Report conferenza: Come si struttura la mente nei nativi digitali

Pubblicato il 31 Maggio 2016 in , da redazione grey-panthers

Chi ha seguito le nostre conferenze e in particolare quella di ieri, 30 maggio, ha sentito a viva voce l’interessantissima relazione della psicoanalista dott. Laura Ambrosiano, dal titolo “Nell’era di internet, come cambia il modo di pensare dei cosiddetti ‘nativi digitali'”.

A larga richiesta pubblichiamo qui di seguito la relazione, accompagnata da alcune slide che sono state presentate.

I nativi digitali

Oggi parliamo di nativi digitali e di immigrati che siamo noi, le vecchie generazioni che approdano con difficoltà (manuali e mentali) e resistenze alle nuove tecnologie. Questa distinzione vuole sottolineare che si tratta di una generazione che è entrata nel mondo avendo a disposizione una finestra tecnologica senza precedenti, e che manifesta comportamenti di apprendimento e di comunicazione nuovi e inediti, diversi stili di pensiero.

Uno dei comportamenti più originali dei nativi è il multi-tasking, studiano mentre ascoltano musica, si mantengono in contatto con il cellulare, con il sottofondo del televisore……. Per noi sarebbe un sovraccarico cognitivo (e uditivo), chi si è formato attraverso la lettura ha una capacità di concentrazione focalizzata, mentre loro hanno la capacità di gestire in parallelo diversi media e diversi contenuti informatici, con un continuo zapping consapevole. Si tratta di un apprendimento meno lineare e costruito per approssimazioni successive e per prove ed errori. Sanno navigare tra media diversi in modo creativo. Questa modalità mette in evidenza che per i nativi l’applicazione ai media digitali è sperimentare e sperimentarsi, è esplorazione dell’ambiente ma in un mondo assimilabile al gioco, è una manipolazione ludica della realtà. Questo non vale solo per i videogiochi, ma per tutti i media digitali .

Noi immigrati abbiamo bisogno di un manuale, o di qualcuno che ci spieghi come usare le nuove tecnologie! I nativi digitali considerano le nuove tecnologie come elementi naturali del loro ambiente, essi nel mondo digitale sono madrelingua.

1L’apprendimento attraverso i libri impegna in un linguaggio orale che è anche corporeo, mimico, i messaggi digitali al contrario sembrano incorporei, vivono sullo schermo…. in effetti gli adolescenti mettono tutto se stessi nella comunicazione digitale, come se avessero un corpo esteso che include lo schermo.

Ogni comunicazione veicola parti di sé, dei loro comportamenti, delle loro emozioni nell’immediato, così come si presentano e mano a mano che si presentano. Se pensiamo ai videogiochi, per esempio, sappiamo e vediamo che innescano una grande intensità emotiva, rabbia, paura, tristezza, trionfo, sconfitta, ricerca… sono emozioni che coinvolgono i giocatori alla ricerca di sé e dei propri stili di stare nel mondo. Sono emozioni che comportano eccitazione, un bagno di eccitazione, ricercato di per sé, ma che progressivamente favorisce la ricerca di significato. I video giochi, con le alterne vicende con cui confrontano, immergono in vissuti di essere schiacciati, inermi, disorientati, cioè stati d’animo frequenti negli adolescenti, ma organizzano anche esperienze di farcela, di orientarsi, di poter vincere le difficoltà. In questo movimenti l’adolescente può esplorare questi stati d’animo, coglierne il senso e comprenderli come contingenze (non come definizioni del sé).

Forse sarebbe utile se noi adulti concepissimo i loro giochi come una attività onirica, come i loro sogni sulla loro crescita.1

Pensiamo agli Avatar. Viene sottolineato come per noi immigrati il virtuale si oppone al reale, indica qualcosa di illusorio, falso, ingannevole. Per i nativi il “virtuale” è una manifestazione del reale, altrettanto significativo del reale, essi non si limitano ad utilizzarli ma vivono nel mondo digitale. Quello che a loro interessa è proprio poter sperimentare (insieme con i loro coetanei) differenti schemi di interpretazione della realtà, differenti ipotesi di realtà, e anche differenti stili cognitivi e comunicativi e differenti aspetti del sé.

