I magnifici sette: Ermanno Olmi, una società di individui in un cammino di ricerca

Pubblicato il 5 Febbraio 2018 in Outdoor Cinema
Ermanno Olmi

Il dato caratterizzante la poetica di Ermanno Olmi (n. 1931) è la sua dichiarata adesione al cristianesimo, sia pur vissuto e interpretato autonomamemnte anche rispetto agli indirizzi della gerarchia cattolica. Un “cristianesimo critico” che affonda le sue radici in una lunga tradizione storica, sociale e anche artistica sempre presente nella cultura italiana, sia pur in posizioni minoritarie. Figlio di un ferroviere e di una casalinga, Olmi cresce tra Milano, dove vive la sua famiglia, e Treviglio (BG), nella casa dei nonni materni. Si tratta dunque di contesti rurali o di piccolissima borghesia urbana che torneranno spesso nei suoi film. Il padre, socialista, lascia le Ferrovie dello Stato per non iscriversi al Partito Fascista, adesione obbligatoria per tutti i dipendenti pubblici. Segue un periodo di precarietà e povertà per la famiglia, mitigato solo dall’assunzione dell’ex ferroviere alla Edison per manovrare piccole locomotive alle Officine del Gas. Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, Olmi padre muore e la Edison assume la vedova.

Ermanno Olmi in Piccoli calabresi sul Lago Maggiore

Energia per il cinema

Dopo studi poco proficui, interrotti prima del diploma, anche il giovane Ermanno entra nell’azienda di Foro Buonaparte. Ben presto comincia a interessarsi delle attività ricreative e dopolavoristiche. In breve passa alla sezione cinema ovvero alla realizzazione di cortometraggi che documentano l’attività del colosso energetico nel settore idroelettrico con la costruzione di dighe e centrali in molte località dell’Arco Alpino. In pochi anni gira decine di documentari e in tutti l’autore mette in risalto soprattutto il contributo umano alla realizzazione dell’opera, al di là delle sue specifiche tecniche. Su questa falsariga si colloca anche il primo lungometraggio a soggetto: Il tempo si è fermato (1959). Protagonisti il guardiano di un cantiere in alta quota e uno studente-lavoratore che lo affianca per alcune settimane durante la stagione invernale. Il rapporto-contrasto tra i due uomini, le diverse mentalità, il gap generazionale e la maestosità della natura rappresentano i temi su cui si sviluppa il racconto.

Il posto 1961
Il posto, 1961

L’Italia del boom

Lasciata la Edison, a trent’anni Olmi si dedica professionalmente al cinema volgendo lo sguardo soprattutto al disagio e allo spaesamento di un paese in pieno sviluppo e in grande trasformazione, ma ancora profondamente legato alle proprie tradizioni. Il posto (1961) e I fidanzati (1963) sono i titoli di questa prima stagione che risentono non solo di uno spiccato autobiografismo, ma sempre di un’attenzione privilegiata per le classi subalterne. Segue il docufiction E venne un uomo (1965), sulla figura di papa Giovanni XXIII, e il semidocumentaristico I recuperanti (1969), girato sull’altopiano di Asiago tra le persone che campano rischiando la vita per raccogliere e vendere sul mercato del ferro gli ordigni inesplosi della Prima Guerra Mondiale. Spesso, come in quest’ultimo caso, l’autore si avvale di attori non professionisti privilegiando la “realtà” nella sua immediatezza al posto della professionalità artistica. In tal modo Olmi adotta uno degli stilemi caratterizzanti il cinema neorealista anche parecchi anni dopo la fine del Neorealismo.

