Conversazione sul Design- 2 puntata

Pubblicato il 18 Settembre 2009 in , da Vitalba Paesano

Design, Casa, Ambiente… argomenti interessanti per grey panther che stanno al passo con i tempi e vogliono capire nuovi trend e tendenze. E, allora, ecco una chiacchierata con un architetto d’eccezione: Arturo Dell’Acqua Bellavitis*, che di questi argomenti conosce tutte le possibili accezioni. In questa seconda puntata, la responsabilità di creativi e aziende

Il nuovo allestimento in Triennale, nel Museo del Design, può aiutare a capire meglio anche le aziende che producono Design?

“Serie – fuori Serie è la metafora della stretta connessione che esiste tra la produzione seriale e il pezzo speciale, unico. Spesso un pezzo originale e unico è stato alla base di una produzione diventata seriale. Molte aziende italiane sono nate così. La Lualdi, per esempio, top di gamma per le porte, produceva arredi su misura; a un certo punto, con l’architetto Caccia Dominioni, ha costruito un tipo di porta per  casa Pirelli, che poi è stata messa in produzione e ha avuto successo.

Oggi la Serie tende ad andare verso il fuori Serie, cioè verso il prodotto personalizzato. Bisazza, ad esempio, produce tesserine in mosaico vetroso che hanno una gamma di oltre 180 colori; ognuno sceglie la percentuale delle tonalità preferite: verde smeraldo, verde giada, una punta di turchese; dopo 15 giorni trova in negozio un metro quadro del ‘proprio’ rivestimento. Piastrelle prodotte industrialmente, ma assemblate in modo che ciascun rivestimento diventa unico. Così la Serie diventa fuori Serie.

Nella moda succede già: si chiede una marca e poi si sceglie una soluzione decorativa per un paio di scarpe assolutamente personalizzate. Anche qui un processo seriale per una produzione ad personam. Serie – fuori Serie convivono per fasce di mercato diverse”.

Sembrerebbe che anche i negozi debbano assecondare questa variabilità e diventare più duttili…

“Certamente. Lo vediamo nei corsi che teniamo in Università per le nuove generazioni di proprietari di negozi d’arredamento: è un corso molto professionalizzante, che permette di scoprire scenari interessantissimi di nuovi concept di negozio. Ma lo abbiamo visto anche al Salone del Mobile di Milano di quest’anno, dove, per esempio, l’Azienda Lago, del Veneto (che ogni anno fa + 15% di fatturato, nonostante i tempi difficili), ha presentato una nuova formula distributiva, che risolve il problema del campionario, che di solito resta in esposizione un anno. Questa azienda garantisce ai propri rivenditori monomarca ogni sei mesi un rinnovo completo di arredi, con una spesa di 7000 euro l’anno per un negozio di 200 metri quadri. I mobili ritirati finiscono in un outlet e il rivenditore ha il negozio rinnovato due volte l’anno. E’ sicuramente una formula intelligente. Al Salone è stato proposto anche un appartamento-negozio, una sorta di casa vera, tipo reality, dove si mangiava in cucina…, si chiacchierava in salotto… È un’idea nuova di negozio non su strada. Altro modo nuovo di vendere: a Pollenzo, c’è un gruppo di acquisto, Arredanet. Sono quasi 50 negozi in Italia. Hanno un bellissimo catalogo, con mobili non griffati, bianchi, a costi competitivi, con qualche pezzo di design. Sono case reali, accattivanti. E sono arredi che crescono ed evolvono durante la vita della famiglia. Andare incontro alla gente, insomma, funziona; e funziona la politica dell’informazione, dei servizi, non degli sconti. Le aziende devono formare i rivenditori, dare strumenti di dialogo con il cliente”.

Mobilità, rinnovamento… di cos’altro dovrebbero tener conto oggi i produttori?

