Longevità, benessere e salute: come si orienta la ricerca per ottenere il meglio

Pubblicato il 26 Gennaio 2024 in , da Emanuela Notari
Longevità

Viviamo vite più lunghe, ma spesso anche più anni in cattiva salute. Per questo la scienza della longevità ha molti obiettivi ambiziosi

Viviamo tutti più a lungo. Oggi la media in Italia è di circa 83 anni (80,5 per gli uomini e 84,9 per le donne), ma se guardiamo all’aspettativa media di vita residua all’età della pensione vediamo subito che ci aspettano ancora più anni di quanti ce ne aspettiamo: quasi 85 per gli uomini, quasi 88 per le donne.

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Fonte: Inps

Cioè a dire che dovremo ambire a che le nostre risorse – finanziarie ma anche fisiche – durino 3 anni in più rispetto a quanto l’aspettativa media di vita alla nascita del Paese potrebbe farci pensare. Senza contare che se si ha la fortuna di stare sul versante più longevo della media, grazie a condizioni socio-economiche, scolarizzazione e stili di vita, possiamo ambire ormai ai 90 anni.

Quanta di questa vita in più ci si aspetta di vivere in buona salute?

Circa 75 anni, poco di più, sia per gli uomini sia per le donne, un dato buono se consideriamo che rappresenta il 90% del totale. Questo dato negli Stati Uniti, per esempio, è sceso negli ultimi 30 anni all’83,6% – dall’85,8% del 1990 – a causa di malattie croniche come diabete, obesità e dell’abuso di droghe e farmaci, portando il gap tra aspettativa di vita generale (pure in discesa) e aspettativa di vita in buona salute da 10 a 12 anni.

I nostri 10/15 anni di aspettativa di vita oltre l’età di pensione, seppur in condizioni di salute non ottimali, sarebbero da festeggiare come un successo: è la medicina che ci ha messo in condizione di continuare a vivere con patologie croniche che in passato sarebbero state fatali. L’accorciamento di quel gap di qualità della vita, tra stare bene e non stare bene, è il dominio di quella prevenzione che sarà il passo successivo della scienza della longevità.

Centenari e superages, ovvero come vivere una vita così lunga

Due cose sono certe: i centenari vivono meglio, non solo più a lungo, perché in loro si allunga la finestra di vita in buona salute, cioè a dire che le patologie tipiche dell’invecchiamento arrivano più tardi. I centenari i oggi, i cosiddetti superagers, sono persone dotate di un patrimonio genetico particolare. Se i geni, infatti, incidono sulla longevità di un individuo medio diciamo intorno al 25% e il resto lo fanno gli stili di vita, le condizioni socio-economiche e l’ambiente in cui vive, in chi arriva a 100 anni la percentuale di influenza del patrimonio genetico sale al 50%, per gli ultra centenari al 75%. E’ così nelle zone blu, quelle aree del mondo, tra le quali parte della nostra Sardegna, in cui ci sono più centenari rispetto alla media.

L’orientamento della scienza della longevità

Qualcuno sta studiando come invertire l’orologio biologico, altri avanzano su posizioni più ragionevoli di trattamento dei dismetabolismi che portano all’invecchiamento biologico attraverso una gestione più consapevole degli stili di vita e la lettura dei segnali dell’epigenetica per individuare le modificazioni dell’espressione dei nostri geni che possono portare allo sviluppo di determinate patologie legate all’invecchiamento.

Ci sono aziende che stanno investendo in ricerca sull’allungamento della longevità dei cani – pare che negli ultimi anni siano quadruplicati gli investimenti in questo settore – poiché apparentemente condividiamo con questi animali una serie di affinità genetiche (e non solo) che fanno sperare che questi studi possano un giorno portare a soluzioni applicabili al genere umano.

Il Dog Aging Project, uno studio dell’Università di Washington e Texas A&M, per esempio, avrebbe individuato migliori condizioni dei marcatori dell’invecchiamento cognitivo nei cani che fanno attività fisica e frequentano i propri simili, esattamente come succede negli umani.

Alcune società stanno sviluppando integratori per cani a base di rapamicina – un antibiotico immunodepressore utilizzato nei trapianti contro il rigetto – con finalità di aumentarne la longevità (come già sarebbe stato provato nei topi), nella speranza che una prossima approvazione della Food and Drug Administration possa portare, in un futuro non lontano, allo sviluppo di trattamenti simili per uso umano.

Negli ultimi anni si è anche parlato del possibile prossimo sviluppo di un vaccino anti-invecchiamento che avrebbe il compito di eliminare le cellule senescenti che hanno smesso di funzionare e di dividersi, provocando modificazioni importanti al nostro metabolismo e conseguenti condizioni di infiammazione costante, lasciando solo cellule funzionanti.

Intervenire comunque, in attesa della formula magica per la longevità

La vera speranza è che gli scienziati riescano a trovare il modo di ridurre il gap tra aspettativa di vita e aspettativa di vita in buona salute più che allungare davvero la vita fino a 120 anni, come si vocifera, che è poi l’obiettivo della medicina della longevità. Alcuni promettenti risultati ci sono già, ma niente potrà prescindere dalla nostra volontà di vivere bene più a lungo possibile e conseguenti comportamenti. Come abbiamo visto, nelle persone normali la genetica pesa solo per il 25%, il resto delle chance di longevità e di buona salute dipende da come viviamo.