Rapporto sui consumi alimentari nel 2012

Pubblicato il 18 Giugno 2013 in da redazione grey-panthers

La forte frenata intervenuta in tutti i settori dell’economia nazionale negli ultimi cinque/sei anni non ha risparmiato la spesa alimentare; essa ha per forza di cose determinato cambiamenti visibili nei comportamenti consolidati dei consumatori italiani, tanto in riferimento alla composizione dei panieri di spesa delle diverse tipologie di famiglie consumatrici quanto alle modalità ed ai luoghi di acquisto.

Un dato salta subito agli occhi: nell’ultimo quinquennio si è registrato un taglio del 9,6% al carrello della spesa da parte delle famiglie italiane, e ciò ha prodotto un saldo negativo di oltre 12,4 miliardi di euro.
In un confronto europeo nel periodo 2007-2011, si rileva inoltre che l’Italia si caratterizza per una decisa contrazione (6,3%) dei consumi domestici e per un lieve aumento (0,5%) di quelli extra-domestici.
Se poi vogliamo spingerci in un’analisi di più lungo periodo, possiamo notare come i consumi alimentari delle famiglie italiane siano sostanzialmente tornati indietro di 20 anni: nel 1992 la spesa per il comparto alimentare ammontava a 117,6 mld; nel 2012 si è fermata invece a 117 mld (- 0,6%). A far tornare indietro la spesa alimentare sono stati proprio i venti di crisi; nel 2007, infatti, essa aveva raggiunto i 129,5 mld, con un incremento del 10,1% rispetto al 1992. Ma in soli cinque anni gli italiani hanno sforbiciato le spese per il cibo del 9,6%.
Inoltrandoci ancora un po’ in queste analisi statistiche vediamo come il 2012 abbia fatto segnare la più ampia contrazione dei consumi delle famiglie italiane dal dopoguerra (-4%); da tutto ciò si deduce che stiamo assistendo ad un fenomeno nuovo: la lunga crisi ha inciso in maniera sostanziale anche sugli acquisti di prodotti alimentari, che tradizionalmente avevano sempre evidenziato una domanda relativamente stabile.

I consumatori stanno orientando i loro acquisti verso prodotti a minor costo unitario, modificando tipologie e brand dei prodotti, e in parte ridefinendo le preferenze per i formati distributivi, ad esempio frequentando in misura maggiore i discount.
Il 40% degli italiani, nell’ultimo anno, ha ridotto i consumi alimentari e la maggioranza ha messo in atto comportamenti anti crisi; tra i recenti, nuovi fattori di scelta si segnalano: i prezzi (80%), la sicurezza (62%), l’origine (57%) e la qualità (50%).
Circa il 90% dei consumatori, inoltre, sperimenta comportamenti antispreco (porzioni ridotte, utilizzo avanzi, etc.) e ben il 64% mangia a casa più che nel recente passato.

Su alcuni di questi aspetti iniziano a pesare i mutamenti demografici e sociali; l’invecchiamento della popolazione italiana si traduce difatti in minori consumi alimentari: con il crescere dell’età media, che si aggira ormai attorno ai 43 anni, si riducono le necessità caloriche medie mentre, sull’altro versante, aumentano le esigenze di salute.
A ciò si aggiungono i mutamenti sociali legati alla femminilizzazione del mercato del lavoro, al crescente pendolarismo e al cambiamento negli orari, con la crescente diffusione di pause brevi durante la giornata lavorativa, che stanno portando ad un cambiamento dei modelli dell’alimentazione, con un incremento della frequenza dei pasti fuori casa e uno spostamento degli acquisti dai generi alimentari ai servizi di ristorazione offerti da esercizi pubblici.
Non va inoltre dimenticato che il prolungato deterioramento delle condizioni economiche complessive ha certamente comportato anche un mutamento nei comportamenti di consumo, con una maggior attenzione agli sprechi ed un effetto complessivo di riduzione dei volumi acquistati.

