La sindrome di Truman Sciò

Pubblicato il 14 Gennaio 2015 in , , da Clementina Coppini

Non ho mai messo un muso in vita mia e devo dire che questo mi ha salvato in svariate occasioni. Lo ritengo un lato positivo del mio carattere (quello cattivo ve lo dirò alla fine). Ne avrei avuto motivo, ancora ne avrei motivo. Motivi ne hanno tutti quelli che si corrucciano per come si comportano gli altri nei loro confronti. Ma a che serve alla fine? L’offesa deriva da qualcosa che viene percepito come una minaccia, come un’aggressione alla nostra persona. Riassumendo, da chi infine veniamo attaccati? Da tre tipi di persone: quelli a cui vogliamo bene, quelli che hanno un potere su di noi e i perfetti estranei.

Il primo caso è quello che ci mette più a dura prova. Nessuno ci può ferire davvero nel profondo se non è qualcuno a cui vogliamo bene. Ma se costui sa che lo amiamo non è forse lui a doversi sentire in colpa per aver approfittato dello spazio a lui concesso all’interno del nostro cuore? A dire il vero ci si può offendere davvero in modo tetragono con amici e familiari solo se si è certi di poter portare avanti la cosa fino all’estremo limite, che è situato oltre le porte dell’Ade, giacché non c’è cosa più deprimente che vedere riconciliazioni davanti alle tombe dei cari o al proprio letto d’ospedale. Non è sempre poi così utile smettere di rivolgere la parola a chi ti ha fatto un torto, se per esempio è un tuo fratello o un tuo genitore.

È meglio riconciliarsi (o almeno cercare di farlo, perché non sempre in questi casi si è padroni di scegliere) per tempo, così in caso di disgrazia si potrà tenere la mano di questa persona con la serenità che a volte la vita con potenza richiede. Certo resta un vero mistero il motivo per cui persone a noi vicine mostrino a volte tanto rancore e tanta acrimonia nel dirci cose, sottolineando che lo fanno per il nostro bene. Mi verrebbe sempre da rispondere: “Ma insomma, con tutta la fatica che faccio e tutti gli ignoranti che incontro nella vita c’era proprio bisogno che ti ci mettessi anche tu? Se mi vuoi bene come dici non potevi per una volta startene zitto?” L’unica certezza è che chi oltre a volerti bene ti rispetta trova sempre il modo di dire le cose antipatiche con affetto.

Il secondo caso ha la sua risposta in sé. Se uno ha potere su di te e lo esercita con perfidia e tu non puoi mettergli il muso e, per necessità o per convenienza, devi tacere, è comunque un tuo diritto inalienabile detestarlo profondamente e augurargli (magari non a voce) di venire rapito dagli alieni, in quanto l’alienabile è proprio lui. Il terzo caso sembra è il più semplice di tutti, ma non lo è. Se credi che con i perfetti estranei che ti recano insulto puoi sfogarti e alleggerirti così di qualche frustrazione ti sbagli di grosso. Non puoi mai sapere che testa ha chi non conosci, come può reagire il tizio in giacca e cravatta che ti taglia la strada al semaforo. Tu pensi di essere uno che quando deve dire una cosa la dice e non ha paura di niente? Bravo, pensalo pure, ma l’hai guardato bene in faccia il tizio al semaforo?

Mai in nessuno dei tre casi sopraccitati bisogna avere paura, e se la si ha meglio dissimularla a dovere, giacché chi a qualsiasi titolo ti offende sta chiedendo in qualche modo la tua resa e per ottenerla ha bisogno della tua approvazione su quanto sostiene. Personalmente nei casi due e tre mi industrio come posso per reagire alle offese in modo congruo e consequenziale alla situazione, mentre nel primo caso cerco sempre di capire le ragioni di coloro ai quali voglio bene. Purtroppo qualche volta – questo è il lato negativo del mio carattere – mi è accaduto di essere colpita dalla Sindrome del Truman Show. Cos’è? È quando uno, dopo averne sentite e viste a sufficienza, fa come Truman nel film di Peter Weir e si licenzia dal Truman Show. E, prima di uscire, dice come ultima battuta: “Caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!” La porta si chiude per sempre, dissolvenza. Via. Sciò.

2 thoughts on “La sindrome di Truman Sciò

  1. Tempo fa appresi che in italiano la parola “mutria” denota un viso accigliato ed anche “avere il muso”, ma non sono riuscito a conoscerne la relativa declinazione, ovvero : aver la mutria ? metter su la mutria ? un tipo mutrioso ? E le rare volte che ho utilizzato tale parola, la domanda è stata : che c’entra la nutria ?
    E’ vero, chissà se la mutria si confà alla nutria ?

  2. Informo che dopo aver letto sull’ultimo D/Repubblica l’ intervento di Elasti : “La memoria corta e l’ arte di non provare rancori”; ho inviato la seguente mail :
    “Buongiorno,
    ieri sera per la seconda volta in questi ultimi giorni mi sono imbattuto, senza volerlo, nella tematica di cui in oggetto.
    (vedi : https://www.grey-panthers.it/la-sindrome-di-truman-scio/).

    Detto questo mi riconosco alquanto nel “marxista barese, bacchettone e integro”; specifico meglio: dopo il “barese”, soprattutto per quanta riguarda la memoria lunga.

    Rispetto alla posizione binaria da lei prospettata : rimuovere totalmente o non dimenticare totalmente, esiste una terza che si potrebbe configurare come una rimozione parziale : perdonare, ma non dimenticare.
    Nessun copyright, è il famoso adagio anglosassone di sano pragmatismo : forgive, but don’t forget.
    Cordiali saluti,
    Carlo Geri “

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