Baltimora in fiamme per la rivolta dei neri. Obama: niente scuse

Pubblicato il 29 Aprile 2015 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della sera: “La fiducia sull’Italicum lacera il Pd”. “Primi via libera a scrutinio segreto con un’ampia maggioranza. Il governo blinda la riforma”. “Bersani, Letta e Speranza: non votiamo. Il premier: ‘Basta rinvii, cambio l’Italia o vado a casa’. Caos in Aula”.

A centro pagina: “Baltimora in fiamme per la rivolta dei neri. Obama: niente scuse”. “Stati Uniti: interviene la Guardia Nazionale”.

A fondo pagina: “Evasori, il fisco potrà usare la lista rubata”. “La Cassazione dà l’ok sulla Falciani: non è importante che sia frutto di reato”.

In evidenza in prima anche un reportage di Lorenzo Cremonesi: “Nel Nepal ferito un telo di plastica l’ultima speranza per ricominciare”.

La Repubblica: “Italicum, la fiducia spacca il Pd”, “La mossa di Renzi per sfidare la minoranza del partito, bagarre alla Camera e insulti alla Boldrini. Bersani, Letta e Speranza: non votiamo. Il premier: no alla palude, se vogliono mi mandino a casa”.

A centro pagina: “Nell’inferno di Baltimora: bruceremo l’America”, “Ultima protesta nera, l’esercito in città. Obama: capisco la rabbia, ma no alla violenza”.

Di spalla a destra: “Chi ha tradito la montagna incantata del Nepal”, della scrittrice indiana Anita Nair.

A fondo pagina, il “colloquio” con l’imam in cella per l’Al Qaeda sarda, Muhammad Zulkifal Hafiz: “Io, Bin Laden e la mia jihad”.

La Stampa ha oggi in prima una lettera del presidente del Consiglio sulla legge elettorale. Il titolo di apertura: “Renzi: sull’Italicum mi gioco tutto”, “’La fiducia? Una sfida, è l’ora del coraggio. Non sono un premier che fa melina’”, “Caos in aula dopo la scelta del governo, il Pd si spacca. Letta, Bersani e Speranza: non votiamo il testo blindato”.

E la lettera di Renzi: “Così i cittadini sapranno”.

Poi il richiamo ad una intervista all’ex segretario Pd Bersani: “Questo non è più il mio partito”.

A centro pagina, foto da Kathmandu di un ragazzo estratto vivo a tre giorni dal terremoto: “Il Nepal al mondo: aiutateci. Irreperibili 10 italiani”.

Nella colonna a destra il reportage di Paolo Mastrolilli: “La rabbia nera che brucia Baltimora”.

E, sui diritti gay, un articolo di Gianni Riotta: “Il matrimonio che divide l’America”, in riferimento ad un nuovo caso (“Obergefell versus Hodges”) su cui dovrà deliberare la Corte Suprema.

Il Sole 24 ore: “Nepal, si temono 10mila morti. Dieci gli italiani ‘irreperibili'”. “Il terremoto ha colpito 8 milioni di persone”.

Il titolo accanto: Grecia e Ue: Tsipras minaccia un referendum ‘se i creditori sono troppo duri'”.

Il titolo più grande: “Bot semestrali, prima asta con rendimenti zero”. “Boom del risparmio gestito, raccolta ai massimi da 16 anni”. “Effetto Qe sulle emissioni, collocati titoli per 6,5 miliardi”. “Volatilità delle Borse, Milano -1.15 per cento”.

Sulla politica italiana: “Fiducia sull’Italicum, è bagarre in Aula”. “Renzi: se vogliono mi mandino a casa”. “Oggi il primo voto blindato. Si spacca il Pd”.

A centro pagina: “Fininvest pronta a cedere il Milan. Offerta di 500 milioni per il 51 per cento, più l’accollo di 250 milioni di debiti: oggi il vertice decisivo. Nella cordata il thailandese Bee, capitali di Abu Dhabi e cinesi”.

