Spostamenti al tempo del Coronavirus: guida all’autodichiarazione

Pubblicato il 16 Marzo 2020 in , da redazione grey-panthers

Le regole previste dal decreto 9 marzo sull’emergenza Coronavirus rendono applicabili in tutta Italia le misure che fino ai giorni scorsi riguardavano solo le zone rosse, toccando da vicino chiunque: famiglie, datori di lavoro, dipendenti, autonomi.

In primis, per quanto riguarda gli spostamenti, che in base al dpcm sono consentiti solo per:

  • comprovate esigenze lavorative,
  • situazioni di necessità,
  • spostamenti per motivi di salute,
  • rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Sono due le informazioni fondamentali che interessano datori di lavoro e lavoratori. Cosa significa comprovate esigenze lavorative. E come si fa a dimostrarle. Secondo l’intrepretazione dei Consulenti del Lavoro (circolare 6/2020)  le «comprovate esigenze lavorative», che possono giustificare lo spostamento delle persone fisiche, «non devono necessariamente rivestire il carattere della eccezionalità, urgenza o indifferibilità, potendole intendere riferite, alla luce di quanto emerge dalla norma e dai primi chiarimenti di prassi, alle ordinarie esigenze richieste dalle modalità attraverso le quali si è tenuti a rendere la prestazione lavorativa». In generale, anche le associazioni imprenditoriali sono propense a fornire analoghe interpretazioni.

=> Il decreto in Gazzetta ed il modulo aggiornato per spostarsi

La legge, in effetti, non impone alle attività produttive di chiudere, consentendo la prosecuzione con una serie di paletti e limitazioni specifiche per una serie di attività (negozi, ristorazione, bar e via dicendo). Per intenderci: chi non è stato messo in smart working e deve recarsi in ufficio, in pausa pranzo ha diritto a mangiare al ristorante (situazioni di necessità), con le dovute cautele sanitarie prescritte dal decreto stesso.

Anche il normale tragitto casa lavoro è consentito. Vanno in questo senso anche le indicazioni fornite dal ministero dello Sviluppo Economico e quello dei Trasporti: «salvo che siano soggetti a quarantena o che siano risultati positivi al virus, i transfrontalieri potranno quindi entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa».  Sono indicazioni che, per estensione, si possono considerare applicabili a tutti i lavoratori. A ulteriore conferma, arrivano le FAQ (risposte alle domande più frequenti) pubblicate sul sito del Governo, in base alle quali:

  • è sempre possibile uscire per andare al lavoro, anche se è consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi;
  • si considerano giustificati gli spostamenti per esigenze lavorative (anche da un comune all’altro).

Come si fanno a dimostrare le comprovate esigenze lavorative? C’è un apposito modulo pubblicato sul sito del Ministero dell’Interno e  altri siti istituzionali (scaricabile anche da PMI.it), e che in ogni può essere richiesto direttamente agli agenti di pubblica sicurezza che dovessero chiedere spiegazioni.

La compilazione è semplice. Può essere utile prepararlo prima, magari laddove si affrontano uscite periodiche, come il tragitto casa-lavoro.  Per prima cosa si inseriscono le proprie generalità (nome, cognome, data di nascita, residenza, estremi del documento di identità, numero di telefono).

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Si barra poi la casella relativa alla motivazione dello spostamento (nel caso specifico, comprovate esigenze lavorative): nella riga sottostante si indica il datore di lavoro (lavoro presso…).

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Attenzione: questa autodichiarazione in teoria non è l’unico modo per comprovare le esigenze lavorative. Assolombarda ricorda che si possono anche esibire cedolino paga, documento di identificazione aziendale, dichiarazione del datore di lavoro.  E il Governo, nelle FAQ, specifica a sua volta che le comprovate esigenze lavorative, oltre che tramite autodichiarazione, possono essere spiegate con ogni altro mezzo di prova.

L’importante è la veridicità della dichiarazione resa. La non veridicità costituisce reato, comportando le relative sanzioni. Il mancato rispetto delle norme previste dal decreto emergenza Coronavirus è punito in base all’articolo 650 del codice penale, con la detenzione fino a tre mesi e una multa fino a 206 euro.