Con gli Avatar danno forma a identità virtuali, sono alter ego, a volte molto personalizzati a volte impersonali, ciascuno sceglie tra livelli diversi di identità reale, virtuale e proiettiva: sceglie un Avatar molto simile a sé, oppure un Avatar che sia simile a ciò che si vuole essere, a ciò che si vuole apparire agli altri. Infatti l’Avatar offre una identità sociale, ha una intenzione comunicativa, vuole generare negli altri impressioni, emozioni, affetti, interesse. Gli Avatar esprimono la fantasia di essere qualcun altro, di cercare nuove identità o nuovi aspetti della propria identità ( mai conclusa) , è anche un modo per immedesimarsi per identificarsi con l’altro, con quello che è diverso da sé.

Lo stile mentale che i nativi apprendono precocemente è quello del problem solving, negli stessi videogiochi la scelta è si-no, azione-inazione, cliccare o non cliccare, un pensiero procedurale. Non si tratta di intelligenza matematica, né di un’intelligenza astratta, qui è in gioco una intelligenza digitale appunto. Questa si centra su un pensiero lineare, veloce, operativo e pragmatico, probabilistico.

Alcune ricerche hanno messo in evidenza che negli individui digitali si può rilevare un maggiore sviluppo dell’intelligenza, in termini di QI, ma solo in quelli che hanno una dieta bilanciata, l’abuso di esposizione ai mezzi digitali non aumenta l’intelligenza, al contrario sembra frenarla. La buona dieta bilanciata non è solo intesa in termini di tempi, quante ore al giorno ecc., ma in termini di qualità. Certamente il tempo di utilizzo dei media è importante, come intuiscono tutti i genitori, se l’uso è troppo frequente non si rilevano maggiori capacità di apprendimento e maggior velocità, mentre un utilizzo non invasivo e critico sembra favorire sviluppo e intelligenza.

A questo livello credo che molto dipenda dalla qualità coattiva o meno dell’esposizione ai media digitali, dalla dimensione di consapevolezza: i giocatori critici sono consapevoli di avere davanti un sistema complesso, artificiale, costruito da uomini e da aziende, fatto di regole in continua evoluzione, e loro sviluppano nella loro testa un modello di questo sistema e vogliono valutare come usarlo al meglio per raggiungere i loro scopi. I fruitori non critici si adattano, prendono i media come oggetti naturali e si appiattiscono sulle regole del sistema, non mantengono la centralità dei loro obiettivi.

I ricercatori sottolineano che un approccio alle cose più pragmatico, personalizzato per successive approssimazioni e meno dogmatico, è meno indottrinato del sapere tradizionale che si trasmette attraverso i libri, a scuola. Con le nuove tecnologie le tradizionali divisioni tra campi del sapere e discipline stanno cadendo: la biologia, la matematica, la fisica, ma anche la storia, l’antropologia sono meticciate, stiamo abbandonando un campo in cui le discipline erano rigidamente separate e distinte, ora si contaminano e si trasformano a vicenda.

Come è stato rilevato in ricerche ad hoc, l’applicazione ai mezzi digitali attiva zone diverse del cervello rispetto a quelle che si attivano nell’apprendimento tradizionale, reti neuronali diverse. Questo porta a pensare che i nuovi media possano cambiare (specializzare?) il funzionamento del cervello e i modi di vedere e costruire il mondo.

Come dice Philip Dick: i nativi digitali sono vivi, noi stiamo invecchiando. Questa “razza in via di apparizione”, questa sorta di Homo Zappiens sta soppiantando l’homo sapiens?

Gioco, simulazione, performance, multitasking, intelligenza collettiva, navigazione transmediale, negoziazione, sono queste le nuove caratteristiche che stanno sviluppando i nativi del nuovo millennio, che avranno 30 anni nel 2025-2030 e saranno i nuovi dirigenti di azienda, manager, politici..…… Se ci proiettiamo verso il futuro possiamo immaginare che ci troveremo in un mondo completamente digitale in cui la tele-presenza sarà diventato un modo di relazionarsi, in cui potremo immergerci in realtà altre, virtuali, in tre dimensioni…. Occorrerà che le vecchie generazioni trovino dei modi adeguati per tramandare il loro sapere, ma anche che siano disposte ad un buon uso del tradimento rispetto alla loro tradizione, adattando il loro sapere al nuovo contesto.  