A fondo pagina: “Fisco, a caccia di evasori anche con i dati ‘Falciani’. Sì della Cassazione all’utilizzo della lista rubata”.

Il Giornale: “Voto sull’Italicum. Lo spaccone. Renzi mette la fiducia e umilia la minoranza Pd. In Aula scoppia la bagarre. Bersani, Letta e Speranza non voteranno. Berlusconi: il premier è lontano anni luce dalla sensibilità del Paese”.

L’editoriale è firmato da Piero Ostellino: “Così la democrazia è soltanto un optional”.

A centro pagina: “Spranghe e roghi, benvenuti all’Expo. Sequestrate mazze ai black bloc stranieri, ma i giudici bloccano l’espulsione: ‘solo sospetti'”.

In prima anche una notizia sulla morte del cooperante Lo Porto: “Lo Porto, Governo smascherato: era al corrente del blitz Usa”.

Il Fatto: “Renzi impone la fiducia come Scelba e Mussolini”, “Italicum, diktat del governo alla Camera. Unici precedenti: la legge truffa del 1953 e la legge Acerbo del 1923. Urla, insulti e proteste contro la Boschi e la Boldrini. La minoranza Pd: ‘Non votiamo sì’”.

A centro pagina: “Ecco l’Expo alla vigilia dell’inaugurazione”, “Viaggio nell’opera ‘simbolo’ dell’Esposizione: dal patto di potere tra i costruttori passando per gli arresti e gli interessi della cricca. Tutte le foto: all’interno ancora intonaci da finire, arredi parziali, allestimenti fantasma. La folle corsa delle ultime 48 ore dei lavori per evitare la figuraccia”.

L’Avvenire: “Migranti, il pressing dell’Europarlamento”, “Oggi il ‘sì’ da popolari, socialisti e liberali a un documento sull’equa distribuzione dei profughi che incalza i governi della Ue”, “La Santa Sede: Chiesa in trincea contro la tratta”.

Sul terremoto in Nepal: “Il Nepal in ginocchio, soccorsi in affanno”, “La stima dei morti a quota 10mila. 10 gli italiani irreperibili”.

Sotto la testata, “Meno due giorni all’Expo”, “La Carta di Milano contro la fame per costruire un impegno globale”.

E l’editoriale, firmato da Ferdinando Camon: “Un po’ meno ma a tutti”, “Per nutrire l’umanità e il pianeta”.

A centro pagina: “L’Italicum non si ferma. Fiducia tra le polemiche”, “Renzi: se vogliono mi mandino a casa. Bersani, Speranza e Letta: no alla riforma”.

Sulla colonna a destra, un’analisi di Agostino Giovagnoli: “Cina-Vaticano, lento e arduo, ma c’è un avvicinamento”, “Senza strappi, le diplomazie lavorano. Salvi i principi”.

 

Italicum, Pd e minoranza Pd

In prima su La Repubblica l’editoriale del direttore Ezio Mauro: “La prova di debolezza”. Scrive Mauro: “Travestita da prova di forza, ieri è andata in scena alla Camera la prima, pubblica e plateale prova di debolezza di Matteo Renzi. Mettere la fiducia sulla legge elettorale è sbagliato sul piano del metodo, perché dimostra l’incapacità di costruire un ampio e sicuro consenso politico su una regola fondamentale, ed è sbagliato soprattutto nel merito perché, come diceva lo stesso premier a gennaio -per far accettare l’alleanza con Berlusconi- non si cambia il sistema di voto a colpi di maggioranza, tanto più se quella maggioranza riottosa è tenuta insieme dalla minaccia del voto anticipato. Perso per strada Berlusconi, Renzi sembra aver perso anche la politica, sostituita da una continua prova muscolare. Che non può però nascondere la rottura evidente tra la sinistra del Pd e il presidente del Consiglio, che è anche segretario del partito. E’ contro la minoranza interna, infatti, quel voto di fiducia: che diventa così un attestato di sfiducia reciproca tra Renzi e la sinistra Pd, una sfiducia così forte da finire fuori controllo, fino a una decisione che sfida il Parlamento, ma soprattutto il buon senso”.