D’altro canto, anche se l’incidenza dei consumi di generi alimentari sul totale continua a ridursi, gli italiani si confermano, tra gli europei, il popolo con la spesa alimentare pro capite più elevata; essa ammonta infatti ogni anno a 2.300 euro a testa nel nostro Paese, in Germania a 1.800 e nel Regno Unito a 1.500.
In questo senso, i nostri connazionali possono ancora vantare il modello alimentare più evoluto a livello europeo e probabilmente mondiale.
Conferme a tal riguardo giungono dai risultati di una recente ricerca Astra: la qualità del cibo, anche in tempo di crisi, rappresenta un aspetto importante per l’alimentazione degli italiani.

Essi appaiono disposti a ridurre – volenti o nolenti – le quantità ma cercano in ogni modo di non cedere sulla qualità di quel che mangiano: infatti, il 61% è riuscito nell’ultimo anno a difenderla e l’11% addirittura a migliorarla, con il restante 28% che è stato costretto a ridurla (nella metà dei casi solo per taluni prodotti).

Il buon cibo rimane comunque un aspetto centrale per gli italiani: per il 44% senza riserve e per il 46% con preoccupazioni economiche e con timori circa la sicurezza alimentare. Per di più la maggioranza degli italiani è convinta che l’alimentazione abbia un ruolo non solo rilevante ma decisivo per quel che riguarda la salute, la prevenzione delle malattie, l’allegria e il buon umore, la cura delle malattie, l’efficienza nel lavoro e nello studio, la felicità, la sessualità, le relazioni con gli altri, il carattere e la personalità.
Gli italiani sono poi di gran lunga i cittadini europei più attenti all’origine (88%) e alla marca (68%) del cibo che comprano.
Nonostante tutto per le famiglie italiane il cibo non è solo un importante impegno di spesa ma appare, anzi, una componente importante del proprio benessere e della stessa identità collettiva di appartenenza. E’ ancora elevatissima la percentuale di italiani che dichiara qualità e prezzo assolutamente importanti nella scelta dei prodotti alimentari.

Al di là delle rappresentazioni più o meno colorite del “nuovo” consumatore italiano medio d’oggi, le analisi e gli studi più avvertiti concordano nel segnalare una maturazione delle strategie di consumo delle famiglie italiane, molto più attente e sensibili che in passato a cosa mettere nel carrello della spesa sotto il profilo della qualità dei prodotti, dei prezzi, della facilità d’uso e dei servizi incorporati, del benessere e della sicurezza. Una maturazione indotta indubbiamente dalle difficoltà economiche, che obbliga a comportamenti adattivi alla congiuntura avversa, ma anche dai cambiamenti molecolari negli stili di vita, nelle preferenze e nei valori che connotano la contemporaneità degli italiani.
A tutte queste spinte l’industria è in grado di rispondere con soluzioni e proposte assolutamente al passo con i tempi, riuscendo ad interpretare le diverse esigenze dei consumatori moderni.

Tutte le più recenti ricerche confermano che circa un quarto del fatturato dell’industria alimentare (ben il 24%, pari a 28,8 miliardi di euro) è rappresentato da prodotti che presentano un alto contenuto di innovazione: la gamma del cosiddetto ‘tradizionale evoluto’ (tra cui troviamo, com’è ovvio, le molteplici referenze di prodotti surgelati). Si tratta di un dato di notevole importanza dal momento che poco più di 20 anni fa la situazione era ben diversa, con l’alimentare classico che copriva l’85 per cento del totale ed il “tradizionale evoluto” che, con un 15 per cento, cominciava timidamente ad affacciarsi nei consumi degli italiani. Ciò significa che nell’arco di un quarto di secolo l’aumento percentuale di questi prodotti ammonta a circa il 50 per cento.

Fonte: http://www.istitutosurgelati.it