insieme: tutti al mare!”

“Come concludere? Sono sbalordito io stesso della recita che abbiamo messo in scena, e delle ovazioni raccolte in famiglia, del gran numero di repliche che abbiamo dovuto concedere e di quanto partecipi siano stati gli altri due coniugi. Non credo di poter convincere molti che si è trattato di un’alchimia benefica per tutti coloro che hanno preso parte alla cosa, mogli e mariti, amanti e amici, ma, per quel che mi riguarda, non vorrei mai che questa finzione si esaurisse”.

“Non ho più l’età per le scorribande e, d’altro canto, non sfiorisce in me la vocazione poligama. Sono un diversamente-maturo, un professionista del tradimento indolore, una rarità fedifraga. Mi viene in mente l’ultimo film di Woody Allen, l’ha intitolato ‘Basta che funzioni’ e l’ho trovato illuminante: ‘ecco perchè non lo dirò mai abbastanza…qualunque amore riusciate a dare e ad avere…qualunque felicità riusciate a rubacchiare o a procurare; qualunque temporanea elargizione di grazia… basta che funzioni!’