E il “retroscena” alle pagine 2 e 3 di Francesco Bei: “La svolta del premier: ‘Rischiavamo di andare sotto, ma non accetto la palude’”, “Al Nazareno sono convinti che il no al governo metterà in crisi la minoranza dem”, “Al momento tuttavia il presidente del Consiglio esclude provvedimenti contro i ribelli”. E “Mattarella non vuole intervenire nei rapporti tra governo e Parlamento. Il presidente del Consiglio apre sul Senato”.

La Stampa, a pagina 3, pubblica una lettera al quotidiano del presidente del Consiglio-premier Renzi: “Pronto a discutere sul Senato ma adesso basta fare melina”, “Votiamo la legge elettorale, poi si potrà riequilibrare la riforma costituzionale”. Credo sia un mio dovere, scrive Renzi, “tornare al merito della legge: la verità, vi prego, sull’Italicum. La verità, fuori dalla rappresentazione drammatica di chi grida all’attentato alla democrazia. O di chi considera fascista la scelta di mettere la fiducia sulla legge elettorale, ignorando che fu Alcide De Gasperi a farlo, affidandone le ragioni in Parlamento all’arte oratoria di Aldo Moro: due grandi democratici, due grandi antifascisti”. Poi Renzi elenca i contenuti della legge: un ballottaggio come per i sindaci, la soglia di sbarramento abbassata al 35 per venire incontro alle richieste di minoranze e di alcuni partiti di maggioranza, “il premio attribuito alla lista vincente, non più alla coalizione: con questo atteggiamento speriamo di arrivare a un compiuto bipolarismo. Il mio sogno è che in Italia si sfidino sue partiti sul modello americano, Democratici e Repubblicani. Ma in ogni caso, indipendentemente dai sogni, si impedisce di rifare le solite ammucchiate elettorali chiamate coalizioni che il giorno dopo si sciolgono come nevi al sole”. Più avanti Renzi scrive: “con lo scrutinio palese -imposto dal voto di fiducia- i cittadini sapranno. Sapranno chi era a favore, chi era contro. Tutti si assumeranno le proprie responsabilità”.

La Stampa, pagina 2: “Italicum con fiducia, Pd-caos. Anche Speranza non ci sta”, “Bersani, Bindi e Letta confermano: ‘Noi non la voteremo’. La maggioranza regge nel voto segreto. Fi: ‘Fascismo renziano’”. Sulla stessa pagina, un’intervista con l’ex segretario Pd Bersani: “Ormai questo non è più il mio partito”, “Ero sicuro che sarebbe finita così. Renzi prepotente? Lui è di natura così, e non è una bella natura. Era nelle cose. Le prossime elezioni saranno il festival del populismo”, “Il governo non c’entra, è in gioco la democrazia”.

Sul Corriere una intervista a Pierluigi Bersani: “Non è la ditta che ho creato. Prepotenza di Matteo? La sua natura non è bella”. Bersani viene descritto con “l’aria mesta”, dice che la fiducia sulla legge elettorale è stata posta “solo due volte: sulla legge Acerbo del 1923 (all’inizio del ventennio di Mussolini) e sulla cosiddetta legge ‘truffa’ del 1953”. Dice che è sbagliata “perché qui il governo non c’entra niente. A essere in gioco è una cosuccia che si chiama democrazia”  e che Renzi “è in natura così”, e la sua “non è una bella natura”. Sulla legge elettorale: “Con questa legge qua la demagogia va in carrozza. Ma lei se lo immagina cosa diventeranno le prossime elezioni? Sarà il festival della demagogia”, “saranno una gara a chi la racconta più grossa”.

Su La Repubblica, pagina 6: “La tentazione degli ex leader Pd: ‘Scissione e ritorno all’Ulivo’, ma la minoranza è spaccata”, “Niente fiducia anche da Epifani, Cuperlo, Bindi, Fassina, Civati. ‘Oltre 40 i no’. Letta: ‘L’avesse fatto il Pdl saremmo scesi in piazza’”.

E il colloquio con l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani: “Lo sfogo di Bersani contro il premier: ‘Questo non è più il mio partito’”. L’ex segretario -si legge- non riunisce correnti, non organizza truppe e non conta i voti: “Ognuno per la sua strada -dice- Io non ho chiamato nessuno, non ho forzato nessuno”, “penso di non essere isolato, ma ciascuno fa la sua scelta liberamente. Poi è chiaro che da domani o dopodomani cambia tutto nel Pd. Si capirà meglio chi è minoranza e chi è maggioranza. Niente più giochi”.

E ancora su La Repubblica, in un’intervista, Roberto Fico, M5S e presidente della Commissione Vigilanza Rai, dice: “La sinistra dem può mandarli a casa, ma quelli temono per la poltrona”, “Il Pd non esiste più”.

Il Fatto: “L’Ulivo si ribella al Pd 2.0. In 30 verso la non-fiducia”. E, scrive il quotidiano, “riassumendo la giornata di ieri”, si potrebbe dire che “il vecchio Ulivo s’è ribellato al Pd di Renzi e Verdini. Oppure, in maniera più indelicata per certe carriere ultradecennali, che è partita la rivolta degli ex qualcosa contro il nuovo padrone d’Italia”, “I custodi della ‘ditta’ si mettono di traverso. Prodi e Letta benedicono”. Scrive ancora Il Fatto che “la novità di ieri” è che ora esiste, nel Pd, un’area di forte opposizione a Renzi: alla fine saranno una trentina i deputati che non voteranno la fiducia al governo uscendo dall’Aula. “Pochi, si dirà, ma i nomi sono pesanti -scrive Marco Palombi- A benedire il tutto da fuori c’è Romano Prodi, che ieri si è pentito in pubblico di non aver fatto un partito suo invece di prendere in prestito quelli esistenti. Dentro il Parlamento guidano la rivolta un ex segretario del Pd”, ovvero Bersani, poi un ex premier (Letta), un ex presidente del partito (Rosy Bindi) e anche l’ultimo candidato alla segreteria sconfitto (Cuperlo). Scrive ancora Il Fatto: “la scissione, ad oggi, è solo uno spettro”, visto che gli unici ad averla evocata sono stati Stefano Fassina e Pippo Civati, “convinti che ci sia spazio per una nuova ‘cosa di sinistra’ non landiniana, ma “per come si sono messe le cose ieri, invece, passeranno mesi e l’orizzonte -stante i nomi in ballo- sembra più la costruzione del ‘Pd vero’ contro il ‘Pd berlusconiano’ di Renzi. La battaglia parlamentare, però, è persa. Massimo D’Alema lo spiega, come al suo solito, meglio di tutti: ‘Non votare la fiducia ha senso solo se non si può far saltare l’Italicum, altrimenti la via maestra è votare la fiducia e affossare la legge col voto segreto”.

Il Corriere intervista anche Francesco Boccia: “La mia base vuole che dica sì”. Dice che sta riflettendo sul voto di fiducia. “Io ho sempre consigliato a Renzi di non metterla”, ma “ora c’è la fiducia e devo fare una riflessione”, “mi hanno chiesto di votarla”, anche se le parole di Letta e la sua scelta “mi interroga parecchio”.

