Articolo 18, forse un accordo

Pubblicato il 15 Marzo 2012 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Su tutti i quotidiani la storia del pullman belga che si è schiantato in galleria in Svizzera. Morti 22  bambini e 6 adulti che tornavano da una gita.

Il Corriere della Sera: “Così cambierà l’articolo 18. Più facili i licenziamenti per motivi economici, reintegro sicuro solo per quelli discriminatori. Trattativa sul lavoro, governo e sindacati ottimisti”. A centro pagina: “Apertura di Clini sguli Ogm: no alla paura, sono utili”.

La Repubblica: “Articolo 18, accordo più vicino. Svolta nella trattativa sulla riforma del lavoro, anche la Cgil apre. Bersani: norme sui licenziamenti, manutenzione possibile. Camusso: passi avanti. Nuovi ammortizzatori dal 2017. Spread a quota 290”. A centro pagina: “Pirellone, tangenti al consigliere Pdl”. Indagato Angelo Giammaario, per una mazzetta da diecimila euro. Da segnalare in prima pagina un intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, estratto da un suo intervento pubblico in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università di Bologna.: “Monti, la politica e l’interesse comune” è il titolo dell’intervento.

La Stampa: “Riforma lavoro, vicina l’intesa sull’articolo 18. Il giudice dovrà decidere tra reintegro e indennizzo del dipendente. Possibile un decreto. Camusso: maturano cose positive”.

Il Giornale: “Ultimatum alle banche. Alfano detta le condizioni del Pdl per la crescita: più finanziamenti e meno burocrazia. E le imprese lanciano l’Sos: solo il 20 per cento riesce ad accedere al credito senza problemi”. In prima pagina anche una foto del sindaco Pd di Bari Michele Emiliano: “Ostriche indigeste per Emiliano”, dove si parla di inchieste della magistratura pugliese e “regali degli imprenditori” al sindaco.

Avvenire: “Lavoro, adesso si fa sul serio. Transizione ‘morbida’ sugli ammortizzatori. E si manterrebero le tutele per i lavoratori over 58. Torna l’ottimismo per una intesa a breve. Sindacati soddisfatti. Passi sull’articolo 18”.
Un richiamo in prima per una intervista a Pierferdinando Casini: “Fornero eviti strappi. La gente deve capire. La super-Iva non va”.In vista del vertice di oggi con il premier, Casini dice: “Non si spiega l’agenda al premier. Rai e giustizia si legano all’economia”.
A centro pagina: “In Siria un anno di repressione. L’Italia chiude la sua ambasciata. Sarebbero 8mila le vittime. No di Assad a Kofi Annan”.

Europa: “Lavoro, i segretari da Monti con l’accordo quasi fatto. Stasera il vertice con ABC: si parlerà anche di giustizia e Rai. Casini: niente veti”.