I Recuperanti
I Recuperanti

Un grande affresco rurale

Non particolarmente memorabili sono Un certo giorno (1968), Durante l’estate (1971) e La circostanza (1974), legati all’attualità della crisi subentrata al boom, mentre con L’albero degli zoccoli (1978), affresco rurale sulla Lombardia dell’800, il regista realizza l’opera più compiuta tra impegno etico e orizzonte estetico. L’ispirazione gli viene dalla memoria degli anni passati nella cascina della nonna, a Treviglio, ma la sintesi estetica è lontanissima dall’“amarcord”. Per Olmi, infatti, civiltà e natura, storia e mito, fisico e metafisico, immanente e trascendente sono compresenti nell’esperienza umana e interagiscono secondo un disegno che, pur sconosciuto alle creature, è comunque ordinato al loro bene. Il male, l’infelicità, il dolore derivano perciò dall’ignoranza di questo disegno, dal fatto che le conoscenze e la stessa esistenza sono limitate e condizionate. L’uomo può solo abbandonarsi, con la forza della fede, al trascendente. È questa la saggezza contadina che anima i braccianti della Bassa, che li aiuta a superare i rovesci della fortuna, ma anche a sopportare le angherie dei padroni. Non per debolezza o mancanza di coscienza sociale, ma per virtù cristiana, plasmata sull’esempio del crocifisso.

L'albero_degli_Zoccoli
L’albero degli Zoccoli

Un’ipotesi che si fa bottega

Alla fine degli anni ’70 si colloca anche la decisione di Olmi e della sua famiglia (la moglie Loredana Detto, a suo tempo protagonista femminile del Posto, i figli Fabio ed Elisabetta, entrambi attivi nel cinema rispettivamente come direttore della fotografia e direttore di produzione) di trasferirsi ad Asiago, il paese dei Recuperanti, in una scelta ecologica ante litteram. Conseguenza importante della svolta di vita è anche la fondazione, nel 1982 a Bassano del Grappa, della scuola-atelier Ipotesi Cinema il cui intento è quello di formare giovani generazioni di cineasti in uno spirito il più possibile vicino alle “botteghe” d’arte medievali e rinascimentali in cui maestro e allievi collaborano insieme allo stesso progetto in una forma di apprendimento comune che privilegia l’esperienza concreta alle nozioni teoriche. A Ipotesi Cinema si sono formati diversi giovani autori che poi hanno sviluppato una carriera autonoma di un certo rilievo come Francesca Archibugi, Maurizio Zaccaro, Piergiorgio Gay e Mario Brenta.

Lunga vita alla signora
Lunga vita alla signora

La messa in scena delle Scritture

Dagli anni ’80 la riflessione del regista si sposta verso un’analisi (e quindi una rappresentazione) ancora più diretta dei problemi della fede mediante la messa in scena di alcuni testi della Sacra Scrittura, ancorché sempre tradotta in vicende e storie di vita, molto spesso di ambientazione contemporanea. È un lungo periodo che comprende titoli come Camminacammina (1982), La leggenda del santo bevitore (1988), il documentario Lungo il fiume (1992), Il segreto del bosco vecchio (1993), Genesi – La creazione e il diluvio (2000) e Centochiodi (2007). Genesi è sicuramente il capitolo più originale della Bibbia televisiva prodotta dalla LuxVide di Franco Bernabei. Mito cristiano e società tribale si fondono in una riflessione antropologica sull’origine del cosmo. Il testo sacro si trasforma in un mito narrato da un vecchio ai suoi discendenti, accanto al fuoco, in un bivacco di nomadi dei giorni nostri. L’origine del cosmo diventa così l’alba di un giorno qualunque. Adamo ed Eva sono due adolescenti che sperimentano per la prima volta il sentimento amoroso, l’Arca di Noè una grande fattoria dove uomini e animali vivono senza infrangere il delicato equilibrio ecologico esistente in natura.

Genesi_la creazione e il diluvio
Genesi_la creazione e il diluvio

Dalla storia, un cinema “politico”

Il dissidio tra spiritualità e profitto sta alla base del film più “politico” del regista: Il mestiere delle armi (2001). Qui Olmi riflette sulla nascita della modernità attraverso la messa in scena di un episodio piuttosto marginale della storia d’Italia, avvenuto a inizio ’500: gli ultimi giorni di vita e la morte del capitano di ventura Giovanni de’ Medici, detto Delle Bande Nere. Per Olmi il contrassegno della modernità non è la fine degli ideali cavallereschi impersonati dal Medici, bensì il relativismo morale, il compromesso con la propria coscienza che caratterizza gli altri personaggi. Per i quali il fine da raggiungere a ogni costo può giustificare anche i comportamenti più spregevoli e bassi. Stesso discorso per la più attuale delle questioni politiche in questo primo scorcio del XXI secolo: i fenomeni migratori, analizzati attraverso la grande metafora del Villaggio di cartone (2011).