“Non dovrebbero pensare, nell’arredo, a un prodotto come singolo pezzo, ma in termini di sistema, come famiglia di pezzi, dunque. Per esempio, si può produrre industrialmente la scocca di una seduta e poi le parti che poggiano a terra possono avere una gamma di soluzioni diverse. La stessa scocca può diventare sgabello, seduta, seduta da ufficio, poltroncina, con piedi diversi, con carattere diversi. Molti produttori pensano troppo spesso a oggetti singoli, oggetti scultorei. In certe fasce di mercato questo può andar bene, ma non in tutte”.

“I produttori dovrebbero pensare in termini di servizio lungo tutta la filiera: da come si costruisce il pezzo, a che arrivi in fretta in negozio, nei giusti modi, che venga montato a regola d’arte… ma anche in termini di servizio post vendita. Facciamo un esempio: poltrona Frau. Fa il top di gamma; i suoi salotti sono talmente buoni che in una vita se ne compra uno, oppure se ne compra un altro per la seconda casa, per un matrimonio del figlio… allora, per fidelizzare la clientela, hanno inventato dei set di cere, in dotazione all’acquisto, per la manutenzione. Ciò crea un rapporto tattile tra chi acquista il prodotto e la manutenzione stessa del prodotto. La cera finisce, si torna al punto vendita e nel negozio si trovano oggettistica, cornici, cesti per la legna, oggetti che stanno nei dintorni del divano. E poi fanno eventi, in co-brand. Il negozio diventa propulsore di iniziative mondane o culturali, che fidelizzano e gratificano la clientela. Non tutti, certo, sono Frau. A livello più semplice, allora, i negozi inventano eventi legati alla festa di paese, a un’occasione cittadina. A Trento, per segnare il legame con la tradizione, un negozio di arredi ha seguito la festa delle mele, non prefigurando scenari effimeri, ma ‘quinte’ ricche di sentiment”.

“Pensando alle case di primo impianto i produttori dovrebbero realizzare sistemi d’arredo che durino nel tempo e che siano flessibili, anche senza essere fortemente specializzati; una parete attrezzata nella prima casa può diventare libreria nella camera dei figli, anni dopo. Pensano già così Doimo e il friulano Calligaris”.

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*Arturo Dell’Acqua Bellavitis

Un curriculum difficile da sintetizzare e una mobilità operativa, in Italia e all’estero, senza limiti. È appena tornato dal Brasile, parte per l’Australia, quando rientrerà sarà la volta dell’India (e dappertutto sono convegni, lezioni, seminari, accordi per promuovere le attività istituzionali di cui si occupa) e, poi, di nuovo a Milano, tra lezioni, discussioni di laurea, rapporti con studenti e design stranieri arrivati nel nostro Paese, alla conquista di quel gusto (quello dei bravi artigiani italiani) che ha conquistato il mondo…
Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Presidente del corso di laurea in Fashion Design e professore ordinario di Disegno Industriale, nonché Direttore del Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano, è anche Vicepresidente della Fondazione Triennale di Milano ed estensore del progetto del Museo del Design (della cui Fondazione è oggi Presidente). Inevitabile chiedergli in quale di questi ruoli si destreggia con maggior passione“Essere Presidente nella Fondazione Museo del Design significa confrontarmi sulla progettazione, ma soprattutto assumere una carica onorifica. In Triennale ci sono un Direttore scientifico del Museo, un Direttore della Fondazione, ci sono autorevoli curatori scientifici… a me spetta anche la delicatezza di valorizzare e salvaguardare i ruoli di tutte queste persone e quindi spesso di fare anche qualche passo indietro”“Al Politecnico, essere Direttore di Indaco è soprattutto una qualifica di operatività, una carica per cui sono stato eletto da tanta gente. Se il consenso può essere considerato un parametro del mio impegno, quella universitaria è certamente un’operatività oggi più pressante, che richiede scelte culturali e di strategia, in cui credo molto.Nel Dipartimento, sono indotto a prendere posizione, a volte anche in modo impopolare. Personalmente, però, sono un interventista, e questo è un aspetto del mio carattere che mi piace. Non risolvo i problemi del mondo, ma quando me ne andrò dall’Università, so che lascerò un Dipartimento più strutturato, più legato all’Ateneo, più produttivo in termini di ricerca e di valorizzazione delle risorse umane”.