Lavoro

Sul fronte della trattativa sul lavoro, secondo Il Sole 24 Ore a far cambiare il clima sono state le nuove rassicurazione sull’entità delle risorse per gli ammortizzatori (sarebbero salite a 3,8 miliardi). Ma anche i tempi di uscita dall’attuale sistema delle indennità di mobilità, che sono stati allungati al 2017, non più al 2015, per garantire i lavoratori colpiti dalla crisi. Sull’articolo 18 si parla di una manutenzione “leggera” e pare che nel vertice con i sindacati si sia ragionato sulla certezza dei tempi dei procedimenti giudiziari (più stretti), della possibilità di affidare al giudice la scelta tra reintegro e indennizzo, fermo restando che non si toccano i casi di licenziamenti discriminatori. Lo stesso quotidiano sottolinea che sono ancora da individuare i criteri in base ai quali il giudice può decidere tra reintegro e indennizzo economico. Bisognerà vedere se il governo limiterà la possibilità dell’indennizzo ai licenziamenti per motivi economici (giustificato motivo oggettivo) oppure la estenderà ai licenziamenti disciplinari (giustificato motivo soggettivo). Il Sole parla anche di un “contributo di licenziamento” che le aziende dovrebbero pagare all’Inps, ammontante a 0.5 mensilità di indennità per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi tre anni (compresi i periodi di lavoro a termine). Sullo stesso quotidiano si parla anche di un possibile arrivo del “premio di stabilizzazione” per le aziende che assumano a tempo indeterminato un collaboratore precario. L’apprendistato punta a diventare il contratto “dominante” per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, mentre partite Ive e collaborazioni a progetto verranno disincentivate. Aumenta la contribuzione per i contratti a termine, che per l’associazione che riunisce artigiani e commercianti, Rete imprese italia, potrebbe determinare un aggravio dei costi per le piccole e medie imprese dell’1,3 per cento.
Anche su La Repubblica: “L’impiego a tempo costa di più, contributo per il licenziamento”. Parallelamente si procede sulla via della stretta sulla miriade di forme di contratto che, secondo la Cgil, arriverebbero a 46. Dovrebbero scendere a 8, con una sfoltita decisiva per le “finte” partite Iva dietro le quali si nasconda spesso una prestazione continuativa: se il lavoro dura più di sei mesi e il lavoratore ne ricava il 75 per cento del suo fatturato, scatterà l’assunzione.
L’ex ministro del lavoro Treu sottolinea che “al fine di ridurre le incertezze sul capitolo dei licenziamenti va precisato sia il concetto di giustificato motivo, sia le sanzioni più adatte nei casi di licenziamento ingiustificato: nel nostro dibattito attualmente in corso tra le parti si è proposto di distinguere i licenziamenti discriminatori e soggettivi da quelli cosiddetti economici, lasciando a questi ultimi solo la sanzione economica”.
L’inserto R2 de La Repubblica è dedicato al contratto di apprendistato: un contratto per imparare il mestiere, che spesso diventa sfruttamento, e che in tre anni ha avuto un calo del 16 per cento. Ma ora il contratto su cui punta il ministro Fornero per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro

Internazionale

Usa, il sud boccia ancora Romney, titola La Stampa. Santorum ha vinto in Alabama e Mississippi, e ci si avvia verso una convention repubblicana senza un vincitore. Santorum ha vinto le ultime due primarie che avevano un significato politico, ha provato che lui è la vera alternativa conservatrice all’ex governatore del Massachussets. Romney, però continua ad avere la matematica dalla sua parte. Se ha perso in Alabama e Mississippi, ha raccolto altri delegati per la convention grazie alal distribuzione proporzionale dei seggi, ed ha vinto alle Hawaii e a Samoa. E’ vero che perdere è imbarazzante per un front runner, ma i suoi consiglieri sottolineano che la strategia resta giusta e porta alla nomination, perché se vincerà in New Jersey e in California, negli stati contesi gli basterà conquistare un terzo dei delegati per arrivare alla convention di Tampa con i 1144 delegati di cui ha bisogno per la candidatura. E Romney conta di tornare a vincere già martedì, quando si voterà nell’Illinois, stato moderato del Midwest.
Anche sul Sole 24 Ore: “Mitt Romney non è riuscito a far breccia nel sud degli Usa e nel cuore dell’elettorato conservatore”, visto che ha dovuto accontentarsi di un modesto terzo posto, alle spalle di Rick Santorum e di Newt Gingrich. Resta però la sua vittoria tecnica, avendo aumentato il vantaggio e il numero dei delegati, arrivando a quota 41, contro i 35 di Santorum e i 24 di Gingrich.
Il Foglio dice che Santorum ha attratto il voto evangelico, e il suo limite è quello di non riuscire a pescare consensi altrove: ha attratto anche i voti della classe meno abbiente, ma soprattutto è riuscito ancora ua volta a trasmettere l’essenza del suo conservatorismo sociale, imperniato su valori rocciosi. E’ questo “l’elemento istintivo e persino gastrico dell’architettura di Santorum” che fa presa “là dove la meccanica manageriale di Romney fallisce”.