Sul Corriere il retroscena di Maria Teresa Meli: “Renzi, il partito è con me. Ora li scavalcheremo a sinistra”. Si legge che “la sfilata dei big che usciranno dall’Aula preoccupa gli stessi fedelissimi del premier” ma Renzi “li rassicura” e dice che “l’importante è spiegare bene le cose. Io lo farò anche a Bologna, nel mio discorso alla festa dell’Unità. E poi nelle prossime settimane li scavalcheremo a sinistra con l’azione di governo”. Renzi pensa infatti a  un “‘grande piano anti-povertà’ perché quelle risorse, a suo giudizio, devono essere destinate alla ‘parte più debole del Paese'”. E dunque Renzi “è disposto a scontare un po’ di ‘caos mediatico’, per dirla con le parole di un renziano di stretta osservanza, perché è sicuro di poter ribaltare la situazione: ‘Il partito è con noi, soprattutto gli iscritti. La stragrande maggioranza mi chiede di non fermarmi e di non arretrare'”. La vera prova saranno le elezioni regionali: “se in quelle consultazioni il Pd riporterà un successo (cosa di cui il presidente del Consiglio sembra abbastanza convinto), allora ‘ogni discussione lascerà il tempo che trova’”.

Sullo stesso quotidiano parla il capogruppo di Area Popolare Maurizio Lupi, intervistato: “Scelta giusta, così sconfiggiamo il conservatorismo”. Dice che “tutto è migliorabile” ma l’Italicum “è una buona legge”, e “la fiducia è un atto forte ma legittimo”, “conseguenza della richiesta di voto segreto sugli emendamenti”. Dice che ora emergeranno i numeri dei deputati del Pd che non la voteranno, “per cambiare l’Italia si deve anche sconfiggere il conservatorismo di sinistra”. Nel suo gruppo ha votato a favore della pregiudiziale di costituzionalità la ex capogruppo Nunzia de Girolamo, unica. “Quindi la linea De Girolamo conta un voto”, dice.

 

Expo

Due pagine de L’Avvenire sono dedicate a Expo e al tema del “diritto al cibo”. “Expo, la Carta di Milano contro la fame”, “Il testo potrà essere firmato da milioni di visitatori. Il ministro Martina: un atto di cittadinanza globale”, “Nove pagine in cui si ricordano tutti i paradossi alimentari del nostro tempo. Il commissario Sala: le linee guida verranno affinate nel corso del semestre”.

Alla pagina precedente: “Insieme per proteggere l’ambiente”, “Ban Ki-Moon a Roma vede il Papa e Mattarella. ‘Sradicare la povertà e garantire dignità umana’”. Poi l’annuncio del vescovo Sanchez Sorondo: l’enciclica di Papa Francesco “è pronta” e i temi probabilmente saranno quelli della creazione in un modo sostenibile e la situazione della Terra.

 

Lo Porto

Su Il Giornale Fausto Biloslavo scrive della audizione di ieri al Copasir del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti, che “alla domanda di uno dei membri fino a che livello è arrivata l’informazione della Cia, l’esponente Pd ha risposto: ‘Al mio livello si è fermata’. In pratica un parafulmine per il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha sempre negato di essere al corrente prima del 22 aprile. Non solo: il rapporto con la certezza che Lo Porto sia stato ucciso assieme all’altro ostaggio americano sarebbe arrivato sul tavolo del presidente Barack Obama il 20 aprile. Il 21 gli americani hanno trasmesso la notizia in via confidenziale agli italiani e il 22 c’è stata la telefonata dell’inquilino della Casa Bianca con Renzi”. Il quotidiano cita “una fonte attendibile” che dice che la deposizione di Minniti è stata completa. Si legge anche – sempre con le parole della fonte – che sul corpo di Lo Porto “Non è stata fatta alcuna prova del Dna, ma ormai non ci sono dubbi che l’ostaggio italiano è rimasto ucciso. L’impegno di tutti è di riportare il corpo a casa. “L’identificazione è avvenuta grazie alla sorveglianza di droni e satelliti, ma soprattutto attraverso testimoni che hanno assistito al funerale e alla sepoltura dei terroristi uccisi e delle due vittime innocenti. Lo Porto sarebbe stato tenuto prigioniero in un tunnel andato distrutto e per questo non è stato visto dai droni prima dell’attacco”.