Certo lo stile di pensiero dei nativi digitali, dicono i ricercatori più critici, è meno riflessivo e va meno in profondità, implica tempi di attenzione e concentrazione brevi e rapidi, favorisce un modo di conoscere più da bricoleur, che non va bene per tutto, Umberto Eco e il Petrarca.

Ma credo che sia importante per noi cogliere che è la coazione a rivolgersi ai media digitali che può avere aspetti patologici, essa può esprimere un tentativo di svuotarsi di pensiero, di evacuare la vita psichica e il conflitto che lo anima. È come se, nella coazione, ci fosse l’aspirazione a vivere a una certa distanza dal reale, vagando da una evocazione all’altra, senza coinvolgimento reale. Il giudizio individuale è lento, meglio soppiantarlo con idee programmate.      

Quando l’obiettivo è svuotarsi di pensiero l’esposizione diventa non critica e questo comporta effettivamente un rischio di una alienazione: una percezione allucinata della realtà e di sè, che comporta anche una specie di ottusità (simile a quella simulata dagli schiavi neri come unico mezzo di difesa e di protesta, di resistenza all’oppressione).

Si organizza una specie di fuga dalle emozioni e dalla vita vita psichica (Bollas 2015) che affolla la mente di idee preconfezionate. La sensazione è che riflettere sulle cose prende tempo, e che la mente è qualcosa che causa problemi, non aiuta a risolverli, bisogna affidarsi ad una strutturazione stereotipata che può essere velocemente aggiornata.

Possiamo parlare di una sorta di alienazione.

L’alienazione significa perdita della propria centralità nella propria vita, difficoltà a vivere i conflitti interni (ambivalenza) ed esterni, quindi a scegliere e orientarsi, a cogliere e sviluppare una propria posizione rispetto al sociale, al mondo politico, e cosi via. Il rischio è di scivolare in una sorta di conformismo opaco, (e al consumismo).

Tanto maggiore può essere il rischio di alienazione quanto più il contatto con il gruppo rimane prevalentemente virtuale, e il contatto faccia a faccia viene evitato-temuto. Il gruppo virtuale non dinamizza la vita psichica, offre la fantasia di un mondo aconflittuale, omogeneo, in cui la cosa più importante è appartenere, essere uguale, non presentare scarti.

Se si evacua la vita psichica e il conflitto che la anima, la stessa socialità diventa adesione, conformismo, comunque non sviluppa la capacità di affrontare i conflitti, l’ambivalenza e le differenze all’interno del sociale. Con la conseguenza di adattarci a qualunque cosa, con la difficoltà ad elaborare il limite, la perdita, il lutto, e la propria aggressività e violenza. Questo riguarda anche il buon uso dell’aggressività utile per stagliarsi dallo sfondo e individuarsi.

Questo, sul piano psichico, comporta delle scissioni, anzi comporta di dover ricorrere ad una frammentazione forzata che annulla la differenza vita-morte, e anche quella tra animato e inanimato. Le cose materiali diventano vitali e magiche (nel senso di magicamente terapeutiche), il disastro e la malattia, la morte diventano sfiga.

Certamente la coazione all’uso dei mezzi digitali può sfociare in una dipendenza, simile a quella per l’alcoll, le droghe, la pornografia.

2Al centro di questi esiti patologici troviamo spesso una sfiducia nella dipendenza dagli umani, come se questa non offrisse sbocchi, non fosse finalizzata alla crescita e all’autonomia, ma fosse uno stato definito una volta per tutte. Allora la dipendenza da un mezzo digitale, non umano, tranquillizza, si ha l’impressione di un controllo e di una autonomia personale. Questo pone molti interrogativi a noi, alle vecchie generazioni di immigrati, sul nostro modo di allevare, educare i giovani, di insegnare e di trasmettergli i nostri valori e le nostre conoscenze.

 

2 thoughts on “Report conferenza: Come si struttura la mente nei nativi digitali

  1. La relazione della Dott.ssa Ambrosiano è stata interessantissima e veramente stimolante. A proposito della “Dieta bilanciata” nell’uso del computer suggerisco la lettura dell’articolo “E’ ora di spegnere televisione e computer” pubblicato il 31 05 nella sezione Focus sulla newsletter Dica33.
    JULIAF

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