La morte dello spirito

L’importanza della produzione documentaristica di Olmi non è secondaria – quantomeno per consistenza – rispetto a quella di film a soggetto. Con risultati di grande rigore estetico e formale come Terra Madre (2008) puntigliosa ricerca di alternative alla globalizzazione nell’agricoltura che unisce le testimonianze dell’omonima rassegna organizzata da Slow Food di Carlo Petrini, alla ricerca di esperienze concrete come quella dell’anziano contadino che rifiuta di utilizzare chimica, ogm e qualsiasi altro presidio tecnologico nella conduzione del proprio podere. La sensibilità ecologica del resto non è un accessorio della fede, ma ne rappresenta l’aspetto più genuino e veritiero. Solo in stretto rapporto con l’insieme dell’universo l’uomo può trovare la sua dimensione più autentica. Non come vertice del creato, ma come parte – e neppure prioritaria – di esso. Di conseguenza, ciò che può rendere appena un poco più libero l’uomo è la coscienza della propria finitezza. Ecco perché, secondo Olmi, sono appunto i limiti oggettivi di una condizione socialmente subordinata o di emarginazione, quale quella dei contadini lombardi a fine ’800, della piccolissima borghesia nell’Italia del boom, il mondo dei clochard di Parigi o le nuove povertà degli immigrati, il contesto in cui si può può sperimentare la vera dimensione della salvezza.

il-villaggio-di-cartone
Il villaggio di cartone

L’ANALISI

Centochiodi (2007)

Ermanno Olmi realizza questo film ricollegandosi idealmente al documentario del 1992 intitolato Lungo il fiume con cui ha in comune due importanti elementi: 1. L’ambientazione sulle sponde del Po, precisamente nel suo corso mediano, tra i paesi di San Benedetto Po, Bagnolo San Vito e San Giacomo Po, tutti in provincia di Mantova. 2. Il riferimento diretto al Nuovo Testamento, pur non essendo uno dei tanti racconti cinematografici della vita di Gesù. Protagonista è infatti un docente di filosofia dell’Università di Bologna che, per il breve volgere di un’estate, abbandona tutto fingendo il suicidio per trascorrere i suoi giorni ai bordi del fiume, in una vecchia casa diroccata e in compagnia di alcuni abitanti del luogo. I quali non si domandano da dove venga, chi sia o cosa faccia, ma si limitano a condividere con lui il cibo e a dargli una mano nel rimettere in sesto la capanna in cui ha deciso di vivere. Insomma, lo accolgono sulla base di valori condivisi.

Libri in croce

Il libro (non dimentichiamo che la parola Bibbia significa letteralmente “i libri”) è da millenni il principale veicolo della cultura e del sapere umano. Dotato di un’autonoma forza propulsiva che trascende il suo stesso contenuto e persino il suo autore. E il film si apre con uno “sterminio di massa” o, per passare alla metafora evangelica, con una “strage degli innocenti”: nel salone storico della biblioteca universitaria di Bologna qualcuno ha inchiodato manoscritti e incunaboli alle tavole di legno del pavimento. I sospetti cadono immediatamente sul docente di filosofia, che ha fatto perdere le proprie tracce. Il più assiduo frequentatore della biblioteca è un anziano monsignore della curia, maestro del fuggiasco. Se la biblioteca è, a suo modo, un tempio, egli ne è dunque il sommo sacerdote.

Centochiodi
Centochiodi

La donna complice di Dio

L’inevitabile inchiesta giudiziaria che ne segue ricostruisce le ultime mosse del latitante. Il professore aveva chiuso l’anno accademico congedandosi dagli studenti con un pensiero di Karl Jaspers, uno dei fondatori dell’esistenzialismo: «Viviamo in un’epoca in cui ogni spiritualità si converte in profitto. Tutto viene fatto in vista di un guadagno. Un’epoca in cui la vita stessa è una mascherata e la felicità del vivere è falsa, come l’arte che la esprime. In una simile epoca, di perduta genuinità, è forse la follia la soluzione perla nostra esistenza?» Un testimone riferisce il colloquio privato tenuto dal docente con una studentessa di origini indiane che gli propone come argomento della propria tesi “La donna complice di Dio”, ossia la donna come tramite tra Dio e l’umanità nella figura di Maria, la madre di Gesù, e di molte altre donne simili a lei. Ben presto però il dialogo vira su riflessioni personali: «Da bambina sognavo di salvare il mondo» dice la giovane. «Naturale, a quell’età» commenta il docente, che aggiunge: «Poi non riusciamo nemmeno a salvare noi stessi». «Conosco bene la mia gente» continua la ragazza «l’unica certezza per loro è la religione e il conseguimento della vita eterna. È l’unica verità che essi conoscono». «La verità è che la religione non salva il mondo. Non ne fa un luogo migliore. Siamo circondati da verità assolute nei libri, che sono serviti solo a ingannarci gli uni gli altri… Mi dia la sua mano» replica lui. La ragazza gliela porge. «C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri» aggiunge prima di baciarla.

Pescatori di uomini

Dopo aver abbandonato simulato il suicidio, il professore si stabilisce in una catapecchia sulla riva del Po. Sorpreso da un temporale estivo, attizza un rudimentale fuoco bruciando senza ripensamenti il dattiloscritto del suo ultimo libro. Passata la burrasca, lo ritroviamo in paese a far provviste in una panetteria e a scambiare qualche parola con alcune persone del luogo: la fornarina, che si invaghisce subito di lui, e il postino. Tornato alla casupola, comincia a sistemarla e, dopo aver trovato un grosso amo tra i cespugli, tenta di pescare. Poco distante, tre uomini lo osservano. Durante la notte, all’esca abbocca un grosso pesce-siluro che riesce però a liberarsi. Il mattino seguente, al postino il professore spiega che la casupola è sicuramente un’abitazione antica per la presenza, tra i suoi ruderi, di una grossa pietra squadrata: una delle pietre di base degli angoli. Subito dopo passa una barca di pescatori che hanno catturato il pesce dalla cui bocca pende ancora l’amo strappato. Basta appena un poco di dimestichezza con le Scritture (e con il cinema di Olmi) per uscire di metafora. La pietra angolare rimanda al Salmo 118 (ripreso dai Vangeli Sinottici come metafora del Messia) mentre la pesca richiama invece l’espressione evangelica «pescatori di uomini» riferita ai discepoli di Gesù.

Il figliuol prodigo

Su questa stessa falsariga si sviluppano anche le scene successive, durante le quali Gesù (ormai possiamo chiamarlo in questo modo) prosegue nel rudimentale restauro della casupola, aiutato dai frequentatori abituali del fiume. I lavori si interrompono per il pranzo, durante il quale si finisce con il parlare della trasformazione dell’acqua in vino al banchetto di Cana (Gv 2, 1-11). «Anche quel Cristo là ha fatto il miracolo perché gli piaceva di più il vino» è la salace battuta di un commensale. A lavori ultimati, un anziano del gruppo chiede al professore che gli narri la parabola del figliol prodigo (Gv 2, 1-11), da lui rivissuta poco prima in una specie di sogno a occhi aperti. Dunque nel film i riferimenti al “Libro” si moltiplicano e si intensificano senza che, all’apparenza, il narrato defletta dalla storia personale del docente in crisi. O meglio, le due vicende si sviluppano in parallelo, l’una palese, l’altra sottotraccia: “testo” e “metatesto”, “filmico” e “profilmico”. Il Messia è venuto per «riparare la vecchia casa che andava in rovina», «ama il vino e le donne», ossia si immerge concretamente e attivamente nell’umanità al registro più basso, accessibile a tutti. Consola i padri per le mancanze dei figli e offre la salvezza dalla morte dello spirito.

Lo Spirito parlerà per voi

L’epilogo ormai si avvicina e, con esso, si compie il destino terreno del Salvatore. Un’ordinanza comunale dispone che tutte le capanne abusive edificate il riva al fiume vengano demolite per far posto a una nuova infrastruttura. La sera, quasi un’ultima cena, l’intera piccola comunità si riunisce a tavola attorno al professore per decidere il da farsi e redigere il ricorso. «Quello che vi viene in mente sarà la cosa giusta da dire» replica Gesù alle titubanze della sua gente, impreparata alle battaglie legali. Una frase ricalcata quasi alla lettera sul passo dei vangeli che dice: «Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati, non preoccupatevi di come o di quello che direte. Perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che è in voi» (Mt 10, 19-20; Mc 13, 11; Lc 12, 11-12).

L’ultima cena

Il pagamento di una sanzione amministrativa, comminata nell’ordinanza di sgombero, effettuato dal professore con la propria carta di credito, mette finalmente gli inquirenti sulle sue tracce e, in una scena che richiama l’iconografia del Getzemani, Gesù viene arrestato. Nel congedarsi dai suoi amici, sgomenti e impauriti, dice: «Non stupitevi se vi cacceranno da questi luoghi. Molti si illudono, con le loro imprese, di poter fare cose meritevoli senza il rispetto di ciò che regola la vita, ma arriva anche il momento in cui la natura stessa si ribellerà a tutte queste offese e cancellerà ogni cosa che umilia tutte le creature. È venuto il momento di lasciarci. Ciascuno deve tornare al proprio luogo. Vi auguro di restare qui e vivere in pace come io vi ho conosciuto. Questa pace non è una pace che viene dal mondo, ma da voi stessi». Sin troppo facile leggere in filigrana sotto queste battute del copione, una parte del discorso di commiato del Nazareno durante l’ultima cena riportato dal Vangelo di Giovanni (Gv 14, 27).

Responsabile, ma non colpevole

Le scene successive, ovvero l’interrogatorio di garanzia nella stazione dei carabinieri, rimandano al processo davanti a Pilato (l’autorità civile). Il professore si dichiara infatti «Responsabile, ma non colpevole» dell’atto vandalico. E quando il basito maresciallo cerca di capire meglio le motivazioni del suo operato chiedendogli se si fosse trattato di un atto dimostrativo o di un gesto di ribellione, Gesù replica: «Un obbligo morale» aggiungendo subito una frase che riprende e perfeziona quella rivolta alla studentessa indiana (C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri): «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico». Un flash back ci ripropone adesso la scena della «crocifissione» dei libri da parte del professore che, fermandosi a un certo punto, ragiona tra sé: «Bisogna che ognuno torni a nascere. Chi non comincia dal principio non potrà conoscere la verità. L’amore spira dove vuole e ne percepisci la sua presenza come se udissi un suono. Non sai da dove venga né dove vada, ma chi rinasce nella verità crede a ogni cosa che il suo occhio vede». Si tratta, ancora, di parole ricalcate quasi alla lettera da alcuni passi del Vangelo di Giovanni (Gv 3, 7-8).

Il giorno del giudizio

Oltre che da Pilato, Gesù viene anche condotto da Anna e Caifa, i sommi sacerdoti, ovvero l’autorità religiosa. Qui è l’anziano monsignore, il prete bibliofilo e maestro dell’imputato, che gli fa visita in carcere. Ma la sostanza non cambia: «Quei libri, io li amavo» esordisce l’anziano prelato. «Lei ama più i suoi libri degli uomini» replica l’arrestato. «I libri sono amici fidati. In quei libri c’è tutta la sapienza del mondo». «La sapienza del mondo è una truffa». «Ma cosa dici! La parola di Dio una truffa?!». «Dio non parla con i libri. I libri servono a qualsiasi padrone e a qualsiasi Dio». «Dio ha riposto in quelle pagine parole di vita eterna per la salvezza di tutti i suoi figli». «Dio… È Dio il massacratore del mondo. Non ha salvato nemmeno suo figlio dalla croce». «Non bestemmiare! Offendi anche la tua intelligenza che Dio ti ha donato in abbondanza. Il giorno del giudizio dovrai renderne conto!». «Il giorno del giudizio sarà lui a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo».

Resurrezione e Parusìa

Dopo questo drammatico faccia a faccia che segna il culmine della vicenda giudiziaria del docente, il film torna alle rive del Po, dove si sparge la notizia degli arresti domiciliari concessi al professore. Il gruppo (dodici, tra uomini e donne) è di nuovo riunito e sta aspettando che Gesù arrivi. Interpellato, un bambino dice di averlo visto sull’argine: «Sei sicuro che era lui?». «Sì, aveva un vestito nuovo». Una fisarmonica intona la canzone “Non ti scordar di me” (leit motiv sonoro di tutto il film). Una tavola è imbandita e ai bordi della strada sterrata che porta alle casupole ardono dei lumi. Si avvicina il tramonto, ma Gesù non compare. Zelinda, la fornarina, si asciuga le lacrime. È il postino che chiude il racconto, su un’inquadratura autunnale del fiume: «Sera dopo sera venne l’autunno e già si presagiva l’inverno, ma di quel tale che tutti chiamavano Gesù Cristo nessuno seppe più nulla». Anche qui due trasparenti metafore evangeliche: l’abito nuovo del risorto e l’attesa della parusìa attorno alla mensa eucaristica. Il sepolcro è vuoto. La resurrezione è avvenuta, ma solo per chi vuol credere. Senza aver visto né toccato con mano.

Centochiodi
Centochiodi

Rifare i Vangeli o rifarsi ai Vangeli?

Centochiodi ripropone, in modo quasi ultimativo, l’ideologia del suo autore. Nel senso che, proprio a motivo della sua adesione al cristianesimo, il regista colloca l’uomo al centro della riflessione teologica in un’opera che, senza “rifare” il Vangelo, “si rifà” totalmente al suo messaggio. «La cultura, così come la intendiamo, ha sempre fallito gli appuntamenti della storia […] I libri sono inerti […] Le pagine dei libri sono sempre ben poca cosa a fronte della vita». Sono alcune significative affermazioni di Olmi che chiariscono il senso di questo suo film in cui, all’apparenza, si attribuisce allo stesso Gesù un intento iconoclasta verso la verità rivelata. In realtà, nell’interpretazione dell’opera vanno distinti due piani, come doppio è il registro su cui è costruita. Da un lato, Olmi rimarca i limiti che la cultura accademica (quella dei libri) mostra nell’affrontare i problemi della storia e della società, dall’altro sottolinea che anche il Libro per antonomasia (la Bibbia, ma, per esteso, qualsiasi testo sacro) non basta a emancipare l’uomo, a riconciliarlo con la natura depredata, a offrirgli la speranza nel futuro.

Vi è stato detto, ma io vi dico…

Per illustrare la locandina di Centochiodi venne scelta la frase «Le religioni non hanno mai salvato il mondo», tratta dal dialogo del docente con la studentessa indiana. Scelta apparentemente strana per un credente dichiarato come Olmi e per un film, come questo, che è in sostanza una messa in scena dei Vangeli. Scelta invece coerentissima con l’etica del regista che auspica un ritorno della Chiesa allo spirito delle origini, ossia autenticamente evangelico. Le religioni non hanno mai salvato il mondo nella misura in cui hanno preteso di farlo e di farlo con la forza, perdendo di vista l’uomo. Secondo Olmi, Dio parla attraverso il grande libro della Natura di cui anche il Libro (la Bibbia) non è che un riflesso. Dunque bisogna andare oltre la lettera, oltre la parola scritta per arrivare all’altra Parola. Quella impressa nel creato e nell’anima dell’uomo. La «Parola fatta carne» (Gv 1, 14), ossia Gesù. Non il Gesù dei Vangeli, ma il Gesù della storia e nella storia. L’Uomo Gesù, la persona chiamata Gesù. Che ha calcato questa terra e (ri)costruito la sua casa tra noi. Che ama e beve vino. Che con il proprio esempio, la parola e il sacrifico ha superato la Vecchia Legge. Davvero il primo a inchiodare i testi sacri è stato Gesù, quando affermava: «Vi è stato detto, ma io vi dico…» (Mt 5, 21-22).

 

 

Cortometraggi Edison

 

Il pensionato, 1958 (cortometraggio)

 

I Recuperanti, 1969

 

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