Siria: “un anno di morti e rivolte non smuove il raiss Assad”, titola L’Avvenire. L’Italia ha deciso di chiudere l’ambasciata a Damasco. Era il 15 marzo del 2011 quando per la prima volta la folla scese in piazza a Daraa. Ieri il presidente Obama ha incontrato il premier britannico Cameron, ha confermato che si sta cercando una soluzione politica ed ha detto di non avere dubbi sul fatto che Assad lascerà il potere. “Non è questione di se, ma di quando”. Il quotidiano intervista il generale Mustafa Al Sheikh, disertore che ora si trova a capo dell’Esercito Libero Siriano. Constata che la comunità internazionale è restia all’intervento militare e dice che “molti” preferiscono fornire armamenti ai ribelli, “ma qui c’è il rischio di non riuscire successivamente a raccoglierli, come è successo in Libia. La soluzione secondo me sta nel fornire armi all’Esercito Libero Siriano”. Si fa notare che l’ELS non dispone di una base solida da cui lanciare offensive, come era per i libici a Bengasi. “Per questo chiediamo di proclamare una zona di interdizione di volo o una zona cuscinetto”. Qualcuno vi aiuta già militarmente? “Solo a parole. Nei fatti abbiamo solo la determinazione dei nostri 40 mila soldati”. E di questo “tentenamento internazionale il regime ha tratto ulteriormente forza per lanciare impunitamente offensive senza precedenti”. “Mi dispiace constatare che questa irresolutezza stia trasformando l’opposizione siriana in una sorta di bazar”. Gli viene fatto osservare che le brigate dell’esercito portano tutte nomi islamici, dice di aver chiesto personalmente ai comandanti “di sostituirle con altri nomi, anche per non dare l’impressione di essere l’esercito di una determinata comunità religiosa”. Sulle violenze perpretate dai gruppi salafiti, esprime la condanna di ogni “deriva confessionale”, dice che non si deve cadere nella trappola del regime, che alimenta le paure di alcuni gruppi religiosi per poter sopravvivere”, “mai permetterò che ci siano azioni di vendette collettive, la Siria è e sarà sempre per tutti i suoi cittadini, sunniti, alawiti, drusi, curdi, ismaeliti, circassi, armeni”. Il Corriere della Sera riprende le rivelazioni del quotidiano britannico Guardian, che ha pubblicato le email scambiate tra il presidente siriano Assad e sua moglie: gli oltre 3 mila documenti, inviati tra il giugno 2011 e il febbraio di quest’anno, sono stati intercettati dal Consiglio Supremo Rivoluzionario, gruppo di ufficiali che ha disertato. Illustrano lussi e svaghi del presidente  e della moglie nonostante le rivolte, con Asma Assad che paga 35 mila euro in un negozio di Parigi per portacandele e vari oggetti di arredamento, o riceve la risposta della figlia dell’emiro del Qatar, che la invita a lasciare il Paese (“sono sicura che avete molti Paesi dove potreste andare, compreso da noi a Doha”). Le email rivelano anche che Bashar riceve consigli dagli iraniani o da uomini di affari libanesi vicini ad Hezbollah come Hussein Mortada, che gli suggerisce di smetterla con le accuse contro Al Qaeda.

Su Il Foglio, che parla di come l’opposizione ad Assad si stia “sgretolando”, al pari della strategia dell’occidente, si scrive che alcuni tra i più conosciuti leader dell’opposizione al regime di Damasco si sono dimessi dal Consiglio nazionale siriano, organismo politico che cerca di coordinare la resistenza al regime. E secondo indiscrezioni almeno altri ottanta membri si starebbero organizzando in un nuovo movimento che punta ad armare al più presto i ribelli.