Sul Corriere Fiorenza Sarzanini scrive che “la ‘certezza’ che l’ostaggio ucciso da un drone americano il 15 gennaio scorso nella Valle di Shawalal, al confine tra Afghanistan e Pakistan, sia Giovanni Lo Porto non è stata ottenuta effettuando il test del Dna.  L’annuncio dell presidente Barak Obama sulla morte del cooperante italiano e del volontario americano Warren Weinstein non si basa su prove scientifiche ma su un ‘incrocio di dati e circostanze durato oltre tre mesi proprio perché basato su numerose fonti'”. Anche il Corriere scrive che erano in corso trattative per la liberazione dell’ostaggio. “In campo c’erano quattro squadre di agenti segreti: pachistani, statunitensi, italiani e tedeschi, almeno fino alla liberazione del loro ostaggio. Ma quando si riteneva di aver aperto un canale, gli Stati Uniti hanno cominciato a sferrare gli attacchi. Una coincidenza, nessuno crede che ci fosse la consapevolezza di poter colpire cittadini occidentali. Anche se impressiona la totale mancanza di comunicazione tra apparati americani, visto che l’area dove i prigionieri erano segregati era stata comunque utilizzata. E sconcerta quanto avvenuto dopo, con Obama che cela la notizia al presidente del Consiglio Matteo Renzi, limitandosi durante l’incontro nello studio Ovale del 17 aprile scorso a un generico accenno, visto che gli stessi 007 avevano chiesto spiegazioni alle notizie raccolte in Pakistan già da marzo. E confermando la morte il 22 aprile, con una certezza che lasciava intuire l’effettuazione di test scientifici”.

 

Internazionale

La Stampa dedica due pagine alla rivolta di Baltimora: “Nella Baltimora che brucia: ‘La polizia ci vuole morti’”, “Neri in rivolta per l’uccisione di un 25enne. Coprifuoco, arriva l’esercito”.

E sulla pagina seguente, un colloquio con la scrittrice Toni Morrison: “Anche nell’America di Obama l’eguaglianza è un miraggio”, spiega al corrispondente Paolo Mastrolilli.

Su La Repubblica, il reportage di Federico Rampini: “Baltimora, la rivolta dei neri contro la polizia violenta: ‘Hanno ucciso uno di noi, ora scateniamo l’inferno’”. Con un’intervista alla figlia di Martin Luther King, Bernice, impegnata in movimenti non violenti: “Il dolore della figlia di Luther King: ‘L’America dimentica gli ultimi’”.

Il Corriere della Sera offre una intervista al presidente egiziano Al Sisi realizzata dal direttore  e dal corrispondente al Cairo di El Mundo: “Al Sisi: se crolla l’Egitto per l’Europa danni terribili”. “Il leader del Cairo: ‘Con il potere in mano ai Fratelli Musulmani Libia, Siria, Mali e penisola arabica… tutto andrebbe alla deriva’”. Alla domanda se oggi il Paese sia più democratico risponde “sì, perché esiste la volontà politica di rispettare la volontà della gente”. “Gli egiziani hanno fatto una scelta democratica con l’elezione di Morsi” ma “quando si sono accorti dell’esistenza di un pericolo hanno saputo rompere con lui”, e “possono anche mandare a casa Al Sisi se vogliono”. Sul risultato della sua elezione (96,91), se ritiene che sia un dato realistico, e sui Fratelli Musulmani, risponde: “I Fratelli Musulmani sono una minoranza”. E più avanti: “Il tempo farà capire ai simpatizzanti dei Fratelli Musulmani che la convivenza è possibile. Non vogliamo fare la guerra alla gente per le sue idee ma devono sapere che noi non le condividiamo”. Gli chiedono se con i Fratelli Musulmani crescerebbe la minaccia jihadista nel mondo: “Il pericolo sarà molto più grave di quanto si possa immaginare”. Cita Libia, Siria Mali, Chad, Etiopia, Penisola Arabica, “tutto andrebbe alla deriva. Voi sapete combattere contro eserciti regolari, non contro gruppi armati, come facciamo noi”.

Sul Sole ci si sofferma sulla notizia del sequesto da parte dell’Iran di una nave cargo danese battente bandiera delle isole Marshall. Il Pentagono ha inviato d’urgenza un cacciatorpediniere. Non ci sono americani a bordo della nave danese. Il Pentagono ha definito “inappropriato e provocatorio” l’atteggiamento di Teheran. La nave si trovava in un cosiddetto corridoio di navigazione riconosciuto a livello internazionale seppur all’interno delle acque territoriali iraniane nello stretto di Hormuz. L’incidente è avvenuto in una situazione di tensione, con i sauditi impegnati in operazioni armate contro gli houthi yemeniti, sostenuti dall’Iran.

Anche sul Corriere: “Nave abbordata, nuova tensione tra Usa e Iran”. Si legge che l’incidente “non dovrebbe avere seguiti militari, ma le ripercussioni politiche sono evidenti”, perché qualche ora prima erano a colloquio, per la “fase decisiva” delle trattative nucleari, il segretario di Stato Usa Kerry e il ministro degli esteri iraniano Zarif.

Il Sole 24 Ore: “Tsipras minaccia un referendum. Il premier avverte: se le misure chieste saranno troppo dure consulteremo i cittadini”. Si legge che le parole di Tsipras riecheggiano una proposta identica che fece l’allora premier greco Papandreou, e che l’Ue bocciò. Tsipras ha detto che non accetterà uno stravolgimento delle proposte su cui ha vinto le elezioni nel suo Paese, e che dunque un referendum per chiedere conferma all’elettorato su proposte diverse sarebbe inevitabile. “Un evento vist0 come il fumo negli occhi da Bruxelles che lo vede come una forma di ricatto”. Oggi ricominceranno le trattative con la nuova squadra scelta dal premier greco, che spera in un accordo entro il 9 maggio. Sul rischio di rottura e di referendum, Tsipras ha anche detto: “Sono certo che non arriveremo a questo punto”. “Messaggio a due facce”, sintetizza il quotidiano di Confindustria. “Il premier greco esclude un default del Paese ma mette in guardia dai rischi di troppo rigore”. Nell’articolo si cita anche il giudizio espresso ieri da Romano Prodi nei confronti di Varoufakis: non un “dilettante perditempo”, ma comunque “una delusione”, perchè “invece di stare ad Atene con il cacciavite a fare i conti lui andava in giro per il mondo a fare il divo”.

Sul Corriere: “Tsipras insiste: pronto al referendum. Il premier greco: l’accordo con l’Ue è possibile anche in due settimane, no all’austerity. Il presidente dell’Eurogruppo avverte: ‘Senza altri prestiti Atene non può farcela’”.

Anche oggi su La Repubblica il reportage dal Nepal di Giampaolo Visetti: “Nei villaggi dell’Himalaya sepolti dalle frane: ‘Aiutateci a scavare, qui i morti superano i vivi’”. E titoli della corrispondenza: “Annuncio shock del premier: ‘In Nepal 10mila vittime’. Ancora dispersi dieci italiani”.

 

E poi

Su La Repubblica, un’intervista di Paolo Berizzi a Muhammad Zulfikal Hafiz, il capo della madrassa di Bergamo arrestato nei giorni scorsi e accusato di appartenere alla cellula che preparava attentati in Italia. Parla dal carcere e dice che è stato vittima di “equivoci ed errori di traduzione”: “Sono un imam radicale ma non un terrorista, quando predico la jihad penso solo al Corano”, “Al Quaeda in arabo vuole dire ‘la base’, non ha il significato che gli hanno dato i media. Bin Laden non ha mai usato il termine”, “Di morte parlo spesso: è la via a cui ci porta Allah. E anche di martiri: per me sono testimoni di fede”.