Nella sua ultima conferenza stampa da premier in Cina, Wen JaBao, chiudendo i lavori dell’Assemblea nazionale del popolo, ha detto:”Siamo giunti a un momento cruciale. Senza le riforme politiche, il Paese corre il rischio di rivivere tragedie come quelle della rivoluzione culturale”. Sono le parole citate dal Sole 24 Ore, che ricorda come durate i nove anni trascorsi al potere non è la prima volta che Jabao affronta pubblicamente questa questione: ma che abbia deciso di rispolverarla nella sua ultima apparizione da premier sul palco del Parlamento cinese ha un significato quasi simbolico poiché, agitando il fantasma della rivoluzione culturale, è come se avesse voluto consegnare il suo testamento politico alla quinta generazione di comunisti che nel prossimo autunno, in occasione del diciassettesimo congresso del Partito, saliranno sulla plancia di comando a Pechino.
Anche su La Stampa: “Wen: senza riforme politiche torna la rivoluzione culturale”. Il monito del premier cinese riguarda il fatto che è a rischio anche il progresso economico. Il suo discorso è stato visto, secondo La Stampa, come un attacco frontale alle fazioni più conservatrici del partito comunista cinese, impegnate in una lotta dietro le quinte in vista delle nuove nomine del politburo ad ottobre. E dietro al riferimento diretto all’epoca di Mao, potrebbe esserci anche un rifiuto delle politiche di Bo Xilai, uno dei leader provinciali più noti, per via della “campagna rossa” che ha ridato attualità alle canzoni dell’epoca della rivoluzione culturale, ai suoi slogan incessanti, insistendo sul ritorno ad un senso di moralità politica nel Paese.
Della vicenda di Bo Xilai, e del suo più stretto collaboratore il signor Wang, si occupa ampiamente Europa, ricordando che hanno collaborato per anni nella repressione del crimine e che si era reso protagonista di una rocambolesca fuga nel consolato Usa in Cina. Oggi le agenzie di stampa riferiscono peraltro che Bo è stato licenziato dal partito comunista cinese.

E poi

Sul Corriere della Sera si dà conto di quella che viene definita una “eccezionale intervista” del cardinale Jean-Luis Tauran, presidente del Pontificio consiglio del dialogo religioso, ad Al Jazeera. L’intervista andrà in onda da sabato per tre giorni, 4 volte al giorno. Viene considerata una svolta comunicativa. Tauran invita al rispetto dei luoghi santi (se il problema ‘non viene adeguatamente risolto, non ci sarà pace in Medio Oriente) e dei sacri testi di ogni religione (tesori che appartengono ad ogni civiltà, altrimenti è una giungla e vediamo il risultato”, dice in riferimento al Corano bruciato), ma il cuore dell’intervista riguarda le violenze sui cristiani: “In Iraq in 500 mila hanno lasciato le loro case dopo la caduta di Saddam, stando alle Chiese locali. Sarebbero 800 mila per la Santa Sede, in Egitto i cristiani copti sono stati perseguitati, le Chiese distrutte, in Nigeria oltre 1000, dalla metà del 2009, i morti cristiani. Spariranno i cristiani nel Medio Oriente? I cristiani condividono il destino dei popoli di quella regione, e dove non c’è pace, la gente soffre”. Giudizio sospeso sulla Primavera arba (“Le aspirazioni sono buone, è nata da giovani in cerca di dignità, libertà e lavoro, valori condivisi da cristiani e musulmani, ma speriamo che vada verso l’estate, non verso l’inverno”). Sull’intolleranza in Europa: “E’ vero, c’è paura dell’Islam, ma è dovuta ad ignoranza. Parli con i gruppi di destra e scopri che non hanno mai aperto il Corano, mai incontrato un musulmano. Siamo riusciti ad evitare lo scontro di civiltà, cerchiamo di evitare lo scontro di ignoranze”.

Tanto il Corriere della Sera che la Repubblica si occupano della decisione dell’Enciclopedia britannica che ha lasciato la carta per il web. Dopo 244 anni non stamperà più i suoi 32 tomi. Solo 8 mila persone al mondo – scrive il Corriere – hanno sugli scaffali di casa i 32 volumi, ultima edizione. La Repubblica intervista il linguista Tullio De Mauro, che considera lo sbarco online di enciclopedie e dizionari “un passo inevitabile e fruttuoso, che per di più crea valore aggiunto, stimola la collaborazione e lo spirito critico”: “Siamo invasi dai libri. E lì le sviste restano in saecula saeculorum. L’enciclopedia online, comprese quelle aperte agli utenti, modello wiki, sono preziose, permettono un arricchimento continuo, correzioni pressoché istantanee”.
Anche su La Stampa: per l’edizione dell’enciclopedia del 2010 hanno lavorato 4 mila studiosi, compresi Clinton e Tutu. I suoi fondatori oggi sarebbero felici, visto che la loro creatura è finalmente in rete.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini